Incontro l’on. Emanuele Fiano in un torrido pomeriggio milanese, 41 gradi in via Turati, in pieno centro. Nessun sollievo arriva dal fatto di muoversi in moto nel traffico, si soffoca dentro il casco. Per fortuna Emanuele Fiano mi riceve in un ambiente decisamente più fresco, all’interno degli spazi espositivi della Società per le Belle Arti Permanente, storica istituzione milanese fondata a fine ottocento, che Fiano dirige con la qualifica di Presidente.
Uomo imponente, altezza e prestanza fisica da ex giocatore di basket, mi sovrasta di un paio di spanne nonostante il fatto che io superi di un po’ il metro ed ottanta. Cortese ma guardingo. Ascolta le prime domande con molta attenzione; atteggiamento che potrebbe far pensare ad una certa diffidenza di fondo. In realtà sta solo prendendo le misure al suo interlocutore e nel giro di pochi minuti si stabilisce un’atmosfera serena e rilassata. Tanto che il nostro incontro si concluderà davanti ad un caffè, meditando sulla comune necessità di perdere qualche chiletto con una dieta estiva equilibrata.
Ecco come l’on. Fiano si racconta in una breve autobiografia tratta da un social network.
Sono nato a Milano nel 1963. Nel 1988 mi sono laureato in Architettura al Politecnico di Milano; nel 2002 Dottore di Ricerca in Progettazione Architettonica Urbana. Nel 1996 sono stato candidato alla Camera dei deputati, collegio Giambellino/San Siro di Milano e nel 1997 sono stato eletto per la prima volta Consigliere Comunale nei D.S. a Milano. Sono stato rieletto in Consiglio Comunale nel 2001 e fino al 2006 ho svolto la funzione di Capogruppo dei D.S.
Nel 1989 mi sono sposato con Tamara Rabà, psicologa, anch’essa milanese; con lei ho vissuto per un anno in Israele, in un Kibbutz al confine con il Libano, e dal nostro matrimonio sono nati due bellissimi bambini di nome Davide e Michael, rispettivamente di 14 e 11 anni. Dal 1988 al 2001 sono stato Consigliere della Comunità Ebraica Milanese, e dal 1998 al 2001 come Presidente della stessa Comunità. Dal 2005 sono stato nominato segretario nazionale di Sinistra per Israele, associazione politica prima solo milanese, che insieme a Piero Fassino e Furio Colombo, che la presiede, abbiamo rilanciato a livello nazionale.
Sono stato eletto alla Camera dei Deputati nella circoscrizione III (Lombardia 1) nella lista dell’Ulivo all’elezioni dell’aprile 2006 e rieletto nell’aprile 2008.Sono iscritto al gruppo parlamentare del PD. Nella XV Legislatura ho ricoperto il ruolo di Segretario del Comitato Parlamentare per i Servizi di Informazione e Sicurezza e per il Segreto di Stato dall’11 luglio 2006 al 2008 e sono stato Componente della VI Commissione (Finanze) e della IX Commissione (Trasporti , Poste e Telecomunicazioni) dal 6 giugno 2006 al 2008
Nell’attuale legislatura sono membro della I Commissione (Affari Costituzionali) Sono l’autore della rubrica “Camera Caritatis” sul quotidiano on – line Affari Italiani e ho pubblicato diversi interventi su varie testate nazionali. Hobby: giocare a basket, sono tifoso dell’Olimpia Milano e del Milan.
Essere il figlio di un uomo come Nedo Fiano ha agevolato in qualche modo la sua ascesa politica?
Non ne ho idea. Essere il figlio di Nedo Fiano ha agevolato il fatto di avere dei principi in cui credere, avendo sempre una base di riferimento etica, morale e culturale certa. Non so se tutti hanno questa fortuna. Nella vicenda di mio padre ci sono degli insegnamenti incrollabili, sia di cose da fare sia di cose da non fare, e sono insegnamenti che mi hanno aiutato nella mia formazione personale. Non so dirle se ci sia stata anche un’agevolazione nella carriera, anche perché ho iniziato candidandomi al Consiglio comunale ed in quella competizione elettorale i voti te li devi trovare. Devo dire che l’inizio non è stato facile. Lui è stato molto importante per la mia formazione di uomo. Ripensando alla sua domanda posso anche aggiungere che la prima volta che mi sono candidato al Consiglio comunale di Milano sono arrivato ultimo della lista dei Ds, per pochi voti ultimo degli eletti. Ed il fatto che fossi stato comunque eletto l’ho capito solo nella notte successiva allo spoglio delle schede. Magari il mio cognome può avere in qualche modo agevolato la raccolta di qualche preferenza, ma certamente non ho percorso una strada già aperta.
C’è un tema divenuto per diversi suoi avversari politici strategico ed altamente simbolico: nomadismo e campi rom. Lei si metterebbe alla guida di una ruspa per risolvere quello che è agli occhi di molti un problema, oppure ha una diversa soluzione da proporre?
Non mi metterei alla guida di una ruspa nemmeno davanti ad un plotone di esecuzione. Il mio primo rapporto con i rom è avvenuto per il tramite di un racconto di mio padre, un racconto che lui ha ripetuto varie volte. Una notte era stato testimone oculare dello sterminio fisico del cosiddetto Zigeunerlager (il campo riservato ai rom o altrimenti detti zingari – ndr) di Auschwitz, dove erano internate diverse migliaia di persone deportate. Si dice che ne siano stati uccisi circa 500.000. Ai rom era permessa la detenzione familiare, mentre agli ebrei questo era negato e venivano subito divisi tra uomini e donne; a parte che poi circa l’85% degli ebrei veniva ucciso praticamente subito. I rom invece li tennero in vita per diverso tempo, consentendogli addirittura di tenere ed utilizzare degli strumenti musicali. La parte del campo che li ospitava era guardata in modo molto particolare dagli altri deportati. Una notte però vennero tutti riuniti, gasati e bruciati. Ecco questa vicenda tremenda, arrivata a me tramite il racconto di mio padre, è stato il primo contatto che ho avuto da bambino con il mondo rom. Una volta da consigliere comunale, già adulto e meglio informato, andai a visitare con una commissione consiliare un campo di rom italiani, residenti. Uno di loro mi avvicino’ e mi disse “mio padre è stato compagno di prigionia di tuo padre”. La sua è una famiglia molto attiva nella comunità rom milanese, e la cosa mi colpì molto. Il racconto di mio padre si ricollegava ad una realtà molto attuale. La mia opinione politica è che si debbano strutturare delle norme che impediscano ogni abuso e che si debba risolvere il problema del nomadismo abusivo dei rom costruendo vere situazioni di integrazione.
