Incontro Cristina Cappellini, assessore alle Culture, Identità ed Autonomie della Regione Lombardia nel suo ufficio di Milano. Mi avvicino a questa intervista con una certa curiosità professionale. L’assessore Cappellini dirige uno degli assessorati più strategici della Giunta lombarda e lo fa con uno stile mediatico molto personale.
Della sua vita privata non si conosce praticamente nulla, in televisione non la si vede quasi mai, diserta sistematicamente i talk show, eppure nel circuito della cultura è molto conosciuta. Anche perché percorre in lungo ed in largo senza sosta la regione, non mancando mai ad una inaugurazione, ad un convegno, ad un evento culturale, ad una celebrazione. Sono pronto a scommettere che la sua auto di servizio sia quella con più chilometri macinati sul groppone. Dove la cultura si manifesta, la si trova sempre. Nella mondanità della Milano da bere, non la si trova quasi mai.
Giovane, alta, capelli ed occhi scuri, aplomb molto istituzionale, non timida ma molto riservata. Per nulla musona, ma abbastanza parca nel sorridere. Non parla mai coprendo la voce altrui e non interrompe mai chi sta parlando. E ascolta, con attenzione, ascolta. Qualità rara. Proviamo a scardinare la sua privacy professionale e personale.
Mi sono laureata in Giurisprudenza, con una tesi sulla crisi dei partiti politici nella crisi dello stato nazionale
Le informazioni biografiche reperibili in rete riguardanti la sua persona sono abbastanza limitate. Considerando che lei è un personaggio pubblico, e per di più un politico, la cosa è strana. Io rinuncio a fare il segugio e passo a lei la palla. Mi racconti chi è questa riservatissima Cristina Cappellini.
Dunque…quante ore abbiamo?? Le informazioni sono poche perché la mia attività pubblica è iniziata solo quattro anni fa, anche se in realtà io mi occupo di politica da quando andavo al liceo. Mi sono iscritta alla Lega nel 1996 ed ho quasi sempre ricoperto ruoli più tecnici che esclusivamente politici. Ho lavorato tanti anni a Roma presso gli uffici legislativi del Ministero delle Riforme e della Camera dei Deputati, seguendo la politica da dietro le quinte, analizzandone con attenzione gli aspetti tecnici ed organizzativi. Non ho mai ricoperto incarichi amministrativi elettivi (ad esempio sindaco o consigliere), di conseguenza del mio lavoro non ci sono molte tracce pubbliche.
Chi sono; è difficile parlare di se stessi. Partiamo dal fatto che il mio ruolo prende il via da una grande passione personale per la cultura, passione che il presidente Maroni conosce molto bene. Ci conosciamo da tanti anni ed abbiamo lavorato insieme a Roma, quando ricopriva l’incarico di Capogruppo della Lega alla Camera e quando era Ministro del Welfare. Una conoscenza di vecchia data impreziosita da tante passioni comuni , dal calcio alla musica, alla cultura in generale.
Mi sono laureata in Giurisprudenza, con una tesi sulla crisi dei partiti politici nella crisi dello stato nazionale, un tema abbastanza politico rispetto ad una materia prevalentemente tecnica. Il mio ruolo attuale mi consente di fondere l’esperienza quasi decennale, maturata all’interno degli uffici legislativi dei cosiddetti palazzi romani, con la passione per la cultura che mi porto dentro sino da quando ero ragazzina.
Che dire ancora… compio 39 anni il mese prossimo, non sono sposata e purtroppo non ho figli. La mia inclinazione personale e la mia tradizione familiare mi porta a dire “peccato”, perché la famiglia è uno degli aspetti fondamentali della vita di tutti noi, ma per per costruire una famiglia ci vogliono determinate condizioni che finora non ci sono state. Ho due bellissime nipotine e quando riesco a ritagliarmi degli spazi personali e privati mi piace passare del tempo con loro. Una compie undici anni il prossimo mese ed una ha solo due anni. Quando nel fine settimana ho qualche ora libera mi piace fare la zia. Questi sono momenti che mi danno tante soddisfazioni. I bambini sono straordinari, impegnativi ma straordinari.
io non ho una mentalità grillina e non credo che ogni cosa sia “casta”
Qualche giorno fa ho scoperto che un ridotto numero di persone ha la facoltà di circolare con la propria auto sulle corsie preferenziali di Milano, normalmente riservate ai mezzi pubblici ed agli autoveicoli destinati al pronto intervento. Nella giunta regionale lombarda lei è l’unico assessore a non avvalersi di questa facoltà. Non ama i privilegi o più semplicemente non ha la patente?
