ADRENALINA. Intervista a Zoran Filicic.

ADRENALINA. Intervista a Zoran Filicic.

Prima di conoscere meglio Zoran Filicic, riportando alcune sue brevi note biografiche ed intervistandolo, vorrei brevemente spiegarvi perché Zoran Filicic. Non è molto consueto intervistare un collega, ma con Zoran facciamo un’eccezione.

Perché Zoran. Perché è, in un mondo dei media che si evolve alla velocità della luce, un precursore. Detto in parole più povere, uno che guarda avanti, uno che è avanti. Molto probabilmente un giorno prossimo a venire, avere le sue caratteristiche professionali sarà essenziale, forse indispensabile, per poter lavorare nel grande mondo dei media e della comunicazione.

Zoran Filicic è nato nel 1968 a Milano da genitori croati. Come ama dire lui, sangue croato e passaporto italiano. Nato a Milano, veneziano per scelta.

Giornalista, reporter, speaker e presentatore di grandi eventi internazionali, commentatore tv, atleta. Ama gli sport che scatenano adrenalina; Surf, Snowboard, FMX, Freeski, MotoGP… Parla in modo perfetto italiano, croato, inglese e francese. Sospetto che se la cavi egregiamente anche con altre lingue.

“Dallo snowboard inizia la mia avventura nel commento sportivo: dopo un infortunio in boardercross mi capita di presentare, quasi per caso, una gara di amici; non ho più smesso”.

Dal 2010 è commentatore olimpico per Sky. Ha raccontato Vancouver 2010, Londra 2012 e Sochi 2014. Per Sky ha infatti commentato anche Snowboard World Cup, Freestyle Ski, World Cup, Winter XGames, Summer XGames e Red Bull Cliff Diving. Commentatore SKY Moto3 , Moto2 e MotoGP. Speaker ufficiale XX Giochi Olimpici Invernali Torino 2006.

Sono uno che ama. Sono un cercatore.

Chi è Zoran Filicic?

Partiamo bene! Una delle cose più difficili da fare è descriversi. Diciamo che sono uno che ama. Uno che fa principalmente le cose che ama. Ho sempre cercato di fare le cose che amo, ed è per questo che faccio questo lavoro. Ho iniziato semplicemente praticando con passione ed amore lo sport. Lo sport per me è sempre stata non una delle cose della vita, ma la vita stessa. Sto malissimo quando non faccio sport, quando non riesco ad allenarmi, o non posso surfare o non riesco a fare telemark oppure un giro in moto. Sia pur con tutte le difficoltà che ne conseguono, io provo della passioni e le seguo. Ma non è detto che a tutti questo possa andare bene. Quando ero più giovane i miei ci hanno messo un po’ a capire perché il loro figlio continuava a scappare, magari per andare nelle spiagge in Grecia, a fare traversate in barca, a fare qualsiasi cosa gli venisse in mente, sempre alla ricerca di qualcosa. Ecco forse sono un cercatore, non ho ancora capito di cosa, ma sono un cercatore.

Vivo a Venezia. Questa di vivere a Venezia è un’altra scelta che definirei d’amore. Venezia l’ho scelta per la sua qualità di vita e perché è un posto davvero speciale. Ho girato e giro ancora molto per il mondo. Sono contento, quando torno a casa, di tornare dove vivo adesso.

Sangue croato e passaporto italiano. Nato a Milano, veneziano per scelta, con il cuore rivolto al mare blu della Dalmazia”. Come ha fatto un uomo di mare a diventare un grande appassionato di un elemento naturale così diverso come la neve? 

Non lo so, forse seguendo la passione di mio papà. Mio papà iniziò a sciare a Zagabria da ragazzo, quando ancora non sciava quasi nessuno in Jugoslavia e se ti vedevano quasi ti ridevano dietro. Gli piaceva, ha voluto provare, ha imparato da solo. Poi quando ero molto piccolo ha portato anche me sulla neve, in Valle d’Aosta a Champoluc. Avrò avuto tre o quattro anni al massimo. Ho iniziato davvero giovane a sciare. In ogni caso neve e mare sono due elementi molto simili. Non parlo tanto della loro composizione, quanto del fatto che sia il mare sia la montagna sono entrambi ambienti da rispettare e da amare. Ti danno e ti tolgono, ti fanno sentire la persona più grande al mondo, ma possono anche darti una sberla in faccia e riportarti ad essere il più piccolo al mondo. E’ normale amarli tutti e due.