I rom devono vivere come vivono tutti i cittadini di questo Paese, ovvero lavorando, pagando le tasse, mandando i figli a scuola. Per loro provo un sentimento di fratellanza, che nessuno mi toglierà mai, per via di una vicenda in parte comune. Questo non mi impedirà mai di dire che non sopporto il fatto che una parte significativa di loro (anche se la maggior parte non sta nei campi) sia dedita ad attività illecite, ad attività criminali. Non chiudo gli occhi davanti al fatto che A: il problema va risolto- B: i rom (e sono tanti) che non sottostanno alle regole ed alle norme del nostro Paese, di civile convivenza e rispetto della legge, entrano in una fascia di abuso che io combatterò sempre. Lo faccio essendo, per fortuna, vaccinato contro ogni forma di razzismo e contro ogni idea di segregazione. Conosco le loro storie, ho visitato alcune loro famiglie ed ho ricevuto molto sotto il profilo emotivo. Questo non mi impedisce di sapere che ci sono molti problemi aperti (anche con gli altri italiani), problemi di abusivismo o di partecipazione ad atti criminosi che vanno totalmente risolti. Nell’interesse di tutti. La mia storia e la storia di mio padre che lei ha citato, mi insegna che non bisogna mai fare di tutta l’erba un fascio, mai considerare una comunità come un tutto unico.
Le ripropongo testualmente una domanda che avevo già fatto qualche mese fa all’onorevole Malpezzi, sua collega di partito e lombarda come lei.
Ultimamente la parlata toscana più che evocare i grandi come Dante, evoca il cosiddetto “giglio magico” di Matteo Renzi. Tradizionalmente i cerchi magici non portano bene (Lega Nord con Bossi docet). Non farebbe bene Renzi in futuro ad affrancarsi un pò di più da questo esasperato regionalismo del suo staff?
Guardi la Segreteria Nazionale del Partito Democratico, se non erro, in questo momento non ha toscani. Ci sono un emiliano, un lombardo, un marchigiano, un bolognese, si un toscano c’è, ma vive a Milano ed ha insegnato a Milano alla Bocconi. Poi c’è una ex sindaca di Lampedusa, una signora di Mantova, una romana. Mi pare un fatto abbastanza superato e poi credo che su questa cosa si sia esagerato. Un leader fa sempre bene a non restringere il cerchio delle persone che collaborano con lui, ma d’altra parte è normale (è sempre successo nella storia) che si porti dietro i collaboratori con cui ha iniziato e strutturato la propria carriera.
Adesso che il Cavaliere ha ceduto il nostro magico Milan, è lieto di non doverlo più definire il mio Presidente?
Riprendiamo fiato parlando di un tema che probabilmente a molti non interessa nemmeno un po’.… (peggio per loro!) Però a noi milanesi-milanisti interessa, eccome! Cosa ne pensa del gran rifiuto di Gigio Donnarumma? Adesso che il Cavaliere ha ceduto il nostro magico Milan, è lieto di non doverlo più definire il mio Presidente?
Fiano sorride, nemmeno troppo sotto i baffi. ndr.
Io facevo parte della minoranza dei milanisti: i Milanisti Democratici ! I presidenti non li scelgono i tifosi, Berlusconi è stato il presidente pro tempore della squadra a cui tengo…sino da bambino. Dato che l’intervista spazia da questioni politiche a questioni più sociali e di costume, riguardo Donnarumma le dico che un ragazzo della sua età dovrebbe stare attento a non seguire solo i soldi o l’apparente successo, esplosivo ed immediato, a soli diciotto anni (se poi le cose sono andate come le leggiamo, io non ne ho la certezza). Credo, e lo dimostra la storia di tantissimi campioni, che a volte la fedeltà ad una maglia renda di più nel tempo, piuttosto che l’inseguire il sogno del guadagno facile ed immediato. Donnarumma è stato molto amato dai tifosi milanisti ed ancora lo è, nonostante la crisi degli ultimi tempi. Il Milan con la nuova gestione sta facendo una campagna acquisti molto promettente, sinceramente gli consiglierei di non sprecare una carriera tecnica solo per inseguire il vil denaro.
Pochi giorni fa Il Fatto Quotidiano le ha dedicato una pezzo a firma di Andrea Scanzi. Ne traggo un passaggio: Persona garbata, ha il pregio di andare in tivù anche con giornalisti sgraditi: i renziani non lo fanno quasi mai. E’ però permalosissimo. Scanzi ci ha preso oppure di lei non ha capito molto?
L’ho letto, Scanzi lo conosco, sono stato qualche volta in televisione con lui. Io non mi riconosco molto in questo pensiero sulla mia permalosità. MI riconosco invece nell’idea della mia pignoleria. Siccome loro, i giornalisti de Il Fatto Quotidiano, spesso sono molto documentati sulle cose, io mi picco di essere uno altrettanto documentato. Con Scanzi ci fu uno scontro a Ballarò sulla questione dei tagli alle forze dell’ordine; lui sosteneva il fatto che noi avessimo tagliato molto, io sostenevo il fatto che lui non conoscesse i dati. Lui mi sfidò dicendomi di produrre i documenti, ed io li produssi dopo la trasmissione, dopo una settimana. Documenti del Tesoro, della Ragioneria di Stato e del Ministero degli Interni; lui riprodusse il mio tweet con tutti questi dati senza profferire parola. Io l’ho sempre considerata una vittoria della precisione e della preparazione. Secondo me in televisione (chiunque PD, Lega..chiunque) ci si deve andare preparati, non solo a ripetere quello che ti hanno detto di dire. Bisogna conoscere gli argomenti di cui si parla, a costo di dire con onestà io questo non lo so. Se conosci bene l’argomento trattato non c’è giornalista che possa attaccarti. Ringrazio Scanzi per il continuo interesse nei miei confronti.
