Roberto Revello è l’amministratore di Mimesis. Caporedattore, responsabile della produzione, coordina con i soci la linea editoriale della Casa Editrice. Nato il 30 marzo 1979 ad Albenga si è laureato in Filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dottore di Ricerca in Filosofia delle Scienze Sociali presso l’Università degli Studi di Varese – Como. Lui non ama essere definito tale, ma è uno stimato filosofo.
La casa editrice Mimesis nasce come associazione culturale nel 1987, su iniziativa di Pierre Dalla Vigna, con lo scopo di raccogliere e diffondere le idee che animano la riflessione italiana ed europea. Pur mantenendo la sua attitudine filosofica, Mimesis espande presto i confini dei propri interessi alle scienze umane e alla letteratura. Nel 2006 Luca Taddio affianca Pierre Dalla Vigna nella direzione editoriale. Pur mantenendo una produzione di attestato valore scientifico, la vocazione di Mimesis per il pensiero libero e indipendente ha garantito ai suoi autori di esprimersi con la massima autonomia.
Dott. Revello, come dovrebbe essere un editore di successo? Un illuminato intellettuale oppure uno scaltro business man?
Sono le persone “pratiche” a fare veramente cultura. I più importanti editori sono sempre stati grandi imprenditori. L’editore modello anche per il futuro resta il nostro vecchio padre: Aldo Manuzio. Ideale di sempre nella sua capacità di realizzare un progetto culturale immenso con i mezzi di un’impresa economica all’avanguardia su tutti i fronti. Mi permetto di far riferimento a un nostro bel libro uscito di recente, del prof. Giorgio Montecchi: Storia del libro e della lettura, dalle origini ad Aldo Manuzio.
Quando si siede alla sua scrivania in ufficio ogni mattina Lei si sente più un intellettuale o un imprenditore?
Quando non lavori in editoria e sei fresco con la tua laurea, il tuo master, il tuo dottorato, pensi che il lavoro in editoria sia un “lavoro intellettuale”, più o meno solo quello. E non è proprio così. A volte, se vedo qualcuno che bussa con un atteggiamento del genere, mi diverto a riutilizzare una nota frase maoista sulla rivoluzione: “L’editoria non è un pranzo di gala, l’editoria è violenza…”, ahimè. Lavorando nella piccola-media editoria, dandosi da fare, avrai certamente prima o poi: preparato e disfatto un numero infinito scatoloni, caricato e scaricato chili di libri; litigato con stampatori e corrieri; guidato furgoni; compilato modulistica di ogni genere; gestito contabilità spiccia; tenuto stand per le più diverse fiere e presentazioni, e… prima di tutto avrai dovuto imparare a fare il venditore di quello che proponi. Con l’orgoglio che non è solo merce ciò che vendi, ma qualcosa che a volte cambia anche la vita delle persone: formazione, cultura.
Il Libro è un essere millenario. Sopravviverà al futuro che avanza?
Penso che ci sia stata una civiltà del libro (ha scritto una cosa bellissima su questa civiltà Ivan Illich, Nella vigna del testo) ed essa è fondamentalmente morta, o diciamo destinata a morire. Non voglio dire che il libro scomparirà in assoluto, ma certamente è venuto a mancare la sua assoluta centralità nella trasmissione del sapere. Un sapere che non cambia solo nelle sue modalità di diffusione, ma nei suoi tratti essenziali.
Non sto parlando della questione dell’ebook, penso ci sia qualcosa di molto più radicale. Mi azzardo a dire che in qualche modo l’ebook, per come lo concepiamo al momento, sia nato morto. E’ qualcosa di ibrido e depotenziato, un’imitazione del libro cartaceo per mezzo di una tecnologia che spinge verso ben altro. Mi viene da paragonarlo ai primi tempi del cinema, quando non si era ancora realizzata tutta la potenzialità del montaggio e vedere un film era un’esperienza “forzata”, quasi uguale a vedere un’opera teatrale. Senza contare quanto ancora comoda e competitiva sia la tecnologia della carta…
L’elemento costitutivo del libro è il discorso di un autore ben individuato (paradossalmente, anche quando anonimo!) a un lettore. Ma è questa autorialità a venire polverizzata. Alle elementari per fare una ricerca prendevamo un libro, che aveva un editore, autori, redattori ben precisi… Le fonti del sapere oggi sono molto più capillari e a buon mercato, basta connettersi a Internet. Ciò ha degli aspetti evidentemente molto positivi (lo dico contro l’interesse professionale) ma anche molto dequalificanti.