Cosa ti rimane nel cuore della Croazia e della Dalmazia?

In Croazia io non ci ho mai vissuto, ma il mio sangue è croato, è dalmata. La mia indole è croata. Io parlo in croato con mio figlio, con mia mamma, e sono completamente bilingue. Mi rimane l’educazione che mi hanno dato i miei genitori. L’educazione di mia mamma è tipica di chi proviene da Zagabria, molto di stampo austro-ungarico. E’ normale che sia così. Quando due italiani si trasferiscono a Parigi, è normale che continuino a parlare in italiano, a mangiare italiano, a vivere da italiani. Racconteranno favole ai loro bimbi in italiano. E questo è capitato anche a me con la lingua e le abitudini croate. I croati hanno un’indole un po’ particolare che quando torno in Croazia mi piace riuscire a riscoprire.

Tipicamente italiano credo che possa essere il piacere della convivialità, della condivisione, il gusto della cultura, della storia, dello studio.

Quali sono i tuoi tratti caratteriali tipicamente croati e quali quelli tipicamente italiani?

Tipicamente italiano credo che possa essere il piacere della convivialità, della condivisione, il gusto della cultura, della storia, dello studio. Sono tutte cose che ho imparato dall’Italia e che ho assimilato vivendo e studiando in Italia. Tipicamente croata è invece una certa tendenza a non sopportare le persone che si prendono troppo sul serio, così come tipica è la tendenza che abbiamo a metterci sempre in gioco.

Ti faccio un esempio. Parliamo di sport. In Croazia se un giovane tennista, magari di soli 17 anni, si trova davanti Federer o Nadal o Đoković l’atteggiamento è di questo tipo. Io sono Malinkovic (invento un nome a caso), tu sei Federer…bene vediamo cosa sai fare! Da non confondersi con la presunzione, l’atteggiamento del croato è questo: mettersi sempre e comunque in gioco. Dire ok dai proviamo, anche a costo di farsi male. E poi il romanticismo, un romanticismo malinconico che è tipicamente croato, ma ancora più dalmata.

Allenati come un atleta, mangia come un nutrizionista, dormi come un bambino, combatti come un campione.

Siamo quasi coetanei, tu sei di pochi anni più giovane di me. Ma dimostri almeno quindici anni di meno. So per certo che hai venduto l’anima al diavolo in cambio di una parola magica: crossfit.

Al crossfit sono arrivato tardi ma mi piace tantissimo. Il crossfit è un ennesimo challenge per me, mi ha davvero preso perché è totale. Una disciplina che fa stare davvero bene, quasi magica.

Richiede tantissimo impegno, fatica, tantissima dedizione e continuità. Che poi sono, in senso generale, le basi del successo. In questo momento vedo tanti atleti, anche piloti di Moto3, che fanno proprio il claim del crossfit. Allenati come un atleta, mangia come un nutrizionista, dormi come un bambino, combatti come un campione.

E’ una specialità davvero completa. Io ho poco tempo per allenarmi e quando posso lo pratico, in qualsiasi parte del mondo. Mi fa stare davvero bene e mi aiuta a comprendere davvero a fondo quali sono i mie limiti. Non ho più la possibilità e l’età per fare uno sport di squadra o comunque uno sport agonistico, ma il crossfit è una soluzione davvero efficace per tenere in forma corpo e spirito.

Hai studiato architettura, disciplina che permette di vedere le cose in modo differente dal consueto. In te domina la razionalità o la fantasia?

In me domina assolutamente e splendidamente la fantasia, che poi viene presa nelle reti della razionalità. La cosa veramente difficile, per mantenere sempre viva tutta questa fantasia, è imparare ad usare opportunamente la giusta dose di razionalità. Un grado di razionalità che mi consente di imbrigliare solo in una certa misura la fantasia, permettendomi però di usarla e di farla sfociare ugualmente, senza sosta. Senza la fantasia, senza un sogno un uomo non è niente. Come diceva il grande Muhammad Ali,l’uomo che non ha immaginazione non ha ali.

Molto spesso il tuo lavoro di speaker necessita di basi musicali. Quali sono i tuoi gusti musicali?