Ius soli. Provi a spiegarmelo. Porte aperte alla Renault oppure atto politico illuminato ed al passo con i tempi?
Lo Ius Soli è una legislazione, peraltro già presente in altri Paesi, che sancisce una modalità del diritto. Il diritto di chi nasce nel nostro Paese, in una famiglia dove c’è regolarità (non clandestini), di chi compie nel nostro Paese un ciclo di studi, di chi entra nella nostra cultura, di chi ne conosce le lingue e magari è il compagno di banco dei nostri figli. Secondo me va promossa fino in fondo l’integrazione di chi vuole veramente integrasi (concludendo l’intero ciclo scolastico). Bisogna impedire che esistano centinaia di migliaia di minorenni che vivono da italiani, studiano da italiani, sono compagni di gioco dei nostri figli, e poi vivono in un limbo di identità. Io penso che lo ius soli sia uno strumento per combattere l’integralismo o, per dirlo con parole diverse, per combattere la cattiva integrazione. Ne parlavo anche ieri in una trasmissione televisiva con il capogruppo della Lega al Senato Centinaio (Tagadà LA7- ndr), prendendo ad esempio i luoghi dove purtroppo si continuano a ripetere terribili attentati terroristici, penso al Belgio ed alla Gran Bretagna. Sono nazioni dove esistono quartieri in cui l’integrazione non esiste; Molenbeek ad esempio, dove la polizia non entra, oppure alcune zone a nord di Londra dove giovani di seconda o terza generazione, che non sono riusciti ad integrarsi, avrebbero voluto vivere addirittura secondo le leggi della Shariʿah e non dello Stato.
Io credo che lo ius soli sia esattamente il contrario di tutto questo. Vuoi essere italiano? Vuoi che tu figlio minorenne sia italiano? Tu allora devi vivere come gli altri italiani, devi seguire un corso di studi, devi prendere un diploma, devi imparare la lingua, la cultura e la Costituzione. Ed allora ti integri realmente, indipendentemente dalla tua identità familiare differente. Secondo me lo ius soli sancisce e difende un diritto che ha un contenuto etico ed un contenuto pratico fondamentale. Una delle armi che abbiamo per combattere il terrorismo fondamentalista è una integrazione regolata da regole giuste.
Sa cucinare? Cucina ebraica o milanese? C’è un piatto al quale non sa resistere?
Si abbastanza. In questo periodo soprattutto primi piatti e sughi. Cucino non solo alla milanese, anche se questa cucina mi piace molto. Credo di sapere fare bene il risotto alla milanese, secondo le regole classiche. Ma me la cavo bene anche con la pasta alla amatriciana. Cucina ebraica…uhm..direi di no. Su alcune cose che riguardano la tradizione ebraica è più brava mia moglie. Premetto che sono giorni di dieta feroce, comunque sono parecchi i piatti a cui non so resistere; in questo periodo di sicuro cedo davanti ad una fetta di anguria. Poi è difficile resistere ad un buon risotto, in questo sono molto nordico, milanese, i risotti mi piacciono molto.
Lei era quasi riuscito a portare a casa una riforma istituzionale molto importante, la riforma elettorale. Il cosiddetto modello Fianum, che apparentemente piaceva a molti. Ma in Aula qualcosa è andato storto. Quali erano i punti di forza del Fianum e perché è colato a picco?
Si prepari perché in questa risposta non potrò essere breve. Ci sono cose che vanno spiegate bene. Il modello che ho presentato arriva dopo due tentativi di legge maggioritaria: il Mattarellum ed il Rosatellum, che prende il nome dal capogruppo PD alla Camera, e che è un sistema semi-maggioritario. Erano entrambi sistemi dove (totalmente nel Mattarellum e parzialmente nel Rosatellum) esisteva un premio per il vincitore, un premio che aumenta la possibilità di governare e rafforza la stabilità dei governi in quanto aumenta il tuo peso proporzionale. Vista la mancanza di voti a maggioranza per questi due sistemi abbiamo elaborato, ed io ho proposto, un sistema proporzionale. Il sistema proporzionale più conosciuto è il cosiddetto tedesco che si basa sia su collegi uninominali sia su liste, dove però la quantità di seggi che uno prende dipende dal suo peso proporzionale. Il tuo consenso elettorale è del 30%, bene prenderai il 30% dei seggi in Parlamento; una parte li ricaverai dai collegi ed una parte dalle liste. Lei ha detto che tendenzialmente piaceva a diversi partiti. Vediamo. Ai 5 Stelle andava bene perché sono un partito che non si vuole alleare, quindi andava bene il sistema proporzionale. A Forza Italia, presumibilmente, perché era un sistema che avrebbe potuto consentirgli di essere indipendente dalla Lega; non è necessario mettersi insieme con qualcuno, il tuo peso proporzionale rimane quello. Per il Partito Democratico era la terza scelta. E per la Lega Nord anche, in quanto la Lega prediligeva il sistema maggioritario. Visto l’invito del Presidente della Repubblica che ci stimolava a dare al Paese una legge elettorale che uniformasse i sistemi di Camera e Senato, ci siamo sforzati per ottenere un sistema che ottenesse il maggior consenso trasversale possibile. Ripeto, ci siamo sforzati. Il monito del Presidente era giustissimo e se fossimo riusciti – non so se ci saranno altre possibilità – a realizzare la sua indicazione avremmo avuto per la prima volta (almeno negli ultimi venticinque anni) una legge elettorale supportata dal 70-80% dei voti parlamentari. Una misura che definirei anche pacificante, viste le campagne elettorali alle quali ci siamo ormai abituati, piene di scontri continui. Sostanzialmente questo è il riassunto delle genesi di questo sistema. Sappiamo che soprattutto sulla base delle ultime sentenze della Corte Costituzionale, ed anche grazie alla presenza del Movimento 5 Stelle, stiamo vivendo in un sistema che dopo 22 anni circa di maggioritario sta tornando al proporzionale. Con tutto il bene ed il male che se ne può dire.
i 5 Stelle non hanno retto per motivi interni.
