Armi e Legittima Difesa

Armi e Legittima Difesa

Ogni giorno i media si occupano di casi di cronaca che vedono agire come protagonisti uomini e donne armati. E spesso, ahimè molto spesso, i dati forniti ai lettori ed ai radio-tele utenti sono imprecisi, improvvisati, talvolta frutto di fantasia, luoghi comuni e basati su leggende metropolitane.

L’Ordine dei Giornalisti, evidentemente attento, ha deciso di inserire nel proprio percorso di formazione professionale una giornata di studio dedicata a Armi e Legittima Difesa: cosa dice la Legge.

Relatori sono stati due colleghi considerati tra i massimi esperti in materia. Li ho incontrati a margine del convegno ed ho raccolto alcuni loro pensieri.

Giulio Eugenio Orlandini, emiliano, 49 anni, gli ultimi diciotto dei quali passati nella redazione di Armi e Tiro, mensile nel quale ricopre la qualifica di caporedattore. Inizia a sparare all’età di 8 anni. A 18 inizia a collaborare con un quotidiano della sua città, iscrivendosi come pubblicista all’Albo dei Giornalisti; a 22 anni gli viene rilasciato per la prima volta il Porto d’Armi per difesa personale. E’ iscritto all’Albo dei Periti ed Esperti (Armi e Munizioni) della Camera di Commercio di Reggio Emilia, all’albo dei periti balistici e CTU del Tribunale di Reggio Emilia. Istruttore istituzionale (colui che rilascia il Cima a chi deve richiedere un porto d’armi) al Tiro a Segno Nazionale di Reggio Emilia. In redazione segue prevalentemente i temi legati alle attività sportive con armi da fuoco, oltre a occuparsi di prove di armi, ottiche e accessori.

Ruggero Pettinelli è nato a Genova nel 1974. Laureato in Giurisprudenza all’Università Statale di Milano è Giornalista professionista dal 2003, sempre con la rivista Armi e Tiro. E’ iscritto all’albo dei CTU del Tribunale di Milano in materia di balistica e nell’elenco dei Periti ed Esperti della Camera di Commercio di Milano, nella categoria “Armi”. E’ autore di diversi libri di argomento storico-tecnico sulle armi dell’Esercito Italiano dal XIX secolo ai nostri giorni.


Partiamo dalla definizione corretta di legittima difesa. Quali sono le norme di legge che la definiscono e quando può dirsi correttamente praticata?

GO La norma di riferimento in fatto di legittima difesa è l’articolo 52 del Codice Penale, articolo che è stato aggiornato e completato con la legge 59 del 2006. Le nuove disposizioni avrebbero dovuto avere un impatto positivo sul concetto di difesa legittima, in quanto stabilivamo che chi utilizza un’arma legittimamente detenuta contro chi violi il domicilio e per difendere la propria o altrui incolumità, così come i propri o altrui beni, quando non vi fosse desistenza e vi fosse pericolo, non sarebbe stato punibile. Disposizione da applicare anche nei luoghi in cui si eserciti attività commerciali e professionali. In realtà, l’applicazione è risultata assai complessa e, soprattutto, drammaticamente discrezionale. Anche perché formulata male! Io credo che si debba garantire al cittadino la possibilità di difendersi e l’impianto delle modifiche apportate all’articolo 52 non fosse neppure malaccio: purtroppo, credo si sia verificata la molto italiana necessità di un politicamente corretto per accontentare qualcuno, che, però, ha portato a mancare l’obiettivo: già la cancellazione di quel “quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione” all’interno della propria abitazione o luogo di lavoro sarebbe un grande passo in avanti.

RP: la legittima difesa, che è cosa ben diversa dal “far west” che spesso si sente invocare a sproposito, è disciplinata dall’articolo 52 del codice penale e prevede la possibilità di difendere un proprio diritto (quindi non necessariamente solo la vita) contro un pericolo che deve essere attuale, di ricevere un’offesa ingiusta. Si tratta, quindi, di una causa di non punibilità che agisce in via del tutto eccezionale solo ed esclusivamente quando ricorrano precisi presupposti. Quindi è chiaro, per esempio, che non può essere la Polizia o i Carabinieri a stabilire se una persona si è difesa legittimamente oppure no, ma debba essere necessariamente l’autorità giudiziaria.

Cerchiamo di fare chiarezza anche sui mezzi che possono essere utilizzati per la difesa personale e del proprio ambito familiare. Armi, mezzi contundenti, lame, spray eccetera.