ROCK. Rock tutta la vita. Devo dire che io sono molto crossover un po’ su tutto. Essendo molto curioso, mi piace vedere, sperimentare, ascoltare di tutto. Un’altro fatto come me, curioso ed interessato a tutto è Kristian Ghedina. Quando eravamo insieme a Vancouver si faceva spiegare tutto, dal curling alla più inconsueta delle specialità sportive, qualsiasi cosa. Ecco io sono un po’ così. Se devo darti dei riferimenti musicali ti dico Metallica, Nirvana, Rolling Stones.

Sei mai stato tentato dal lato oscuro della forza, ovvero la musica classica?

Ah! Con la tua domanda senza saperlo hai toccato un’altra cosa di cui sono molto appassionato, dal lontano 1977, Guerre Stellari. Come tutti i bambini che hanno visto la saga di Star Wars, anch’io ho cercato di spostare qualsiasi cosa con la Forza ! Ahimè non ci sono mai riuscito…

Per quanto riguarda la musica classica ti dico di si, ho sentito la sua forza attrattiva. L’ho studiata ed ho suonato dei brani classici, anche con il sassofono. La musica classica è l’ABC della musica. E’ un po’ come la grammatica. Devi imparare quali sono le regole, tutto quello che è già stato fatto, per poi andare a rompere queste regole. Se facciamo un parallelo con la pittura possiamo vedere come ad esempio Picasso non sia arrivato così di botto al cubismo. Lui aveva una tecnica pittorica fantastica e solo dopo un certo periodo ed una certa preparazione ha rotto tutti gli schemi. La musica classica ha passaggi incredibili, sinfonie emozionanti, non puoi farne a meno. Devo dire che però la ascolto poco.

L’adrenalina è emozione. E’ tutto ciò che emoziona. 

Nella tua pagina web (www.doctorzo.com) dici di amare gli sport fighi. Quelli adrenalinici. Mi fa piacere, nel nostro blog Adrenalina e Motori dovresti trovarti bene. Cosa è per te l’adrenalina?

Vita, essere vivi, emozionarsi. Chimicamente l’adrenalina è una scarica che si prova in particolar modo quando si ha paura. Una scarica che rende tutto molto più chiaro. Ci sono dei tennisti che ad esempio usano tirasi delle grandi sberle sulla coscia per ottenere una scarica di adrenalina nei momenti decisivi dei loro incontri.

L’adrenalina è emozione. E’ tutto ciò che emoziona. Nella mia vita ho provato queste emozioni in particolare praticando gli sport che ti portano a contatto con la natura. Ad esempio surfando, quando sei a contatto diretto con le grandi onde. L’adrenalina ti aiuta a percepire il pericolo, a capire quale è il tuo limite. Con la tavola, con il surf, con lo snowboard, con la moto, arriva il momento in cui ti dici no, adesso stop, chiudo il gas. Questo è il limite che devi sempre essere capace di percepire e rispettare, e l’adrenalina aiuta a trovare questa lucidità. Adrenalina è toccare il limite ed avere la forza di non oltrepassarlo.

Ami il mare e le distese immacolate coperte di neve. Ed il rombo delle moto cosa ci azzecca?

Il rombo delle moto è adrenalina. I piloti dicono di riconoscere ogni moto, ogni modello, ascoltando esclusivamente il rombo del motore. Mi ricordo che da piccolo ho sempre desiderato la moto, non mi sono mai interessato alle macchine. Vivevo a Milano e puoi capire che la moto era il simbolo della libertà, della fuga. Il fatto di essere su due ruote è una sensazione unica. All’epoca poi non si usava nemmeno il casco, anche se io ho sempre promesso ai miei di metterlo. Nel momento in cui accendo la mia moto sento qualcosa allo stomaco, come un crampo allo stomaco. Emozionante.

(Zoran viaggia su Harley Davidson ed ama le moto vintage, storiche, particolari – ndr).

Sei un giornalista, regolarmente iscritto all’Ordine professionale, uno speaker ed un conduttore televisivo. Quali sono le differenze salienti di queste tre anime di una professione unica, quella del narratore di storie?

Vorrei essere proprio l’ultima cosa che hai detto. Un narratore di storie. La cosa più bella, la soddisfazione più grande del lavoro che faccio è proprio riuscire a narrare una storia, magari una storia particolare. E’ vero comunque che questa narrazione ha tre aspetti diversi tra di loro, anche se complementari.