Perché allora tutto è colato a picco?
Questa è una domanda complicata. Io penso che i 5 Stelle non abbiano tenuto in adeguata considerazione il fatto che quando fai un accordo con quattro forze politiche (forse cinque, con qualche aggiustamento forse avrebbe aderito al progetto anche Articolo 1) devi essere capace di fare un passo indietro anche quando la tua base ti chiede determinate cose. E tanto per essere chiari, l’accordo c’era. Ed invece i 5 Stelle rispetto ad una tematica specifica (il sistema elettorale del Trentino Alto Adige) hanno ritenuto che si potesse fare una prova di forza, portando avanti il proprio punto di vista, non da tutti condiviso. Nonostante il fatto che io avessi chiarito ben due volte in Commissione che il PD non avrebbe aderito alla loro richiesta ed a quella di Forza Italia. Quando si fa un accordo si portano avanti i punti che sono condivisi, lasciando indietro quelli che non lo sono. I 5 Stelle hanno utilizzato un altro metodo; questa è l’ipotesi più buona. Nell’ipotesi più cattiva, tra di loro – internamente – l’accordo non reggeva. E questo è chiarito anche da alcune dichiarazioni di Fico e della senatrice Taverna; lo stesso Grillo il giorno prima della caduta diceva che era un testo incomprensibile, e questa non è certo una dichiarazione positiva. Non riuscivano a reggere il fatto che una parte del loro elettorato non accettasse di andare oltre al modello ideale che avevano precedentemente ipotizzato. Tanto è vero che avevano annunciato un nuovo sondaggio in rete. Questa è l’ipotesi più politica: i 5 Stelle non hanno retto per motivi interni.
Lo fa un pensierino alla candidatura alla carica di Presidente della Regione Lombardia? Dovremmo votare il prossimo anno, Maroni è già pronto a scendere ancora in campo. Gori sembra essere lo sfidante più accreditato, anche se sono in tanti ad attendere la vera candidatura vincente del centrosinistra. Il suo nome gira… ancora sotto traccia, ma gira.
No, no, no… per me il candidato migliore che abbiamo in questo momento potrebbe essere effettivamente il sindaco di Bergamo. Io non sono interessato a questa vicenda.
Lei è nato nel 1963 e si è sposato nel 1989. Appena sposato ha trascorso due anni con sua moglie in un kibbutz in Israele. Cosa stava cercando? Oggi consiglierebbe ai suoi figli di fare un’esperienza analoga?
Si la consiglierei. E’ stata un’esperienza molto particolare. Un’esperienza formativa, di crescita personale. Oggi è un po’ cambiato il kibbutz. Era una vita fondata su valori comunitari, collettivi. Alla nascita di questo fenomeno storico ognuno lavorava per quello che poteva e riceveva quello di cui aveva bisogno. Un sistema di socialismo perfetto, dunque un sistema che aiutava a cercare la propria crescita personale, ed anche la crescita di coppia. Si la consiglierei. Mio figlio ha fatto un’esperienza in giro per il mondo tra la maturità e l’università (che deve ancora iniziare); pensando a questi tempi sincopati, a tutta questa fretta di vivere, a questo mondo dove i social ti riempiono di sollecitazioni ogni secondo, un periodo di riflessione ci sta. Un momento di arricchimento che non è legato alla necessità di ottenere performances immediate è molto utile e formativo.
Lei appartiene alla Comunità Ebraica di Milano, che ha anche presieduto, ed immagino che non sia cattolico. Cosa ne pensa del fatto che la CEI * spesso e volentieri si getta nell’agone politico italiano dando pareri, consigli, sferzate, richiami?
Molti cattolici stigmatizzano il fatto che un organismo religioso faccia politica, mettendo i piedi su un terreno di gioco laico per definizione. La vostra comunità mi pare più misurata e discreta. Troppo timidi Voi o troppo invasivi i vescovi italiani?
* CEI Conferenza Episcopale Italiana – Assemblea dei Vescovi italiani.
C’è dietro una storia completamente diversa. La Chiesa cattolica eredita una dimensione anche statuale, i Vescovi non sono solo i pastori di una comunità. Quella voce ha sempre avuto un ruolo anche statuale e non solo spirituale. Come mi insegnano alcuni cattolici che in politica hanno avuto molto da dire, esistono i cattolici adulti (come diceva Prodi). La Chiesa parla ma in Parlamento ed in politica si ragiona per il bene di tutti, cattolici e non cattolici. Questo vale per tutti. Vale anche per me che sono ebreo; questo concetto è stato condiviso anche ad esempio da Renzi e Franceschini che sono cattolici. Ciascuno ascolta la voce della propria Chiesa, ascolta quello che è il richiamo ai valori etici e spirituali e poi si regola in coscienza. Per governare la cosa pubblica in uno stato laico. Io apprezzo molto quei cattolici che, senza contraddire la loro personale visione ed il loro credo, sono capaci di gestire laicamente lo Stato. Il popolo italiano, a stragrande maggioranza cattolico, ha dimostrato in tante occasioni (penso al divorzio, all’aborto, alle unioni civili, al testamento biologico) di essere un popolo che ascolta con rispetto le parole della Chiesa e poi comunque agisce nel senso dell’interesse generale.