Queste mie osservazioni naturalmente hanno una validità in particolare per il settore che conosco, che è quello della saggistica e della ricerca nel campo delle scienze umane.
Ci sono capitati alcuni manoscritti in cui ci siamo accorti che alcune parti erano prese da wikipedia, senza citarne la fonte. Ricordo che in un caso si trattava di un professore universitario. Non voglio vedere questa cosa sotto un aspetto moralistico, credo sia significativo un aspetto invece tecnico-antropologico. Immagino cioè che per comodità chi scriveva il testo abbia preso come una specie di appunto, servendosi del copia-incolla, pensando di ritornarci su quelle righe, per modificarle, arricchirle, ecc. E poi successivamente non sia più stato in grado di distinguere cosa scritto da lui e cosa no. Del resto ci succede lo stesso quando rubiamo idee, battute agli amici… ma queste nuove tecniche di scrivere e di comporre entrano in una sfera di intimità del pensiero e intaccano il controllo autoriale.
La fruizione di un sapere sempre totalmente accessibile minaccia quella splendida formazione interiore, umanistica, conosciuta dalla nostra civiltà, il che ovviamente vuol dire mancanza di capacità critica. Questo sapere sempre accessibile è comunque un sapere posto, talvolta manipolato, copiato e ricopiato nelle sue imprecisioni e nei suoi luoghi comuni…
Dall’altra parte ci sono elementi di forte suggestione e di numerose potenzialità nel cosiddetto “intelletto comune”, l’importante è non fare come nella “parabola dei ciechi” di Bruegel…
Dott. Revello il rapporto tra l’Autore e l’Editore è un rapporto amore-odio. Lei che è sia uno scrittore sia un editore cosa ne pensa?
Fin dagli albori tra editori e autori vige una certa tensione, ma sono convinto che facciano parte di una stessa impresa e abbiano un destino comune. Ecco perché resto al quanto perplesso sul cosiddetto selfpublishing. A soccombere con il selfpublishing è l’autore stesso. Essere selezionati è un valore per chi scrive, una garanzia per chi legge. Borges aveva immaginato quella figura di Funes el memorioso, un uomo che ricordava tutto, cioè nulla, perché per ricordare è altrettanto indispensabile dimenticare. E’ chiaro che l’eccesso distrugge la qualità e non è un caso che, in un periodo di crisi dell’editoria, il problema non sia certo quello che si fanno pochi libri, ma che se ne fanno troppi! E si smette di leggere anche perché ce ne sono troppi, troppo brutti o inutili a fare il destino dei capponi di Renzo.
In editoria, la cosa sempre più difficile è dire no (credo lo abbia detto recentemente la Sgarbi).
Allora per l’editore diventa quanto mai importante fare da comunità di riferimento, comunità sia di autori sia di lettori. Fare i libri che vorremmo leggere noi, i nostri autori e i nostri lettori. Doveroso ascoltarli, avere il polso della situazione, ma anche un fiuto innato, perché il valore e il successo di un libro non può mai essere previsto da una valutazione meramente commerciale. Lo sviluppo di Mimesis Edizioni ha seguito in fondo questa direttiva. Il suo fondatore ha cominciato a pubblicare libri perché erano progetti rifiutati dalle grandi case editrici, perché garantivano pochissimi margini per le loro dimensioni… La scommessa è rimasta questa: fare i migliori libri che ci è possibile fare.
Lei legge un’infinità di testi ogni anno, per mestiere e per proprio piacere. Quali sono suoi i libri preferiti, quelli che non dovrebbero mai mancare in una borsa da viaggio o sul proprio comodino?
Sono convinto del destino. Tra i romanzi che mi hanno entusiasmato svettano quelli che hanno per protagonisti redattori eroici e disperati, malinconici, sospesi tra diversi livelli di realtà e di irrealtà, che si giocano la vita in un gran gioco, per un’interpretazione, un “non” aggiunto al testo, un articolo inserito a tradimento in fase di stampa: penso a Sostiene Pereira di Tabucchi, a Il pendolo di Foucault di Eco, a Storia dell’assedio di Lisbona di Saramago, o a A che punto è la notte di Fruttero e Lucentini. In realtà di quest’ultimo ricordo più di tutto la figura di un redattore torinese che si lamenta sempre, perché non può mai dedicarsi a finire di curare un preziosissimo carteggio storico che ha tanto a cuore… beh quello potrei essere proprio io, un redattore-editore che rimpiange ogni minuto di non potersi dedicare esclusivamente ai suoi libri più “intimi”…
Ipse Dixit… Robero Revello