1 Novembre 2016
Roberto Caputo è nato a Milano il 20/6/1951. Diplomato presso il Liceo Classico Berchet di Milano, si è quindi laureato in Lettere Moderne all’Università Statale. Sposato, un figlio, un nipote e una gatta…
Esperto di gestione delle risorse umane e di comunicazione istituzionale, scrittore di noir, ė stato assessore del Comune di Milano e Presidente del Consiglio Provinciale milanese.
Ha iniziato la propria carriera politica nelle file del Partito Socialista Italiano dove ha militato per 25 anni. Al suo scioglimento ha proseguito la propria attività politica, prima nell’ambito di Forza Italia poi si è iscritto al Partito Democratico.
Dott. Caputo partiamo parlando di Milano la città che, quasi sempre, con le proprie dinamiche politiche anticipa gli scenari nazionali a venire. Si ha l’impressione che le diverse anime della sinistra meneghina abbiano iniziato a trovare una certa sintonia, mentre il centro destra appare diviso più che mai.
In effetti le amministrative che hanno visto la nomina di Beppe Sala a Sindaco di Milano hanno dimostrato chiaramente che nella città esiste una salda maggioranza di centrosinistra con il Partito Democratico largamente superiore a tutte le altre formazioni politiche. La coalizione che ha permesso a Sala di vincere al ballottaggio era composta anche da una lista civica progressista e da quel pezzo di sinistra che si riconosceva nelle posizioni dell’ex Sindaco Giuliano Pisapia. Ad esclusione della sinistra radicare che in quella tornata elettorale si presentò da sola con la candidatura di Basilio Rizzo, ma che poi comunque alla fine votò per Sala. Il centrodestra a Milano vive una crisi d’identità che dura ormai da parecchi anni, dopo la pesante sconfitta subita da Letizia Moratti. Una crisi solo lenita dalla presenza di una candidatura credibile a Sindaco come quella di Stefano Parisi. Coalizione lacerata ed orfana di una forte leadership a livello nazionale. E’ evidente quindi che a Milano il centrosinistra è largamente maggioritario anche se ora dovrà dimostrare di saper governare il dopo Expo, gestire le periferie, la sicurezza e la grande scommessa sugli scali ferroviari.
Come valuta la politica milanese del Movimento 5 Stelle? La scelta del candidato da presentare alle ultime elezioni comunali è stata molto sofferta ed i loro risultati sono stati inferiori a quelli attesi. Hanno compiuto errori di strategia politica oppure è Milano ad essere una città troppo severa, una città che non perdona un candidato privo di carisma personale?
I 5 Stelle a Milano sono politicamente inesistenti. Nella legislatura guidata da Giuliano Pisapia la loro posizione è risultata sterile e assolutamente lontana dai bisogni che questa città esprime. Non hanno figure di rilievo e la scelta del candidato a Sindaco ne è stata una chiara dimostrazione. Milano è una città difficile da interpretare, ma soprattutto da governare. I 5 Stelle non danno nessuna garanzia di essere in grado di amministrare una realtà così complessa. Prendono solamente voti residuali non da un consenso territoriale ma esclusivamente dal traino nazionale. Troppo poco. I milanesi sono molto attenti anche a quello che i 5 Stelle fanno dove hanno vinto e governano. I risultati negativi di queste loro esperienze li hanno ampiamente penalizzati nella nostra città.
Alle ultime primarie comunali PD la prima candidatura lanciata è stata la sua. Poi, in corso d’opera, ha fatto un passo indietro. Cosa la spingeva a buttarsi nella mischia e cosa le ha fatto cambiare idea?
Milano è sempre stata una città con una forte tradizione riformista. I sindaci socialisti dal dopoguerra in poi sono stati coloro che hanno ricostruito la nostra metropoli ed hanno creato le basi perché potesse diventare una grande città europea. Il PD purtroppo è nato da una fusione a freddo tra gli ex-comunisti e gli ex-democristiani della corrente di sinistra. Per i socialisti non vi è mai stata una grande possibilità di espressione e di spazio progettuale. La mia candidatura nasceva proprio da questa esigenza. Ovvero quella di dare la possibilità di scegliere un candidato che provenisse da quella grande esperienza storica. Io sono stato e sono socialista. Mi sentivo in dovere di non far dimenticare quello che da un punto di vista amministrativo è stato dato a questa città. Mi sono ritirato perché di fronte a troppi candidati serviva un forte senso di responsabilità e di sintesi politica. Per questo ho scelto di appoggiare la candidatura di Beppe Sala.
Lei ha iniziato la sua esperienza politica nel Partito Socialista Italiano. Bettino Craxi guidava quel partito e la storia politica craxiana prese il via proprio da Milano. Alcuni detrattori lo ricordano come il politico sciagurato che ha di fatto estinto il partito politico più antico d’Italia. Ma ci sono anche moltissimi estimatori che lo considerano un cavallo di razza della politica nazionale. Lei come ricorda quegli anni e quel leader?