(Grande sorriso ndr) La patente ce l’ho ma guido poco, e soprattutto non guido in città. Preferisco usare i mezzi pubblici, soprattutto a Milano ed ovviamente quando non sono in servizio. Riguardo al tema del privilegio le dirò che io non ho una mentalità grillina e non credo che ogni cosa sia “casta”. Basta semplicemente intendersi sulle regole. Se una cosa si può fare, non la si può dipingere come privilegio o abuso. Se invece una cosa non si può fare ed è un abuso, allora va punito. In questo caso specifico non ho sentito la necessità di avere questa agevolazione, agevolazione che comunque – ripeto – non mi sento di chiamare “privilegio”.
Mi dia la sua personale definizione di Cultura, tenendo presente il fatto che lei dirige un assessorato alle Culture, al plurale.
Declinare la parola Cultura al plurale è stata un scelta fortemente voluta dal presidente Maroni all’inizio del mandato. Ha fatto questa scelta per rimarcare con forza l’impronta identitaria delle nostre politiche culturali; culture lombarde, che si differenziano tra di loro anche all’interno della regione, nei diversi territori, nelle diverse comunità.
Infatti noi parliamo di lingue locali, di patrimoni indennitari diversi e di specificità diverse. Noi viviamo in un territorio che va dalle vette della Valtellina, ai laghi, alla pianura padana (dove abito io), un mix di ambienti e di tradizioni diverse. Con l’uso del plurale abbiamo voluto rimarcare la naturale esistenza di differenze culturali esistenti all’interno del nostro territorio, un territorio ricchissimo di patrimoni immateriali differenti. Anche a livello linguistico nell’ultima legge abbiamo riconosciuto questa articolazione delle diverse lingue lombarde, che non sono tutte uguali tra di loro.
I concetti di culture, identità ed autonomie devono lavorare in assoluta sinergia tra di loro
L’assessorato che lei dirige si chiama Culture, Identità ed Autonomie. Quale di questi tre indirizzi politici ha il peso specifico più elevato?
La cultura contiene tutto. I termini identità e autonomie mettono l’accento sulle nostre politiche identitarie e sullo stretto rapporto che l’amministrazione regionale ha con i territori. Sino dal primo giorno di mandato ci siamo mossi andando sul territorio, incontrando sindaci, istituzioni ed associazioni locali, proprio perché qualsiasi progetto da portare avanti era da concordare anche con i territori e le comunità. I concetti di culture, identità ed autonomie devono lavorare in assoluta sinergia tra di loro, senza che nessuno di questi prenda il sopravvento sugli altri.
Quando nel 2013 lei venne nominata alla guida dell’assessorato regionale alla cultura molti addetti ai lavori furono presi in contropiede e davanti al suo nome rimasero stupiti. Oggi a distanza di quattro anni anche i più accaniti detrattori della sua parte politica le riconosco serietà, impegno e coerenza. Qual è stata la sua personale formula vincente?
Si, anch’io fui presa in contropiede! Direi che prima di tutto ho ascoltato; io e tutti i miei collaboratori ci siamo impegnati ad ascoltare. Abbiamo ascoltato tutti, qualsiasi amministrazione locale, i colleghi degli altri assessorati, i comuni, le provincie (quando avevano ancora senso di esistere), tutte le associazioni possibili ed immaginabili. Ho aperto la mia porta davvero a tutti, senza pregiudizi legati ad appartenenze ideologiche o politiche. Abbiamo deciso di instaurare un dialogo vero e costruttivo con tutte le realtà che meritavano la nostra attenzione, fornendo strumenti e collaborazione. Ovviamente non in base a simpatie, ma solo ed esclusivamente valutando i progetti seri e concreti, pur avendo io idee ed appartenenze politiche ben definite. E questo so che è stato un atteggiamento apprezzato da più parti, me lo dicono in molti. Mi dicono anche, ad onor del vero, che ho delle posizioni abbastanza radicali, comunque io parlo con tutti e soprattutto io ascolto tutti e mantengo buoni rapporti, interpersonali ed istituzionali, con tutti.