La nostra comunità è qualcosa di molto diverso. Per prima cosa qui sul territorio italiano non ha una presenza statuale, noi non abbiamo una Città del Vaticano. Da noi poi i rabbini hanno un ruolo diverso rispetto ai sacerdoti. I rabbini sono i nostri saggi, gli eruditi, che possono interpretare e trasmettere una interpretazione, aprire una discussione sui testi e sulle regole. Ma non sono gli interpreti della certezza dogmatica di un pensiero. Non so come fosse ai tempi del Tempio di Salomone, ma oggi nella storia dell’ebraismo non sono i portatori di un dogma. Certo se vai dal Rabbino Capo della tua città e gli chiedi se una cosa si può fare o meno lui ti risponde. Se gli dici “sono un omosessuale, posso sposarmi in Sinagoga?” lui ti dice “No”, perché secondo la nostra Regola non si può. Nella nostra fede non esiste un Pontefice, non solo in Italia ma anche in Israele, non esiste un rabbino che detta la sua regola per tutti.
E’ un ruolo diverso ed è per questo che lei percepisce questa diversa entratura della Comunità Ebraica nelle questioni generali. Ci sono dei casi nei quali i rabbini espongono la propria opinione, ma nel complesso tutto è molto diverso.
Lei è un architetto, quindi per default deve avere uno spiccato senso della misura, dell’ordine e della bellezza. Mi definisca, da architetto, le tre più importanti città italiane: Roma, Milano e Napoli.
Roma è una città la cui bellezza è stratificata. E’ una città dall’estetica di lungo corso. In ogni angolo leggi le diverse epoche che l’hanno costruita. L’impronta urbanistica fondamentale forse è quella seicentesca, di papa Sisto V, un papa che aveva un’idea della costruzione della città molto scenografica, molto teatrale. Roma è una continua scena.
Milano è una città efficiente, una città dove funziona bene il rapporto con il cittadino, è una città vicina all’Europa come diceva Lucio Dalla. La sua efficienza e le critiche che sorgono quando questa viene a mancare, sono misurate con confronti con altre realtà vicine, come la Svizzera o la Francia. A Milano la competizione per migliorarsi è continua, Milano è una città che somiglia a New York, una città che corre per essere sempre all’avanguardia. Come Expo ha dimostrato è uno snodo, un crocevia del mondo.
Napoli la conosco meno. E’ una città accogliente nelle persone. L’ho frequentata per assolvere alcuni incarichi politici ed ho avuto l’impressione che i valori principali non siano l’efficienza di Milano o la bellezza di Roma, ma l’umanità. Delle volte questa umanità si macchia anche di colpe, in quanto a Napoli c’è una situazione di criminalità organizzata che tutti conosciamo, però in altre occasioni questa città tira fuori il meglio di se, come la letteratura e la cinematografia hanno dimostrato in tante occasioni. Non dimentico che Napoli si ribellò nella seconda guerra mondiale con le donne e gli scugnizzi, mettendo in campo tutta la forza della propria umanità.
Roma, Milano, Napoli: bellezza, efficienza, umanità.
Andrea Purgatori, mio stimato collega, qualche giorno fa sosteneva che se riuscissimo a sconfiggere mafia, n’drangheta e camorra potremmo recuperare talmente tante risorse economiche da colmare il debito pubblico, ed in seconda battuta rilanciare il Paese tra le economie più forti del pianeta. Lei come combatterebbe questa guerra?
L’inizio della guerra vincente alla mafia nasce con l’intuizione di Pio La Torre (assassinato dalla mafia) che fece una famosa legge sulla requisizione del patrimonio dei mafiosi. Le organizzazioni criminali nascono per produrre denaro da mettere a disposizione di chi se ne appropria, i capi e tutto il sistema che finanziano. Una cosa molto importante che fu fatta in Italia, ormai diversi anni fa, fu questa scelta: il combattimento alla mafia si fa togliendole acqua e terreno sotto i piedi, cioè il denaro ed il patrimonio. E’ una cosa che si continua a fare e che si deve fare sempre in maggior misura. Dicono gli esperti che questo modo di operare dello Stato abbia portato ad effetti veramente significativi. Le altre due organizzazioni di stampo mafioso principali (n’drangheta calabrese e camorra napoletana) sono diventate ultimamente – ancora più della mafia siciliana – organizzazioni di una potenza mondiale spaventosa. In particolare la n’drangheta che ha fatto della droga il business prevalente. La battaglia alla droga andrebbe fatta in maniera più efficiente a livello mondiale; tutti sappiamo che in Colombia la coltivazione della droga continua a livelli mostruosi e che nel triangolo d’oro afgano la coltivazione del papavero da morfina è tutt’altro che interrotta. Non so dirle se in questo specifico momento storico (nel quale l’obiettivo dell’occidente è maggiormente puntato sul fenomeno del terrorismo) si stia lavorando con la stessa enfasi e durezza di un tempo per tagliare le gambe ai mafiosi, n’dranghetisti e camorristi che importano le nostro Paese tonnellate e tonnellate di droga.
Terzo elemento è lavorare sul Sud, perché le mafie fungono da agenzia di collocamento per centinaia di migliaia di persone che nel sud Italia non hanno lavoro, non hanno futuro, si indebitano o lasciano il proprio territorio. Quanto abbiamo fatto sinora per il mezzogiorno, sotto il profilo dell’investimento infrastrutturale, grazie anche al lavoro del Governo che io sostengo, è tutto terreno sottratto alle mafie. Mafie che vanno da un disoccupato e gli offrono magari duemila euro semplicemente per fare il palo, senza fare altro. L’alternativa sarebbe magari bighellonare tutto il giorno senza trovare lavoro. Ecco, oltre al combattimento preventivo e repressivo delle Forze dell’Ordine e dell’Esercito, dobbiamo togliere alla mafie la ragione sociale del loro esistere, ovvero il sostituirsi allo Stato, dove questo non arriva.
Perché la base degli iscritti, i simpatizzanti e larga parte dei dirigenti del PD sostiene ancora Matteo Renzi? In fondo come rottamatore è stato scarsino, ha perso il referendum, ha detto che avrebbe lasciato la politica ed invece è ancora in gioco, ha imposto in numerosi ruoli chiave gli amici d’infanzia con grande disinvoltura, Consip Etruria e MPS dovrebbero toglierli il sonno… ed invece è in sella, voi gli avete perdonato tutto e gli state accanto come pretoriani. Cosa vi aspettate da lui?