GO … se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi indicati usa un’arma legittimamente detenuta e altro mezzo idoneo al fine di difendere…”. È la norma stessa, cioè sempre l’articolo 52 del codice penale, a parlare in termini generali: non si parla di armi da fuoco, bensì di “arma e di altro mezzo idoneo”. Certamente, l’impatto e la visibilità che sui media ha un episodio in cui siano coinvolte armi da fuoco sono quasi sproporzionati. Iniziano subito i confronti serrati tra i “pro” e i “contro” e le conclusioni sono pesantemente condizionate da un approccio spesso ideologico.

RP: la legge, in quanto generale e astratta, non fornisce un elenco degli strumenti di volta in volta utilizzabili, ma dà invece il concetto di “proporzione” tra offesa e difesa. Questa locuzione, troppo generica, è quella che ha portato maggior sciagura ai cittadini che si siano trovati nella drammatica necessità di difendersi e, quindi, nel 2006 è stata completata aggiungendo un secondo comma all’articolo 52 cp, il quale precisa che nel caso di violazione di domicilio la proporzione è presunta, quindi viene necessariamente riconosciuta, se si usa “un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo” per difendere la propria incolumità o i propri beni. In quest’ultimo caso, però, bisogna che non vi sia “desistenza” da parte dell’aggressore e che vi sia comunque pericolo di aggressione.

Qual’è la differenza tra la detenzione di un’arma ed il porto di un’arma? Quali sono i passi burocratici da compiere in entrambi i casi?

GO La differenza è sostanziale, enorme, ma nonostante ciò si tende spesso a fare confusione. In Italia, sono meno di ventimila le persone autorizzate da una Prefettura a portare un’arma per difesa, cioè ad averne l’immediata disponibilità anche al di fuori della propria abitazione: in macchina, al ristorante, a passeggio. Per ottenere tale licenza, oltre ai requisiti psico-fisici e morali, occorre anche un giustificato motivo che va, comunque, sottoposto al vaglio del Prefetto, il quale ha assoluta discrezionalità: se ritiene, seppur in presenza dei requisiti soggettivi, può negare il rilascio. Niente a che vedere con le persone che sono autorizzate a detenere una o più armi nella propria abitazione o, tutt’al più, autorizzate a trasportare armi per praticare attività sportive (Tiro a segno, Tiro a volo, Tiro dinamico, etc) e per esercitare la caccia. Ma trasporto e porto non hanno nulla in comune: nel primo caso, l’arma deve essere trasportata fuori dalla propria abitazione e durante il tragitto all’interno di una custodia, scarica e separata dalle munizioni.

RP: Il porto dell’arma consiste nell’averla addosso carica, nell’immediata disponibilità. Il trasporto significa avere l’arma scarica, nella sua valigetta, separata dalle munizioni. Oggi, solo il porto d’armi per difesa personale consente il “porto” in senso stretto, mentre le altre specie di porto d’armi, cioè il porto di fucile per caccia e per Tiro a volo, consentono solo il trasporto dell’arma, il porto è consentito solo limitatamente al terreno di caccia in periodo venatorio (per il primo caso) e sul campo di tiro per esercitazioni o gare (per il secondo caso). Per avere un qualsiasi tipo di porto d’armi bisogna essere incensurati e dimostrare di avere i requisiti psicofisici (quindi essere non solo sani di mente, ma anche non dipendenti da farmaci, stupefacenti, alcoolici), nonché l’idoneità al maneggio delle armi (conseguita mediante un corso-esame da sostenere in un Tiro a segno). Per il porto d’armi per difesa personale, inoltre, occorre dimostrare un giustificato motivo per portare addosso l’arma. Quindi, in Italia non c’è alcuna “deregulation”, né si può parlare di “armi facili”, al contrario vi sono regole precise e puntuali.

Rimaniamo nel campo delle armi da difesa personale. Esistono differenze, ad esempio nell’ambito delle armi da fuoco, tra la pistola di un componente le Forze dell’Ordine e quelle che si possono detenere in casa per difesa personale? Le munizioni sono le medesime?

GO Se si parla della pistola, la differenza è esclusivamente nominale. Le cinque forze di polizia nazionali hanno, nella stragrande maggioranza dei casi, la Beretta, la cui versione civile è praticamente gemella; per quanto riguarda la munizione, siamo l’unico al Paese al mondo in cui il 9×19, meglio noto come 9 mm parabellum, è considerato calibro da guerra, di cui è vietata la detenzione. Un danno enorme per i collezionisti. A suffragare l’assurdità della posizione del ministero dell’Interno, c’è il fatto che il suo omologo “civile”, il 9×21, noto anche come “italian nine”, ha caratteristiche balistiche praticamente sovrapponibili.