Lei è credente?
Si. Sono cristiana e cattolica. O meglio, io cerco di essere una buona cattolica, anche se non posso dirle se veramente lo sono. Io ci provo nel mio cammino quotidiano, poi lo sa anche lei, nessuno è perfetto.
Cosa cerca una donna del Terzo Millennio nella fede?
In questo periodo storico in particolare è arrivato il momento di credere in certi princìpi ed in certi valori che sono stati messi a dura prova. Il mio impegno nasce soprattutto dal rendermi conto che stiamo vivendo un momento storico drammatico e molto difficile. Cosa cerca una donna del terzo millennio nella fede? Semplicemente quello che hanno sempre cercato tutti sino dalle origini del Cristianesimo; i princìpi ed i valori nel tempo non sono cambiati, è cambiato però il nostro stile di vita. Forse è diminuito il tempo che dedichiamo alla riflessione su questi valori, ma le sensibilità sono le stesse. Una donna dei tempi passati, credente, non penso sia stata molto diversa da una credente di oggi; ciò che è diverso è il rapporto con la società e con la quotidianità del nostro vivere. Siamo bombardati dalla mattina alla sera da input di ogni tipo che assorbiamo consapevolmente o meno, e così abbiamo a disposizione molto poco tempo per riflettere, meditare e seguire una certa prassi spirituale.
Se ogni credente vivesse la propria religione con uno spirito non fondamentalista, ci si potrebbe veramente riconoscere reciprocamente con il massimo rispetto
Il Cristianesimo insegna che siamo tutti figli di un unico Dio. La fede dovrebbe renderci tutti uguali; invece succede che nulla al mondo è più divisivo delle religioni. Dove stiamo sbagliando?
Sbagliamo nel momento in cui interpretiamo la religione come qualcosa che va contro qualcun altro. Non condivido il pensiero di chi si rifà alla canzone Imagine di John Lennon, dicendo che senza le religioni si vivrebbe meglio. Abbiamo avuto modo di vedere, anche in un passato tutto sommato recente, come in stati governati da un ateismo di stato forte non si sia certo realizzato il paradiso in terra. Attaccare le religioni è sbagliato perché è l’uomo che usa le religioni per determinati scopi. Sono gli uomini a causare i problemi, non certo le religioni stesse. Il terrorismo islamico è una prova di quanto dico.
Abbattere le religioni significa abbattere tutta una serie di princìpi e di valori, vuol dire cadere nel relativismo che, come ha detto Benedetto XVI, è l’origine di tutti i mali. Se ogni credente vivesse la propria religione con uno spirito non fondamentalista, ci si potrebbe veramente riconoscere reciprocamente con il massimo rispetto, nel rispetto di ogni tradizione religiosa. Se ciascuno riconoscesse e rispettasse i propri valori e le proprie radici saremmo certamente più forti nel confronto con le altre religioni; quando invece si cercano asservimento e sottomissione, nascono i problemi. E quando a questo si aggiunge il manifesto desiderio di prevaricare, allora scoppiano i conflitti.
Come sono i rapporti tra l’Assessorato alle Culture, Identità e Autonomie di Regione Lombardia e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano?
I miei rapporti con l’assessore Del Corno (assessore alla cultura del Comune di Milano ndr) sono veramente buoni. Ci siamo sentiti anche due ore fa ed abbiamo affrontato alcune problematiche insieme. Con Del Corno c’è un rapporto di stima (reciproca credo) e di correttezza da entrambe le parti. Non ci sono mai stati problemi e molti progetti li portiamo avanti insieme. Su certi temi siamo proprio su due fronti opposti, però quando c’è rispetto, dialogo e quando si lavora per il bene dei territori c’è sempre ampia disponibilità, da parte di entrambi. Ognuno ha le proprie idee; le esprimiamo sempre in modo rispettoso e poi ciascuno fa le sue scelte.