Matteo Renzi ha la forza, ed ha avuto la forza, di sfidare l’inerzia di questo Paese per il cambiamento. Io rifarei domani la riforma costituzionale che abbiamo sottoposto agli italiani. Magari abbiamo fatto degli errori di tattica, però il tema dell’ammodernamento del Paese, che passava anche da questo cambiamento di assetto istituzionale, lo difendo e ringrazio Matteo Renzi per averci provato. Ricordo anche che la legge elettorale bocciata dalla Corte Costituzionale è risultata vincente a pochi chilometri da qui, a Parigi dove ha vinto Macron. Vero è che in Francia il sistema è semi-presidenziale e non parlamentare, però ha vinto un uomo che aveva il 23% del suffragio dei votanti (ovvero il 15% dei francesi aventi diritto al voto) al primo turno. Matteo Renzi proponeva una cosa analoga, per dare governi stabili al nostro Paese e per avere legislature dove si riesce sia a decidere sia a fare. Questo per dire che l’idea di modernizzazione del Paese che lui ha in mente io la condivido.
Non ho nulla da perdonargli; la politica è fatta di scelte, scelte condivise negli aspetti positivi e negli errori. La politica non è una associazione fideistica, non è una chiesa. Si va avanti insieme quando si condividono le cose, altrimenti ci si ferma e senza remore ci si parla e ci si confronta. Diversi di noi hanno detto che nella fase che ha preceduto il referendum lui ha commesso l’errore di personalizzare troppo la campagna, ma a volte la tattica si può sbagliare. Non devo perdonare nulla.
Per quanto riguarda alcune vicende famose che ci sono state in questi anni ed i questi giorni (ad esempio Consip ed Etruria che lei ha citato), io non vedo alcun comportamento criminoso.
Quando parlo di amicizie di infanzia intendo ad esempio il ministro Lotti ed il sottosegretario Boschi.
Le cose vanno ricostruite bene. La Boschi non era una amica d’infanzia di Renzi. La Boschi nelle primarie per l’elezione a sindaco di Firenze, insieme a Bonifazi, faceva parte dello staff che curava la campagna elettorale di un concorrente, un anziano collega parlamentare della scorsa legislatura, dirigente di lungo corso del PCI, candidato all’ultimo momento da Massimo d’Alema. Solo alla fine di quella campagna elettorale, (con Bonifazi capogruppo DS in Comune), non so bene in quale occasione specifica, Renzi cooptò entrambi nella sua squadra.
Luca Lotti era con Matteo Renzi sino da tempi degli scout. Io non ci trovo niente di male ad essere legato a persone che ti sono al fianco da sempre, se poi allarghi i nomi della Segreteria Nazionale, come lui ha fatto. Le ho citato prima le provenienze dei componenti attuali, il cerchio si è decisamente allargato. Secondo me la cosa importante di un uomo politico, al di là delle persone di cui ti circondi (e Renzi non si è circondato da alcuna persona di malaffare) è la capacità di avere una prospettiva e la capacità di saperla raccontare. Avere un sogno, avere una prospettiva e fare capire agli italiani sino dall’inizio che tutte le tue azioni sono orientate lì. I leader sono quelli che inducono a pensare che loro saranno il cambiamento. E’ già successo a tanti altri, l’esempio più classico degli ultimi venticinque anni è Berlusconi. In questo sta la leadership di Matteo Renzi, concretizzata al top con il 40% alle elezioni europee. Avere la capacità di essere per coloro che lo seguono l’attore principale del cambiamento, colui che ha cambiato il linguaggio, gli obiettivi, che è forte, coraggioso, che ha capacità di resistenza rispetto all’inerzia.
Certo ammetto che dopo il referendum ci siamo trovati in una situazione molto diversa; due delle cose che volevamo fare (cambiare la legge elettorale e l’assetto istituzionale del Paese) per vari motivi non siamo riusciti a farle. La battaglia ora è più dura, però stiamo sempre lavorando. Io guardo con attenzione i dati economici che vengono fuori ogni giorno. Più lentamente di quanto avremmo voluto, comunque questi dati danno l’idea che un inizio di percorso di risanamento ci sia stato, anche per merito delle scelte che abbiamo fatto e che sono state molto criticate.
Le è mai venuta la voglia di mollare tutto e tornare a fare l’architetto o il professore?
No, in questo periodo no. Non mi è venuta. Come lei vede mi rimane nella penna l’amore per il bello e per lo spazio (sino dall’inizio dell’intervista mentre parla Emanuele Fiano riempie pagine di un simil Moleskine con linee, sagome, cubi, schemi…. non smette un attimo di disegnare e prendere appunti – ndr).
Sono stato eletto a presiedere – senza remunerazione – un museo molto importante di Milano (la Permanente) che mi affascina molto e mi ricollega al mondo dell’arte contemporanea; è un’occasione di cambiamento che mi consente di non occuparmi sempre e solo di politica tutti i giorni. Penso che ognuno di noi dovrebbe avere non un solo interesse, perché l’essere umano dovrebbe essere ricco di capacità, interessi, curiosità, immagini, linguaggi ed è per questo che sono molto contento di questo incarico alla Permanente.
Nella XV Legislatura lei ha ricoperto il ruolo di Segretario del COMITATO PARLAMENTARE PER I SERVIZI DI INFORMAZIONE E SICUREZZA E PER IL SEGRETO DI STATO. Una certa confidenza con gli ambienti vicini ai Servizi Segreti non le manca. Secondo lei il nostro Paese è rimasto indenne da attentati della jihad grazie alla capacità dei nostri servizi per il mondo dell’estremismo e della radicalizzazione islamica.oppure perché fa comodo ai terroristi mantenere libera e tranquilla la principale via di accesso all’Europa per eventuali infiltrati, che potrebbero giungere sfruttando il flusso dei migranti?