RP: “Le forze dell’ordine utilizzano un calibro, il 9×19 mm parabellum, che è praticamente identico sotto il profilo delle prestazioni alla sua controparte “civile”, il 9×21, ma che finora è stato precluso al possesso da parte dei privati per ragioni burocratiche e storiche che, oggi, appaiono quantomeno sorpassate.

Siamo abituati a vedere, in paesi ritenuti progrediti e civili come gli USA, stragi perpetuate con l’uso di armi da fuoco, che appaiono allo spettatore televisivo micidiali come armi da guerra. In Italia la normativa vigente è adeguata ad una maggior tutela della popolazione civile da usi così estremi e delittuosi?

GO Intanto, diciamo subito che, in fatto di armi, gli Stati Uniti non esistono: ci sono grandi differenze tra Stato e Stato e, comunque, la normativa italiana non ha paragoni. Prima di ottenere una licenza, sia la semplice detenzione o uno dei Porti d’arma, è necessario fornire un certificato anamnestico fornito dal medico di famiglia, il quale attesta che l’assistito non abusa di alcool, droghe e psicofarmaci; dopodiché, si va dall’ufficiale sanitario dell’Asl, il quale sottopone il richiedente a una visita, certificando la presenza dei requisiti fisici previsti dal ministero della Salute (visus, udito); altro documento fondamentale è il cosiddetto Certificato di idoneità al maneggio delle armi, che viene rilasciato da una sezione del Tsn, dopo aver preso parte a un corso e superato prove pratiche e teoriche. L’esperienza mi dice che quella italiana è una delle legislazioni più attenta e selettiva: è fondamentale, però, che le istituzioni coinvolte (questure, carabinieri, Asl) applichino correttamente i parametri stabiliti per legge, così come sarebbe fondamentale “metterle in rete” per attuare controlli incrociati che oggi ci sono, ma hanno tempi lunghi.

RP: è innanzi tutto il parallelo tra la situazione legislativa statunitense e quella europea o italiana, a essere sbagliato e anche la maggiore o minore “micidialità” dell’arma è un falso problema. Negli ultimi mesi, la Commissione Europea sta conducendo una vera e propria crociata per mettere al bando determinate tipologie di armi, considerate “più pericolose” perché hanno caricatori di capacità più elevata rispetto ad altre o “somigliano” ad armi da guerra. Dimenticano, però, che non sono le armi a uccidere, bensì che le impugna! E infatti, in Italia, l’ultimo delitto commesso con armi di quel tipo risale ai tempi della “uno bianca”, mentre la disponibilità di tali armi sul mercato legale è costantemente aumentata. Quindi, a fare la differenza (e il caso Calderini verificatosi a Milano nel 2003 è tristemente emblematico in questo senso) non sono le caratteristiche delle armi, ma il fatto che un soggetto abbia o meno i requisiti per detenerle. Occorre dire, in questo senso, che la legislazione italiana, pur perfezionabile, ha finora fornito ampie conferme sulla sua efficacia: i delitti commessi con armi da fuoco legittimamente detenute, oltre a essere una percentuale risibile rispetto al numero di armi circolanti in Italia, sono in costante calo da oltre un decennio.

Qual’è in Italia il rapporto tra il numero delle armi possedute e gli omicidi o tentati omicidi con armi da fuoco?

GO I dati aggiornati al 2015 forniti dal Ministero dell’Interno indicano in un milione, circa, i titolari di uno dei Porti d’arma previsti dalla normativa italiana. Sul numero delle armi effettivamente detenute in Italia, ci si muove tra tanta incertezza e un mare di leggende: il “cervellone” del Ministero dell’Interno non è affatto aggiornato per gravissime carenze tecnologiche; però, poi, lo stesso Ministero non perde occasione per accanirsi contro i possessori legali di armi, ogniqualvolta si verifica un fatto di cronaca. Forse, un controllo più accurato da parte delle autorità aiuterebbe a prevenire qualche tragedia (caso Calderini a Milano nel 2003 docet) e si eviterebbero inutili generalizzazioni contro i possessori di armi. Comunque, dai dati in nostro possesso, risulta che il tasso di omicidi per 100 mila abitanti, commesso con qualsiasi tipo di strumento (armi legali, armi illegali, coltelli, martelli…) è passato da 1,3 casi nel 2000 a 0,75 nel 2014. Se ne deduce che la percentuale di omicidi commessi con armi detenute legalmente in rapporto al numero di possessori è ridottissimo.