A quanto ammonta il budget del suo assessorato? Lo ritiene adeguato agli scopi che si propone di realizzare?
Esclusi i fondi europei disponiamo di circa 18 milioni di euro all’anno, fatto salvo l’assestamento di bilancio che si effettua a luglio. Non posso lamentarmi per le risorse che vengono messe a disposizione del mio assessorato; dobbiamo sempre ricordare che l’80% del bilancio regionale viene impiegato per coprire la spesa sanitaria ed il 20% viene poi ripartito tra tutti gli altri assessorati. La quota per Cultura Identità ed Autonomie che esce da questo 20% residuo è interessante. Questo grazie all’impegno del presidente Maroni ed al lavoro preziosissimo del nostro Assessore al Bilancio che tengono molto alla cultura. Il loro apporto è molto importante. Le risorse che abbiamo potuto gestire ci hanno permesso di portare avanti tanti progetti vincenti e di sostenere sul territorio numerosi interventi che le ex provincie ed i comuni (i cui bilanci sono sempre più tagliati) non potevano sicuramente sostenere in proprio. Spesso siamo stati noi a sopperire alle carenze delle autonomie locali con i nostri fondi regionali. I progetti elaborati direttamente dal nostro assessorato hanno richiesto investimenti importanti, ad esempio il progetto Abbonamento Musei che ha richiesto un impegno di un milione e mezzo di euro in tre anni, un progetto tra i più apprezzati in Regione, sta dando a tutti noi grandi soddisfazioni. I numeri sono in costante crescita, ne abbiamo avuto conferma proprio pochi minuti fa, il trend è positivo. Senza i fondi riservati al nostro assessorato non avremmo potuto dare il via a questo ed a altri progetti, quindi… non mi lamento!
Ricordo che abbiamo sostenuto la cultura nei territori lombardi con fondi di rotazione per un totale di oltre nove milioni di euro, oltre ad avere aumentato i contributi di sostegno ai teatri; abbiamo cercato di sostenere tutti gli ambiti culturali integrandoli con tutta una serie di progetti elaborati direttamente dal nostro assessorato. Ci metterei la firma ad avere sempre queste risorse, ovvio che se ne arrivassero di più sarei la persona più felice del mondo perché ci permetterebbero di fare molto di più. Il referendum per l’autonomia del 22 ottobre dal mio punto di vista ha quindi una grande importanza.
Lei ha destinato recentemente 150.000 euro alla salvaguardia dei dialetti lombardi. Si sono levate da più parti voci critiche, ma si sono registrati anche molti e convinti apprezzamenti. Cosa rappresenta il dialetto locale, a suo avviso, in una civiltà globalizzata e multietnica come la nostra?
Una salvezza. Siamo in un momento storico in cui o si salva ciò che abbiamo, oppure si rischia di perderlo per sempre. Questa iniziativa non deve essere vista come un progetto a se, ma deve essere inquadrata in un progetto più ampio di salvaguardia del patrimonio immateriale. Un progetto che passa dalle rievocazione storiche alla salvaguardia delle lingue locali e delle comuni radici cristiane. Questa dei dialetti è una novità e deriva dalla nuova Legge sulla Cultura che ha introdotto il principio del riconoscimento della lingua lombarda, facendo seguito ad un allarme dell’UNESCO che qualche tempo fa segnalò il lombardo tra le lingue minoritarie in via di estinzione. Abbiamo raccolto quell’appello ed abbiamo deciso di dare un forte supporto alla lingua lombarda, in tutte le sue varietà locali, perché rappresenta un patrimonio straordinario a cui le comunità sono molto legate. C’è stata qualche critica e qualche posizione strumentale, ma il nostro atto (atteso da tempo) ha raccolto molti consensi in tutta la Lombardia. Dovevamo salvare un’identità e proporre un rilancio serio; o si faceva adesso oppure ci saremmo trovati un giorno a dirci “ma perché non l’abbiamo fatto a suo tempo…” con grandi rimpianti.
Ha apprezzato il bonus cultura che il governo Renzi ha destinato ai neo maggiorenni?