Io allora nel partito socialista ero all’opposizione di Bettino Craxi. Infatti militavo nella corrente di sinistra guidata da Riccardo Lombardi che è stato il mio padre politico. La figura di Bettino Craxi è una figura decisamente controversa che suscita ancora oggi forti odi e forti amori. Una figura ingombrante che ha segnato un’epoca della storia di questa Repubblica. Sicuramente ha commesso molti errori ma, a mio giudizio, Craxi rimane un grande personaggio ed uno statista riconosciuto come tale in tutto il mondo. In abbinata con Sandro Pertini, che gli diede l’incarico di Presidente del Consiglio, ha ridato dignità ad un Paese che ancora viveva forti contraddizioni dovute all’esperienza mussoliniana e che allora appariva come un debole vassallo americano. Si ricordi, come esempio, la vicenda di Sigonella. Non dimentichiamoci il ruolo che ha giocato, su invito dell’ONU, a favore della pace nel medio-oriente. Craxi è stato quello che lanciò la grande riforma per modernizzare uno Stato vecchio e polveroso. Craxi è stato quello che ha sostenuto, insieme a tutto il partito socialista, le grandi battaglie sui diritti civili come il divorzio e l’aborto. Molte delle sue idee, ricordiamo l’assemblea programmatica di Rimini in cui si parlò di meriti e bisogni, sono finalmente diventate realtà in questi ultimi anni. Era sicuramente un leader. Un leader troppo avanti per questo Paese.
Lei conosce molto bene anche le dinamiche politiche di quello che, quasi sempre, è stato il principale partito politico del centro destra, Forza Italia. Un partito che ha in Milano la propria roccaforte. Con un leader come Silvio Berlusconi, milanese doc, non avrebbe potuto essere altrimenti. Oggi Forza Italia vive un momento di grande travaglio interno. L’ennesimo tentativo di trovare il successore di Re Silvio parte all’ombra della Madonnina. Parisi, uscito sconfitto dalle urne alle comunali, si propone all’elettorato moderato e liberale che ha sempre premiato il Cavaliere. Cosa ne pensa?
Il progetto del ’94 di Silvio Berlusconi era quello di dar vita ad un grande partito liberal-democratico di massa che nasceva dalle ceneri della prima repubblica. Non ci è riuscito. E quindi, malgrado le vittorie elettorali, su questo versante ha perso politicamente. Ha avuto grandi intuizioni, ha cambiato il linguaggio politico, ma non è stato in grado, o meglio non ha voluto, dar vita ad una classe dirigente che si potesse chiamare tale. Tutto dipendeva da lui e dipende ancora da lui. Era l’unico che era in grado di tenere insieme le varie anime del centrodestra italiano. Ora che la sua leadership è decisamente offuscata, il centrodestra vive una crisi profondissima di proposta e di voti. Il suo timidissimo e quasi silenzioso no al referendum istituzionale dimostra il suo tentativo di giocare da protagonista per l’ennesima volta nel prossimo scenario politico. Ma il mondo è cambiato, tutto è cambiato. La carta Parisi, che avrebbe potuto rappresentare una novità se Berlusconi ci avesse creduto realmente, si è già molto appassita. Berlusconi oggi rappresenta una sorta di tappo che tiene tutto nel congelatore. Le praterie dell’elettorato moderato sono vastissime. In politica, quando si manifesta un vuoto, prima o poi qualcuno arriva a riempirlo.
Un’ultima domanda. Un altro milanese doc si candida a guidare il Paese, partendo da posizioni radicali e forte di un consenso elettorale ben strutturato al Nord. La secessione sembra un’idea antica e superata. Matteo Salvini e la Lega Nord puntano a guidare la futura coalizione di governo. Ed ancora una volta, si parte da Milano. Possono farcela?
Nelle ultime elezioni amministrative, malgrado la presenza ossessiva di Matteo Salvini in tutte le trasmissioni televisive e su tutti i giornali, la Lega non ha sfondato. Ha perso una sua roccaforte come Varese ed altri Comuni ed a Milano ha avuto un risultato molto deludente. Il sorpasso su Forza Italia non c’è stato. Matteo Salvini non è certo la Le Pen, il cui partito ha una valenza su tutto il territorio francese mentre la Lega ha un radicamento preponderante al Nord e decisamente molto relativo nel resto d’Italia. Infatti il tentativo di Salvini di trasformare la Lega in un partito nazionale è ad oggi fallito. Per guidare un Paese, una Nazione, per essere riconosciuti in Europa e nel mondo bisogna avere cultura e statura politica. Salvini ne è privo. E spesso, con i suoi proclami e le sue dichiarazioni, spaventa l’elettorato moderato che è l’asse portante di un partito che vuole vincere le elezioni e governare. Proprio per questo non potrà mai essere il leader del centrodestra.