Umberto Eco si spegneva a Milano esattamente un anno fa, in tarda serata, circa un paio di ore prima della mezzanotte.
Se oggi potesse leggere queste mie poche righe, molto probabilmente si incazzerebbe di brutto. Nel suo testamento ha espressamente chiesto alla sua famiglia di non promuovere, incentivare, autorizzare convegni, seminari di studio o conferenze su di lui. Almeno per dieci anni dalla sua morte.
D’accordo Maestro, dei titoli accademici, del passato, dell’ateismo, della storia della sua vita, non scriverò. Se lo facessi non farei un gran danno, il web è colmo di pagine biografiche, basta digitare Umberto Eco e si possono comunque leggere vita, morte e miracoli.
Ma poche righe sui suoi libri si possono comunque scrivere, in fondo lo disse proprio lei:
“Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro. »
Penso di avere letto almeno dieci volte Il nome della rosa. La prima volta da ragazzo, facendo una fatica bestiale per decifrare ed intendere tutto quel latino che saltava fuori di continuo, prepotente ed altero. Fatica che si è affievolita nel tempo, lettura dopo lettura, a mano a mano che diventava sempre più familiare quella lingua morta così sensuale.
Un romanzo tradotto in oltre quaranta lingue, oltre cinquanta milioni di copie stampate, distribuite e vendute in ogni angolo del pianeta. La sceneggiatura del film potrei riscriverla a memoria. Un clamoroso successo di pubblico e di critica, un successo che qualsiasi autore si sarebbe appuntato sulla giacca come una medaglia d’oro al valore. Quasi tutti, ma non lei Maestro.
« Io odio questo libro e spero che anche voi lo odiate. Di romanzi ne ho scritti sei, gli ultimi cinque sono naturalmente i migliori, ma per la legge di Gresham, quello che rimane più famoso è sempre il primo ». Mi dispiace deluderla, sono passati quasi quaranta anni dalla prima lettura, non riesco ad odiarlo, anzi.
Non mi azzardo a parlare dei suoi trattati di semiotica e di filosofia, rischierei di fare una brutta figura.
Il pendolo di Foucault. 1988. Fu un colpo basso, tirato a tradimento. Cabala, alchimia, esoterismo, Templari, Rosa Croce, Gnosi, Massoneria. Il romanzo girava vorticoso su se stesso. Forse è una stregoneria che ti lega a quelle pagine, non ti lascia allontanare da loro. Vendette meno de Il nome della rosa. Ma la critica lo apprezzò.
« Il messaggio del suo libro, se letto – come bisogna fare – come un libro sui misteri della fine del XX secolo, potrebbe anche voler dire che la storia da lui raccontata non è ancora finita… » (Alberto Asor Rosa, La Repubblica)
« … come in un ricchissimo Alice nel paese delle meraviglie per adulti che hanno conservato le angosce dell’infanzia… » (Furio Colombo, La Stampa)
« Da quando ho cominciato a leggere Il Pendolo di Foucault non sono più uscito di casa: ho, per così dire, sospeso la vita. » (Ferdinando Camon, Il Giorno)
« Sono convinto che un giudizio serio su quest’opera (che è comunque straordinaria, anche a prima lettura) può essere dato solo se si tien conto della continuità di una linea critico-teorica che ha continuato a maturare nell’arco di trent’anni. » (Antonio Porta, Corriere della Sera)
Nel lettore si risveglia l’interesse per l’esoterismo, per i personaggi storici legati ai movimenti misterici del passato. E subito arriva la frustata.
“….. nel mio romanzo -Il pendolo di Foucault-, in cui si parla di gente che incomincia a credere nel ciarpame occultista. … nel pendolo di Foucault ho rappresentato quel tipo di persone in maniera grottesca….” (intervista di Deborah Solomon, La Repubblica, 25 novembre 2007)
Anno domini 2000. Esce Baudolino, la storia di un tredicenne adottato dall’imperatore Federico Barbarossa. I personaggi storici danzano tra le pagine del libro, seguendo il viaggio del ragazzo che cammina verso Est. Conta poco la trama, quello che rende il libro imperdibile è la ricerca di una terra mitica; nulla può fermare Baudolino che parte in direzione di un Oriente eterno, per un ultimo viaggio da cui sa che non farà ritorno.
2010. Il cimitero di Praga. Quante critiche, quante strumentalizzazioni, quante incomprensioni. Questa volta Maestro ha dovuto difenderlo energicamente questo libro, le accuse erano pesanti. Hanno scritto che un estremo antisemitismo pervade ogni pagina del romanzo Ne ha scritto persino l’Osservatore Romano. L’ho riletto il suo libro, più volte. Credo abbiano equivocato. Diversi critici letterari hanno interpretato in modo corretto lo spirito del libro, altri no. Ahinoi, la voce del dissenso, si sa, è sempre più fragorosa di quella del consenso. Serenamente, ai posteri l’ardua sentenza.
Numero zero (anno 2015). L’ho acquistato, ma non l’ho letto. E’ ambientato a Milano, è la sua ultima opera, il protagonista è un giornalista.
E’ lì sulla libreria, in alto, e ci rimarrà sino a quanto non sarà arrivato il momento perfetto per leggerlo. Ogni cosa a suo tempo.
Buon viaggio verso Oriente, Maestro Eco.