Innanzitutto incrociamo le dita ed auguriamoci che continui a funzionare tutto così. In secondo luogo, noi abbiamo una conoscenza, una normativa ed una capacità professionale migliore degli altri paesi europei. Una conoscenza che deriva da due fattori, l’esperienza della lotta alla criminalità organizzata e l’esperienza della lotta al terrorismo. Sia i servizi segreti, sia le forze dell’ordine hanno acquisito una metodologia di indagine ed una capacità operativa fuori dal comune. La nostra criminalità organizzata è un fenomeno che gli altri paesi occidentali non conoscono, e la virulenza del terrorismo rosso e nero, di quando noi eravamo ragazzi, è anch’essa sconosciuta all’estero. Forse con un’eccezione in Francia e Germania, ma per lunghezza di periodo e per generazioni coinvolte sono fenomeni non paragonabili ai nostri. Era un generale dei Carabinieri a combattere la mafia, quasi tutti gli ultimi Capi della Polizia hanno avuto un’esperienza nel combattimento alla criminalità organizzata (penso all’immagine di De Gennaro che scende dall’aereo con Masino Buscetta), l’attuale Capo della Polizia Gabrielli ha fatto un’esperienza di successo come capo della Digos a Roma nelle indagini sulla terza generazione delle BR.
Abbiamo inoltre una nuova legislazione anti-terrorismo più avanzata rispetto a quelle di Francia, Germania ed Inghilterra, con modalità di esecuzione diverse. In questo periodo stiamo facendo moltissime espulsioni di personaggi sospetti; non personaggi con già pronta la valigia al tritolo, ma persone che dimostrano (con i loro contatti telefonici o via internet) una vicinanza, una infatuazione del mondo dell’estremismo e della radicalizzazione islamica. La nuova legislazione ci consente di eseguire espulsioni rapide. Non voglio giudicare, ma duole vedere negli ultimi terribili attentati di Londra o di Parigi che colui che compie l’atto terroristico era magari già segnalato con il massimo grado di allerta dai servizi. In particolare in questi ultimi cinque anni (lo ricordo con piacere essendo stato in questi ultimi anni il responsabile sicurezza del PD) abbiamo investito tanto nelle forze dell’ordine, con assunzioni straordinarie, cercando di riportare in alto le loro retribuzioni, adesso riordinando i meccanismi delle loro carriere. Abbiamo investito facendo vedere che lo Stato c’è.
Oltre a questo c’è anche quello che dice lei, una situazione che deriva addirittura dai tempi del terrorismo palestinese, quando si parlava del cosiddetto lodo Moro o lodo Andreotti. Ovvero che ai palestinesi fosse permesso di transitare attraverso il nostro Paese se non avessero toccato il nostro Paese; poi questa equazione non è sempre stata applicata, basti ricordare il terribile attentato dei palestinesi a Fiumicino nei confronti della compagnia aerea di bandiera israeliana. Si sostiene comunque che fu stabilito un patto, tacito o esplicito non lo so, che prevedeva – come lei diceva – che l’Italia divenisse una piattaforma logistica per arrivare in Europa dal Medio Oriente. Può essere che in parte questo sia vero, ma detto tutto questo bisogna rendersi conto che la tipologia tecnica degli ultimi episodi di terrorismo in Francia e Gran Bretagna è molto cambiata. Noi siamo arrivati ad una specie di “grado zero” del terrorismo di matrice islamica-jihadista, dove una persona imbevuta di ideologia assassina, appresa magari in internet senza fare parte di una cellula eversiva, prende un coltello scende in strada e cerca di uccidere chi trova, meglio se un poliziotto. Da noi in Italia ancora questo metodo non è arrivato. Ed è una fortuna perché in questi casi non c’è da prevenire ascoltando le conversazioni telefoniche o visitando le moschee, in questi casi puoi lavorare un pochino sul web ma il contrasto preventivo è indiscutibilmente complicato. Come dice spesso il ministro Minniti, siamo davanti ad una guerra fortemente asimmetrica; ci troviamo ad affrontare dei singoli che fanno riferimento ad uno stato ormai quasi dissolto (Isis) , ansiosi solo di colpire ed ammazzare. Sarà dura, noi siamo avanti con la prevenzione, ma nessuno può dirsi al sicuro.
Per il Paese teme maggiormente la durezza della Lega o l’approssimazione politica ed amministrativa dei grillini?
Sono entrambe prospettive che reputo dannosissime per l’Italia. Non scelgo una o l’altra, anche perché su alcune questioni non sono così diversi tra di loro. Quello che c’è da temere è che si associno.
Che Italia le piacerebbe vedere.
Mi piacerebbe un Paese nel quale quando vai a votare hai una legge che ti permette di vedere un vincitore (o più vincitori insieme). Un metodo che ti permette di sapere che coloro che sono stati scelti governeranno con un programma ben definito e con un governo stabile per tutti i cinque anni che gli sono stati assegnati. Se poi non sono stati bravi la volta successiva saranno sostituiti da qualcun altro. Mi piacerebbe vedere quello che è successo pochi giorni fa in Francia oppure in Germania, ovvero un risultato elettorale che porta stabilità al tuo Paese. Vorrei questo perché una nuova stagione di fragilità o di instabilità dei governi in Italia non porterebbe bene alla vita degli italiani.
Io capisco il contenuto etico della protesta dei cittadini che dicono “sei stato eletto in un partito e quindi rimani lì per sempre”. La vita parlamentare però ti pone davanti a delle scelte.
Una instabilità che forse non dipende solo dalla legge elettorale, ma anche dal cattivo vezzo di diversi parlamentari italiani che cambiano casacca in corsa, con eccessiva disinvoltura, passando dal partito di Erode a quello di Pilato senza fare una piega.