L’idea l’ho apprezzata, però mi pare che nel pratico non abbia funzionato. Anche leggendo diversi articoli di stampa mi pare che questa iniziativa non abbia dato grandi risultati. Un bel gesto che però alla fine ha rappresentato più uno spot piuttosto che un contributo reale allo sviluppo della cultura tra i giovani. Non è stato il primo passo nella costruzione di un percorso, è stata una iniziativa spot. Così lascia il tempo che trova…
Si può mangiare con la cultura?
Assolutamente si. Se vediamo l’indotto che crea, i primati che Milano e la Lombardia hanno registrato ultimamente, direi proprio di si. Pensiamo ad esempio alla qualità ed ai numeri dell’editoria lombarda, che da sola rappresenta il 20% del fatturato nazionale, e lo stesso vale per la musica, per lo spettacolo e per tutto ciò che si può definire “impresa culturale”. A livello di impresa culturale creativa siamo la terza regione in Europa; il fermento culturale lombardo crea senza dubbio un circuito virtuoso notevole.
Milano e la Lombardia sono un crogiolo dove si fondono culture provenienti da tutto il mondo. Pensa di poter tutelare l’identità lombarda nel rispetto delle identità dei nuovi cittadini che vivono in Lombardia provenendo anche da paesi lontani?
Non guardare alle culture dei nuovi cittadini stranieri è sbagliato perché vuol dire chiudersi e vivere in maniera autoreferenziale. Se poi devo decidere quale tipo di cultura devo difendere e valorizzare è ovvio che, essendo un assessore lombardo, io promuovo la mia cultura, le nostre radici e le nostre identità. L’ideale sarebbe riuscire davvero a creare quell’integrazione per cui una cultura non prevarica l’altra. Mi piacerebbe che chi viene da fuori apprezzi quello che sanno dare i nostri territori; deve esserci quantomeno reciprocità altrimenti si rischia di fare dei tremendi autogol. Come ad esempio nelle scuole dove non si fanno più le recite di Natale o i canti tradizionali per non urtare la suscettibilità di qualcuno, oppure dove si tolgono i crocifissi negli ospedali e negli asili per andare incontro alle altre culture. Ecco, questo è autolesionismo non integrazione. Per il resto si fanno i conti con la realtà e con quel qualcosa in più che, se non è prevaricazione, può anche arricchire entrambe le parti. Alla base di tutto c’è sempre il medesimo concetto: rispetto reciproco.
Autonomi innanzitutto da uno Stato centrale che ci sta ammazzando.
Assessorato alle Autonomie. Autonomi da chi e da che cosa?
Autonomi innanzitutto da uno Stato centrale che ci sta ammazzando. Al di là del residuo fiscale della Lombardia, che è di oltre 50 miliardi di euro all’anno (quanto la Lombardia versa allo Stato centrale rispetto a quanto torna indietro) c’è un problema anche nell’autonomia gestionale delle risorse. In Lombardia abbiamo dimostrato di essere la regione più virtuosa, con i conti in regola, con grandi ambizioni, con progetti innovativi copiati e studiati da tante altre amministrazioni italiane, siamo una delle regioni che meglio impiega i fondi europei; è giusto chiedere maggiore autonomia di scelta, di organizzazione e di spesa perché abbiamo dimostrato di essere virtuosi e capaci.
Quello del 22 ottobre è un passaggio importante, anche perché siamo sopravvissuti all’annientamento delle autonomie locali che, se fosse passato il referendum del 4 dicembre, avrebbe portato ad un azzeramento di ogni possibile autonomia, portando buona parte delle competenze regionali in capo allo Stato. Pericolo scampato; ora vogliamo rilanciare e chiedere quello che ci spetta. Abbiamo tutte le capacità, le professionalità ed i migliori modelli per potere reclamare questa autonomia.
Urge ormai una controrivoluzione culturale che rimetta al centro di tutto l’uomo, le identità, la speranza.
Il claim della sua pagina Twitter recita Urge ormai una controrivoluzione culturale che rimetta al centro di tutto l’uomo, le identità, la speranza. Lei si considera veramente una giovane rivoluzionaria?