RP: I dati aggiornati al 2015 del Ministero dell’Interno ci dicono che i possessori di un porto d’armi in corso di validità sono poco più di un milione, tra tutte le specie di licenze e, negli anni passati, il ministero ha in alcune occasioni stimato che le armi legittimamente detenute siano complessivamente 10 milioni. Il tasso di omicidi per 100 mila abitanti, commesso con qualsiasi tipo di strumento (armi legali, armi illegali, coltelli, martelli…) è invece passato da 1,3 casi nel 2000 a 0,75 casi nel 2014. In pratica la percentuale di omicidi commessi con armi legali in rapporto al numero di armi detenute e al numero di possessori è infinitesimale.

Un giudizio tecnico; le armi in dotazione alle Forze dell’Ordine e la preparazione al tiro degli uomini in divisa schierati sul campo sono adeguate?

GO La preparazione del personale, mi spingo a dire nel 90% dei casi, è del tutto inadeguata. E questo vale per Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza, cioè la forze di polizia nazionali in “prima linea”. Al loro interno, vi sono ridottissime aliquote di personale altamente qualificato, che il mondo intero ci invidia, su tutti il Gis dei Carabinieri, utilizzato per operazioni antiterrorismo e contro la criminalità organizzata. Cito anche il Ros dei Carabinieri, il Nocs della Polizia e il Gico della Guardia di Finanza. Ma sono poche centinaia di uomini, su quasi 250 mila effettivi. Ci sono anche casi di operatori che si “autoaddestrano”, partecipando a corsi e praticando discipline sportive a proprie spese. Per quanto riguarda le armi, la pistola in dotazione, la Beretta 92, comincia ad avere i suoi anni, ma resta tra le migliori soluzioni che il mercato offre; non adeguata, invece, la “dotazione di equipaggio”: mi riferisco alla pistola mitragliatrice Beretta Pm12, non adatta a essere utilizzata negli attuali scenari.

RP: L’arma individuale in dotazione a carabinieri e agenti è la Beretta 92 Fs, una pistola dall’affidabilità e robustezza leggendarie. Per contro, il munizionamento utilizzato, di tipo militare con proiettile completamente blindato, non è ottimale per l’impiego in un contesto urbano, in quanto si presta molto ai rimbalzi e non ha spiccate capacità di potere d’arresto. Lo stesso vale per la pistola mitragliatrice (che usa lo stesso calibro), un’arma da saturazione che è quasi folle usare in aree densamente abitate. In Italia però, diversamente da altri Paesi come la Germania, un ragionamento su proiettili espansivi di moderna concezione è sempre stato considerato un tabù. Per quanto riguarda la preparazione, le pattuglie che circolano nelle nostre strade, purtroppo, si esercitano con le armi in dotazione troppo poco e sono gli stessi sindacati di categoria a lamentare questo stato di cose. Paradossalmente, oggi spara molto di più in addestramento una guardia giurata o un appartenente alla polizia locale, soggetti all’obbligo di sostenere una prova in poligono su base trimestrale, piuttosto che un poliziotto o un carabiniere, che magari sono anche due anni che non sparano un colpo.

Passiamo al lato sportivo nell’utilizzo delle armi. Sono molti nel nostro Paese gli appassionati di tiro?

GO Sono molti meno di quelli che potrebbero essere e tanti sono quelli che sono scoraggiati dalle norme spesso applicate male e in modo arbitrario da Questure e Prefetture, in barba alla normativa generale. Sono pochi soprattutto se si pensa a quello che rappresentano nel mondo le armi sportive made in Italy, fenomeno che cerco di spiegare con un dato clamoroso: all’Olimpiade di Londra 2012, delle 15 medaglie in palio nel Tiro a volo, maschile e femminile, tutte e 15 sono state vinte da fucili prodotti in Italia. Di più: dei 132 partecipanti nelle tre specialità, sono stati oltre 120 i tiratori di tutto il mondo che hanno utilizzato fucili italiani, ben 75 dei quali prodotti dalla Perazzi e 45 dalla Beretta. Per non parlare delle munizioni, altro settore nel quale le nostre aziende sono leader incontrastati al mondo.

RP: Fare una stima attendibile non è così facile, tuttavia si può senz’altro confermare che gli sport del tiro sono molto diffusi in percentuale tra i possessori di armi e, soprattutto, che gli sport del tiro hanno saputo regalare all’Italia, nelle Olimpiadi moderne, più medaglie di qualsiasi altra branca dello sport, individuale o di squadra. È anche giusto ricordare che per esempio nel Tiro a volo, l’industria italiana è leader assoluta: il 98-99 per cento degli atleti di livello olimpico utilizza fucili italiani.