Il giornalismo credo che sia un grandissimo “dovere”, perché richiede assoluta onestà intellettuale. Quello che racconti e come lo racconti richiede veramente tanta etica. Direi che nel fare il giornalista ciò che mai va dimenticato è che, quando si scrive, ci sono pochi diritti e molti doveri. Mi piace molto intervistare. Ultimamente di interviste ne faccio poche, ma mi piace molto trovare storie particolari ed andare a vedere cosa c’è dietro. Dietro ad una persona di successo ma anche dietro al vivere di una persona cosiddetta normale. Il giornalismo per me dovrebbe essere raccontare in modo obiettivo ed oggettivo quanto accade, dando l’opportunità alla gente di farsi una propria idea. Mentre il commentatore live ed il telecronista cercano di suscitare anche emozioni, il giornalista deve puntare a far ragionare il proprio auditore con la propria testa.

©Francesco Scaccianoce

Fare il telecronista è molto bello perché il tuo racconto è LIVE. Mentre racconti live, mentre racconti l’azione, devi riuscire a mettere dentro alla tua telecronaca tutto quello che c’è anche dietro le quinte, quello che in video spesso e volentieri non si vede.

Altro aspetto del lavoro è la presentazione di un evento. L’ Xfighters a Roma, la musica rock, il freestyle, lo stadio Flaminio gremito da ventimila spettatori, l’Olimpico da cinquantamila, sono emozioni grandi, anche questa è adrenalina pura, ma tanta tanta tanta.

Come abbiamo visto segui preferibilmente le discipline sportive adrenaliniche, fighe, quelle giuste, praticate da atleti giusti. Ma se ti offrissero un super contratto con un cachet da sogno per commentare i campionati nazionali di rubamazzetto accetteresti? Cosa sceglieresti tra la vil pecunia e lo sfotto’ a vita degli amici?

Ahahaha…. no, i campionati di rubamazzetto non li farei, ma non perché abbia qualcosa contro il rubamazzetto. Sai io non ho un agente, non lavoro per le agenzie, sono un puro freelance. In questo modo ho sempre avuto la possibilità di dire si o no ai progetti che mi venivano proposti. Certe cose magari le fai per pura curiosità, ma sono casi sporadici. Adeguare il mio modo di pensare e di vedere la vita di fronte ad un contratto troppo grosso, ad una valangata di soldi, significherebbe cambiare il mio progetto di vita. Sinceramente preferisco rimanere sulle mie corde e fare le cose che amo.

Stiamo vivendo un periodo storico molto agitato e controverso. Da una parte alcuni nazioni lasciano l’Europa Unita come la GB, dall’altra nuovi Stati entrano nella UE (ad esempio la Croazia). Forte della tua esperienza che ti ha portato in giro per tutto il mondo, come lo vedi il futuro dell’Europa? Meglio unito in un’unica comunità oppure meglio il ritorno ad una sovranità nazionale assoluta?

Io sono sempre stato europeista. L’Europa è un’entità che trovo molto differente da quelli che sono gli Stati uniti d’America, cioè un insieme di stati unificati sotto un unico governo. La mia opinione nasce anche dalla mia conoscenza diretta dell’esperienza jugoslava. In un preciso momento storico, nel 1991, la Slovenia prima e la Croazia subito dopo hanno votato la possibilità di effettuare una secessione dalla Jugoslavia. Queste due entità nazionali volevano, in quel momento, trasformare la vecchia Jugoslavia in una confederazione di stati autonomi sul modello della Confederazione Elvetica, dove la sovranità degli stati stessi è soggetta ad una unica Carta Costituzionale, senza tuttavia la presenza di un governo centralizzato che tutto sovrasta ed impone. Ecco, questa è la mia visione di Europa, nazioni che mantengono la propria sovranità senza centralizzare gli organi decisionali. E’ un processo molto lungo quello che può portare a far funzionare un modello politico del genere.