Rivoluzionaria è un termine impegnativo! Io mi sento controrivoluzionaria. E’ la rivoluzione in atto che ci spaventa, dove i desideri diventano diritti, ad esempio il diritto ad avere un figlio anche con l’utero in affitto. Una rivoluzione che prevede che l’uomo diventi un prodotto commerciale e non un essere umano (in questo senso dicevo riportiamo l’uomo al centro dell’attenzione); si stanno ribaltando i valori su cui si è costruita la nostra società. Controrivoluzione quindi, contro le rivoluzioni imposte dal momento storico o dall’alto, che necessitano di un forte contrasto. Questa reazione o avviene adesso oppure rischiamo di essere completamente asfaltati dai processi di globalizzazione e dal decadimento morale che, veramente, mi preoccupa tanto. In un periodo in cui diventa assassino il pescatore o il cacciatore, parlando di aborto vediamo attaccare la regione Lombardia perché è la regione con il maggior numero di medici obiettori. Allora chiediamoci, vale di più un essere concepito oppure l’agnellino a Pasqua che diventa l’emblema della generosità o della compassione? Stiamo perdendo i parametri del buon senso e della ragionevolezza.
Cosa fa un assessore alla Cultura (ops, culture) nel proprio tempo libero? Non andrà mica a vedere musei, noiose mostre di pittura o ad ascoltare terribili concerti di musica barocca…
(Grande sorriso ndr) A volte si. Mi capita anche di fare queste cose con amici o parenti, poi conoscendo bene la materia mi permetto di dare anche qualche buon consiglio… Nel rarissimo tempo libero leggo (è una passione che non ho mai perso), mi piace starmene in pantofole comoda sul divano a vedermi un film che non vedo da tempo e poi faccio quello che fanno le persone comuni: pizza con gli amici, mi piace fare gite e viaggi, mi piace passare del tempo all’aria aperta. Il buon libro e le pantofole comunque per me hanno un certo fascino! Mi piacciono anche i concerti, adesso è iniziato il palinsesto per i 450 anni di Monteverdi, qualche concerto va sentito.
Il Rock??
Mah, non sono mai stata una grande appassionata di rock, anche se sono andata molto volentieri a vedere il concerto di Ligabue a Monza, un gran bell’evento. Sono più legata al Ligabue dei primi anni, comunque nel panorama del rock italiano lui è sempre un bel sentire.
Lei è reticente. Se le dico I Nomadi…?
Ferita aperta… Questa è una storia lunga. Per un lungo periodo della mia vita, da quando ero ragazzina, ho seguito i Nomadi e penso di avere visto decine e decine di loro concerti, soprattutto quando lavoravo a Roma. Avevo anche un collega che era appassionato dei Nomadi e ci siamo fatti insieme diversi week end in giro per l’Italia ad ascoltare i concerti. I Nomadi sono sempre stati il top per me in campo musicale. Però non sono riuscita superare la frattura che si è verificata quando Danilo Sacco ha lasciato il gruppo, lo conoscevo personalmente, persona straordinaria. Dopo di lui nessuno è riuscito a mettere in campo una personalità come la sua, lui era una grandissima voce ed un musicista capace di trasmettere emozioni speciali. La sua uscita dai Nomadi è stata una grande delusione e dopo di lui il gruppo, secondo me, non è stato più lo stesso. Ora non li seguo più, anche se ogni tanto mi riascolto i loro vecchi cd. Ho visto invece qualche concerto di Danilo Sacco post Nomadi, ma adesso proprio non riesco più a farlo, lui ha diradato le sue apparizioni ed a me il tempo manca. Dopo Augusto Daolio, il periodo di Danilo Sacco è stato il migliore. Oltre ai Nomadi mi piacciono molto anche i Tazenda (standig ovation del cronista che scrive che li adora…) e poi, ma lui lo do per scontato, Davide Van De Sfroos.
Le piace lo sport?
Si anche se non riesco più a praticarlo. Giocavo a tennis da ragazzina, poi ho avuto problemi di schiena e mi hanno consigliato di lasciar perdere. Mi piace anche il nuoto, ma adesso ho veramente poco tempo libero per fare sport.