Quali sono i passi da fare ed i costi da affrontare qualora si volesse iniziare a praticare il tiro sportivo?

GO Prima di tutto, bisogna dotarsi del porto di fucile per uso Tiro a volo, genericamente definito per uso sportivo: più o meno, la spesa tra visite mediche e certificazione al Tsn si aggira intorno 350 euro. Poi si deve decidere a quale attività del tiro rivolgersi: il Tiro a segno è, probabilmente, la disciplina meno costosa per un principiante e con meno di mille euro si può iniziare con un’attrezzatura dignitosa; il Tiro a volo costa di più: inutile iniziare con un “fucile olimpionico”, il cui prezzo arrivare a 20-30 mila euro, meglio scegliere un sovrapposto italiano e restare tra i 3 e i 4 mila euro. Il Tiro dinamico, infine, disciplina in forte crescita in Italia: una pistola per iniziare costa meno di mille euro, la buffetteria intorno a 300 euro, ma in questo caso è inevitabile ricaricare in proprio le munizioni per abbattere i costi e una buona attrezzatura costa intorno ai mille euro.

RP: Per quanto riguarda in particolare il tiro a segno, è opportuno ricordare che molti poligoni offrono la possibilità di fare fino a tre prove gratuite con armi ad aria compressa di modesta capacità offensiva (libera vendita) senza obbligo di iscrizione. Se il gioco piace, il primo passo è senz’altro iscriversi al poligono e affittare le armi di proprietà della struttura. Occorre una tassa di iscrizione annua di circa 50-80 euro, più (ovviamente) un certificato rilasciato dal proprio medico di base. L’affitto dell’arma e della linea di tiro e il consumo delle munizioni possono anche partire da meno di 20 euro per ciascuna sessione di tiro, ovviamente a seconda del calibro il costo può anche essere decisamente superiore, ma con un calibro economico e preciso come il .22 lr siamo su quelle cifre.

L’immagine dell’appassionato di armi, specie da fuoco, non è propriamente la migliore in circolazione. Pistoleri, guerrafondai, nipotini dell’ispettore Callaghan di periferia, o peggio ancora camorristi e bulli di quartiere. Qual è realmente il profilo dell’utente medio appassionato di armi in Italia?

GO Le definizioni che hai elencato sono letame, frutto di luoghi comuni e tanta ignoranza. Gli appassionati di tiro e di caccia sono medici e operai; dirigenti d’azienda e liberi professionisti; avvocati e artigiani; uomini e donne; persone mature e giovani. Rappresentano in maniera trasversale la società e in un campo di tiro tutti sono uguali, tutti hanno come unico obiettivo quello di fare un buco su un foglio di carta. Ma, soprattutto, sono persone normali, appassionate e super controllate!

RP: I possessori di armi sono, prima di tutto, persone incensurate, e questo è un dato di fatto, altrimenti l’autorità non solo non concede autorizzazioni, ma nel caso di condanne procede anche alla confisca delle armi. Sono persone comuni, che hanno trovato un hobby come tanti altri, che dà grandissima passione.

Tre peculiarità che dovrebbe avere un buon tiratore.
GO 
Capacità di concentrazione; autocontrollo; preparazione fisica. RP. Autocontrollo, calma interiore, capacità di concentrazione.

Insegnereste a vostro figlio ad utilizzare un’arma?

GO Io ho iniziato a sparare quando avevo 8 anni: mio padre mi ha fatto provare varie armi e mai ho avuto la curiosità di maneggiare un’arma al di fuori di un poligono, perché mi era stato spiegato quanto potesse essere pericoloso e perché la mia curiosità di bimbo era stata abbondantemente appagata dalle spiegazioni di mio padre. Io non ho figli, ma una delle cose che più mi ha dato soddisfazione è stato vedere mio nipote avvicinarsi volontariamente a 14 anni al Tiro a segno. Ero fiero di lui nel vedere come applicava scrupolosamente tutte le procedure di sicurezza sulle linee di tiro; così come ero orgoglioso quando, ottenuta la patente di guida a 18 anni, mi diceva: «Quando esco, non bevo mai alcoolici: temo che oltre alla patente, possano sospendermi anche il Porto d’armi».

RP: sì, e per due ragioni: innanzi tutto perché è uno sport bellissimo e in secondo luogo perché è proprio attraverso la conoscenza dell’arma, conoscenza alla quale si accompagna necessariamente il rispetto, che si evitano gli incidenti e le disgrazie.

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