Un certo processo di globalizzazione potrebbe anche andare bene, ma quello che non è accettabile è che vengano ignorate le culture e le tradizioni dei singoli stati. Giusto avere delle regole generali condivise da tutti, ma è assurdo che un organismo centrale sovranazionale ci venga ad imporre la misura delle vongole o le modalità di cottura di una pizza. Queste cose fanno parte della tradizione e della cultura locali, è ridicolo un intervento normativo burocratico che colpisce tutti indistintamente, dal norvegese all’italiano, dal croato allo spagnolo. Io spero di vedere crescere un’Europa unita da regole ed ideali, come il libero mercato, non come un’entità politica centralista. La sovranità a mio avviso deve rimanere saldamente nelle mani di ogni singola nazione.

Due domande che non ammettono risposte diplomatiche. La tua squadra di calcio del cuore? Finale di un ipotetico campionato mondiale di calcio, al tuo collo troviamo una sciarpa azzurra oppure a scacchi biancorossi?

La mia squadra di calcio del cuore è il Milan (l’intervistatore esulta ndr).

La seguo dal 1975-76 circa. Non so nemmeno perché ho iniziato tifare Milan, comunque quella è la squadra che mi è rimasta nel cuore. Questa è una cosa che spesso mi hanno chiesto, ma non l’avevo mai detta a nessuno. Non parlo quasi mai di calcio. Le sfide tra Italia e Croazia le ho quasi sempre guardate da solo ed in silenzio. Per quanto riguarda una ipotetica finale mondiale tra le due nazionali, visto che insisti per avere una risposta ti dico CROAZIA. Ti dico anche perché. Perché noi (croati ndr) siamo piccoli. Mi ricordo la partita dei mondiali giocati in Corea-Giappone tra Italia e Croazia. L’ho vista in tv a Zagabria, quella volta insieme a tanti miei amici. Quando ad inizio collegamento abbiamo visto passare le formazioni siamo scoppiati tutti a ridere. Passi per la formazione titolare azzurra, ma poi ci siamo detti “ma con le sole riserve l’Italia può vincere un mondiale”! E noi dovevamo giocarci contro. In Italia si diceva, ”attenzione alla Croazia, squadra ostica” mettendo le mani avanti con prudenza, forse per scaramanzia. Noi eravamo più sfrontati, sapevamo che era una sfida Davide contro Golia. La nazionale di calcio italiana per i ragazzi croati è sempre stata un mito, ed anche in questo frangente è venuta fuori la nostra croatitudine, ovvero l’indole che ci porta a giocarci sempre tutto a viso aperto senza paura.

Ho avuto paura tante volte.

Hai mai provato paura, la paura di non farcela? 

Si, certamente. Ho avuto paura di morire, ho avuto paura di non farcela nel lavoro, di non farcela nello sport. Ho avuto paura tante volte. Non sarei cresciuto senza la compagnia della paura. Una volta stavo per mollare mentre surfavo, sotto ad un’onda in Marocco. Non ne venivo fuori, non ne venivo fuori, non ne venivo fuori… e stavo mollando. In quel momento ho pensato, per me è finita. Poi mi sono venuti in mente gli allenamenti di apnea che si fanno in piscina. Sei a dieci metri dal bordo vasca, non ce la fai più, pensi di scoppiare ed invece riesci a stingere i denti, riesci a trovare chissà dove un ultimo filo d’aria ed arrivi in fondo. Mi sono aggrappato a questo pensiero e mi sono salvato, ma la paura che fosse davvero finita è stata forte.

Dimmi il nome di tre grandi atleti che hai avuto la fortuna di conoscere di persona e che ti hanno veramente impressionato.

Uno su tutti è Dave Rastovich. E’ un surfista, per anni è stato considerato uno dei migliori al mondo. Un atleta che non fa contest, non fa gare, ma semplicemente cavalca le onde. E’ un grande personaggio, è anche relatore per le tematiche ambientali ed ecologiche di Al Gore, una persona estremamente intelligente. Siamo entrati in amicizia subito, abbiamo radici comuni, ed è una di quelle persone che emanano intorno a se un alone di carisma. E’ incredibilmente empatico con le persone , è un uomo che al di là del gesto atletico quando lo conosci BAAM! Ti investe, ti colpisce, ti prende. E’ anche uno yogi, è sempre in simbiosi con la natura, ha tutta una sua speciale delicatezza nelle relazioni, è molto fermo nelle sue opinioni, davvero un atleta ed un uomo notevole.