Dai forza, dica due parole sulla sua squadra, che non è la mia. Siamo cugini….
INTER !! Per forza…
– E’ necessaria una precisazione. Il papa’ dell’assessore è Renato Cappellini, ex giocatore di serie A, centravanti della grande Inter di Herrera e nazionale azzurro. NDR –
Ai tempi di mio padre c’erano altri valori, il modo di vedere il calcio e la vita erano diversi. Il calcio non era il business che è oggi. Oggi il derby della Madonnina…non è più il derby della Madonnina. Oggi il derby è prettamente economico; per tradizione familiare la fede è sempre nerazzurra, ma con tanta amarezza. Poi diciamolo, dopo l’era Mourinho non possiamo certo dirci soddisfatti della squadra e dei mister. Comunque quello che più dispiace non sono i risultati, ma la perdita dell’identità (che ovviamente vale anche per il suo Milan), stiamo perdendo la memoria storica e quello che si è costruito in tanti anni. Quando mio padre mi parla della famiglia Moratti e dei tempi di Herrera, dai, era tutta un’altra storia, un altro modo di intendere il calcio. Sarà lo specchio dei tempi?
Le implicazioni sono tante di ordine sociale ed antropologico, quindi dico NO.
No alla liberazione della cannabis. No alla legge Cirinná. Per essere una persona giovane non è un pochino troppo conservatrice ed intransigente?
No no, sono conservatrice su questi temi, ma non direi troppo. La cannabis fa male ed io non concepisco la differenza tra droghe leggere che fanno bene e droghe pesanti che fanno male. La droga è droga e semplicemente cambiano gli effetti. Io mi sono documentata parecchio su questo tema prima di esprimermi e posso dire, ad esempio, che una canna di tanti anni fa non è più paragonabile ad una canna di oggi. La composizione del classico spinello negli anni è cambiata ed oggi è equiparabile all’uso di sostanze pesanti. Siamo già in un momento caratterizzato da crisi di valori, pieno di crisi depressive generate da questi momenti storici colmi di difficoltà, non vedo perché si debbano sostenere i giovani a fare uso di sostanze stupefacenti. Ed allora diciamo NO. Non sto dicendo che chi si fa una canna diventi un tossicodipendente, però il messaggio per i giovani che proviene da una Istituzione pubblica non può e non deve essere pro droga.
Riguardo la legge Cirinnà abbiamo preso delle posizioni nettamente contrarie ed abbiamo fatto le nostre battaglie. E’ una legge che abbiamo contrastato non solo nel merito ma anche nel metodo. E’ stata imposta, votata in tutta fretta, purtroppo anche con l’aiuto di quei cattolici che alla fine hanno voltato le spalle al mondo cattolico sostenendo il governo Renzi. C’è stato più di un vulnus nel procedimento di approvazione in Parlamento e poi non è stata tenuta in minimo conto la presa di posizione della grande massa di persone del Family Day. Nessuna rivendicazione è stata colta da parte del Governo; la legge si poteva evitare, poi però è diventata la bandiera politica di qualcuno contro tutto e contro tutti e, dopo una discussione limitatissima in Parlamento, è passata. E poi si vedono le conseguenze. Qualcuno per giustificarsi dice “ok però la step child adoption è stata espunta” , comunque lo sapevamo prima che poi ci avrebbe pensato la magistratura. Ed infatti ora si va oltre per via giudiziaria, superando il testo della legge. Diciamo che le cose andrebbero poi chiamate con il proprio nome, non Unioni Civili ma ciò che sono, ovvero Matrimoni Gay. Però usando questo termine l’opinione pubblica non sarebbe stata molto concorde ed allora è stato usato un trucco lessicale per fare credere qualcosa che di fatto non è, e questo è sotto gli occhi di tutti. Senza contare che poi si scardina il principio della famiglia, ex articolo 29 della Costituzione. Le implicazioni sono tante di ordine sociale ed antropologico, quindi dico NO.
Adesso l’approccio sta cambiando, c’è maggiore condivisione delle informazioni, le persone si interessano, vogliono essere coinvolte.
Quali sono i progetti amministrativi realizzati che la rendono particolarmente orgogliosa del suo lavoro?
La Card Musei innanzitutto, è stata una bella sfida ed è un progetto che ci sta dando soddisfazioni. In altre iniziative siamo ancora alla fase di semina, mentre in questo caso abbiamo già mietuto un bel raccolto. Siamo poi soddisfatti di avere sostenuto parecchie realtà in difficoltà che, senza la Regione, avrebbero chiuso i battenti. In controtendenza con il resto del Paese abbiamo riaperto nuovi musei, serrati da anni ed anni, abbiamo lanciato nuovi teatri nati con il sostegno di regione Lombardia, anche grazie ad un rapporto pubblico-privato che qui funziona. C’è fiducia da parte dei privati e delle aziende nei confronti di regione Lombardia e l’Istituzione ha capito dove andare ad investire. Cito ad esempio il progetto della Cappella di Teodolinda, il Duomo di Milano, i siti Unesco sui quali abbiamo fatto un lavoro, mi permetta di dirlo, davvero ottimo. Sa, quando mi sono insediata erano pochini i cittadini lombardi a sapere che il maggior numero di siti Unesco italiani sono posizionati nella nostra regione. Nelle scuole, tra gli alunni non lo sapeva praticamente nessuno. Adesso l’approccio sta cambiando, c’è maggiore condivisione delle informazioni, le persone si interessano, vogliono essere coinvolte. Avendo dato una spinta forte sul tema delle Identità mi rendo conto che si parla sempre di più e sempre più volentieri di identità, tradizioni, radici comuni rispetto a qualche anno fa. Riscossa, risveglio! Poi di cose ne abbiamo fatte talmente tante che…a volte non ce le ricordiamo nemmeno noi tutte!
Ho letto il suo libro Di sole non ce n’è mai abbastanza. Una volta comprato, girandomelo tra le mani, ho pensato “ecco il solito volumetto pubblicato per fare un favore al politico di turno che crede di essere un bravo scrittore. Sarà una delusione, comunque apriamolo e perdiamoci qualche minuto”. Confesso di aver preso una cantonata colossale.
Dieci racconti brevi pieni di dolcezza, malinconia, fantasia, sensibilità. Non c’è traccia di quell’approccio intransigente di cui parlavamo prima. Lo ha scritto davvero lei?
Ahahah si si.. l’ho scritto io. L’ho scritto qualche anno fa, quando mai lontanamente avrei immaginato di ricoprire il mio ruolo attuale. E’ stato pubblicato da una casa editrice che si è fidata di un’autrice in erba (era la mia prima pubblicazione). In precedenza avevo pubblicato diverse poesie, ma sempre inserite in antologie con altri autori. E’ stata una bella sfida, lo specchio di una serie di esperienze vissute in quegli anni. Magari adesso tratterei altri temi o mi occuperei di altre sfaccettature, però quello rimane una specie di ritratto di esperienze vissute negli anni passati. Nei diversi racconti brevi c’è molto di autobiografico, nel bene e nel male. Sono narrate diverse vicende drammatiche ma il messaggio comune era “guardiamo alla vita con speranza, al sole e quindi alla luce”, superando tutte le barbarie ed i drammi che la vita può riservare quotidianamente. Chi ha letto il libro mi ha detto che alcuni racconti sono molto tristi, lo confesso, forse è vero.
Il sogno nel cassetto di Cristina, non dell’assessore Cappellini.
A livello letterario riuscire finalmente a pubblicare un libro che ho da anni chiuso nel cassetto. Da quando sono qui all’assessorato non ho più avuto tempo e modo di riaprire quel cassetto e riprendere in mano le bozze. Mi piacerebbe rimetterci la testa sopra e continuare l’attività letteraria. Ora non è fattibile, si esce la mattina presto e si torna sempre a casa la sera tardi, non riesco proprio. Un giorno… prima o poi riaprirò quel cassetto.
E poi la famiglia, speriamo, prima o poi! Se si può definire un sogno allora si, il sogno di avere una famiglia. Ma questo non dipende solo da me… il libro è più facile da realizzare.
Grazie Assessore, buon lavoro e buona vita.