Atleti ne ho conosciuti ed intervistati tanti, non è facile sceglierne solo tre. Mi viene in mente un altro grande del surf, Kelly Slater, undici volte campione del mondo. Sono contento di averlo intervistato anche se non mi ha lasciato dentro un’impronta particolare, pur riconoscendogli un grande carisma. Un’altro grandissimo che mi ha invece veramente impressionato è stato Andy Irons. Proprio l’anno prima della sua morte (2010 ndr) avevamo passato insieme due settimane in giro per l’Italia, era una persona davvero particolare. Avevo per lui tantissimo rispetto.

Un’altra persona indubbiamente speciale è Valentino Rossi. Come Rastovich ha una capacità straordinaria di entrare in empatia con chi gli parla, che sia pubblico, che siano addetti ai lavori o giornalisti. Fa parte di quella categoria superiore di persone, di quelli che avrebbero avuto successo da qualsiasi parte. Questa è una valutazione che non do sul pilota, ma sull’uomo, sono sensazioni che provi da subito, sino dalle prime volte che ci parli.

Per ultimo Ghedina. Ha una curiosità, una voglia di vivere, un senso ed una ricerca dell’adrenalina notevoli. E’ una persona che ti far stare bene, sta allo scherzo, sorride sempre.

La maggior parte delle più recenti ricerche scientifiche dice che almeno il 70-80 per cento dei nostri ragazzi farà un mestiere o una professione che non è ancora stata inventata. 

Consiglieresti la tua professione ad un ragazzo giovane che deve decidere cosa fare della propria vita?

Questa è una domanda complicata. La maggior parte delle più recenti ricerche scientifiche dice che almeno il 70-80 per cento dei nostri ragazzi farà un mestiere o una professione che non è ancora stata inventata. Nella mia e tua generazione andavi a fare economia alla Bocconi perché sapevi che quel ciclo di studi ti avrebbe dato il posto di lavoro, andavi a fare medicina perché così avresti raggiunto un certo benessere ed una certa posizione sociale nella vita. Sono meccanismi che sono in parte saltati e sempre più stanno saltando completamente. L’unico consiglio che mi sento di dare è fai quello che desideri davvero, quello che ti senti dentro. Vuoi fare il calciatore, il telecronista, il musicista? Se ami sinceramente questo lavori, fallo! Se ti senti pronto, fallo, pero mettici anima e corpo. Anche se non arriverà il successo, anche se non sarai il più grande, ne sarà valsa la pena.

Non ho mai studiato per fare lo speaker. Ad un certo punto mi sono chiesto cosa avrei potuto fare per migliorare la voce. Forse un corso di dizione? No faccio tanti errori, ma sono io. Un corso da telecronista? No un corso no, preferisco ascoltare gli altri per imparare. Poi ho deciso di fare teatro. Il teatro è presenza scenica, è interpretazione. Sono stati due anni molto dolorosi, il teatro ti costringere ad andare molto in profondità dentro te stesso. Alla fine di questo percorso di due anni ho dovuto lasciare perché non riuscivo più a conciliare il teatro con gli impegni di lavoro ed i viaggi. E’ stato allora che il regista mi ha chiesto “ma ti piace il teatro?” Benedico il fatto di esserci arrivato tardi, perché se avessi cominciato a calcare il palcoscenico a quindici anni, mi sarei dedicato completamente solo a quello. Oggi sarei uno spiantato, probabilmente uno spiantato felice. Non avrei pensato a null’altro, perché le sensazioni che ti da il teatro sono davvero importanti.

Fare un lavoro professionale è cosa che ti impegna per un lungo periodo della vita, se fai una cosa solo per soldi (vedi rubamazzetto) ad un certo punto strippi. Devi amare profondamente quello che fai. Fare qualcosa solo per calcolo alla distanza non funziona, è meglio lasciar perdere.

eventualmente faccio un’altro patto con il diavolo! 

Zoran Filicic darebbe un anno di vita per riuscire a fare in futuro…?

Urca che domanda! Spesso penso che avrei potuto fare altre cose nella vita, ancora oggi volendo potrei fare esperienze diverse. Ma se faccio quello che faccio significa che le scelte che ho fatto a suo tempo sono state giuste. Un anno di vita per coronare un sogno… devo pensarci, eventualmente faccio un’altro patto con il diavolo!

Bene Zoran, buona vita e Grazie, Hvala, Thanks !

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