No, non sono d’accordo con lei. Quel fenomeno esiste però… in Spagna con l’arrivo di due movimenti civici c’è instabilità. Tanto è vero che Popolari e Socialisti, che amici non sono, hanno dovuto fare un governo con appoggio esterno per evitare di andare ad una terza e ravvicinata elezione. In Francia se non avessero un sistema maggioritario a doppio turno ci sarebbe la stessa instabilità che abbiamo in Italia. In Gran Bretagna se non avessero l’uninominale avrebbero un Parlamento con il primo ministro May senza maggioranza con Corbyn ad un paio di punti di distanza, quindi non riuscirebbero a varare un governo. In Germania hanno stabilità perché hanno alcune regole costituzionali particolari, come la sfiducia costruttiva, e poi perché socialdemocratici e democristiani sono stati capaci di mettersi insieme. La questione del cambio casacca è vera, ma sono anche i meccanismi istituzionali ed elettorali che ti portano a poter governare. Negli USA la Clinton aveva due milioni di voti assoluti in più rispetto a Trump, anche lì sono stati i meccanismi elettorali a consentire la formazione di una maggioranza di governo.
La possibilità di cambiare schieramento parlamentare in corso di mandato nasce dopo il fascismo per impedire che partiti eccessivamente autoritari, o capi partito troppo autoritari, imponessero ai loro eletti una linea senza consentirgli di decidere secondo coscienza. In secondo luogo (ma guardi che io non apprezzo che ci siano trecento parlamentari che hanno cambiato casacca) possono verificarsi anche altri scenari. Ipotizziamo che il mio capo Grillo, Renzi,Salvini… decidesse di impormi un voto a favore della pena di morte. Una scelta mai inserita nel programma elettorale del partito con il quale mi sono candidato e sono stato eletto. Dovrei dimettermi dal Parlamento? No, io rimango e voto come mi detta la mia coscienza.
E questo vale non solo su questioni etiche. Parliamo di un caso scottante; il Paese è sull’orlo del baratro, governo Monti, la Fornero propone una riforma che tutti abbiamo criticato (e molto poi corretto negli anni successivi). Il tuo capo ti dice: o così oppure arriva il Fondo Monetario Internazionale. Devi fare una scelta, su qualcosa che non c’era nel programma elettorale, si tratta di una emergenza. Cosa fai? Se la tua etica ti dice di non toccare le pensioni pregresse ti dimetti dal Parlamento? No, rimani, però cambi partito.
Terza cosa, e ritorno su quanto le dicevo prima, se avessimo un sistema elettorale ed istituzionale diverso (comunque nessun sistema ti può garantire un governo inamovibile…per fortuna) che consente una stabilità dell’assetto politico, si avrebbero molti meno cambi di casacca.
Ne abbiamo avuti molti sia con i governi Prodi sia con l’ultimo governo Berlusconi. L’ultimo governo Prodi era sostenuto da tredici gruppi parlamentari, da Dini a Mastella, da Bertinotti a Diliberto. Partiti che stavano insieme per vincere, ma poi governare è un’altra cosa. E’ alquanto complicato fare una nuova legge sulla cassa integrazione mettendo insieme il pensiero di Diliberto e Dini! I sistemi istituzionali che generano queste situazioni poi portano a fare dire ai deputati “ma io questa roba qui non la voto!”. Ricordo che una cosa simile è successa anche nel centrodestra, quando Fini diceva a Berlusconi “Che fai? Mi cacci?”. In questa legislatura è successa ad Alfano che, quando fu eletto Mattarella, disse a Berlusconi …. guarda che stiamo facendo un governo perché altrimenti la legislatura delle riforme istituzionali non sta in piedi. Se facciamo cadere questo governo rischiamo che venga su qualcuno che le riforme istituzionali non le vuole fare. Qualcuno che vuole fare tutt’altro, tipo uscire dall’euro e dall’Europa. Quindi sosteniamo questo governo fintanto che fa le riforme. Ed uscì da Forza Italia, seguito poi da altri come Fitto.
Io capisco il contenuto etico della protesta dei cittadini che dicono “sei stato eletto in un partito e quindi rimani lì per sempre”. La vita parlamentare però ti pone davanti a delle scelte. Lo appoggi il governo Letta e la legislatura rimane in piedi e non rischi che il Paese vada rotoli, oppure no? Ci sono delle situazione che ti portano a cambiare casacca non per convenienza ma per precisa scelta politica.
Quello che si può fare, e che noi abbiamo anche proposto per la riforma dei Regolamenti Parlamentari, è fare si che non te ne possa venire un beneficio economico. Non puoi uscire da un partito e costituire un gruppo parlamentare con tutte le sue prerogative economiche connesse; tutto ciò che può essere disincentivante è giusto, ma bisogna stare attenti a non togliere ai parlamentari la possibilità di cambiare opinione.
Nel PD in parte è accaduto, nel corso della legislatura noi abbiamo cambiato il segretario. Bersani da il via libera al governo Letta con l’appoggio di Berlusconi e si dimette da segretario. Per un anno e mezzo viene nominato segretario pro tempore Guglielmo Epifani; Renzi vince le primarie in corso di legislatura ed il partito cambia linea politica. Letta cade ed arriva Renzi. E’ anche comprensibile che uno che inizia una legislatura con un segretario, non la voglia terminare con un altro… insomma ci sta anche che dica “signori non mi va più bene, io me ne vado”. Ma questo accade non solo in uscita. Lei saprà bene che dieci parlamentari di SEL sono entrati nel PD, ad esempio Gennaro Migliore.
Il suo libro, film e brano musicale preferito?
Mamma mia, i libri sono troppi, comunque dico Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino. Il film… un film che mi fa sempre sorridere: Hollywood Party con Peter Sellers. Il brano musicale Where the streets have no name degli U2.
L’Italia riuscirà ad ottenere giustizia per Giulio Regeni o dobbiamo rassegnarci e mettere quel povero ragazzo nel dimenticatoio?
Bisogna battersi in Parlamento sino a quando non avremo giustizia. Abbiamo a che fare con un mondo molto molto diverso dal nostro, dove la democrazia e la verità sono merce rara, comunque bisogna batterci per arrivare fino in fondo. In politica non conosco i regali, conosco solo la volontà. E’ la merce più forte che esiste in politica.
Ha un sogno nel cassetto? Il sogno di Emanuele, non dell’onorevole Fiano.
Un bel viaggio intorno al mondo con mia moglie.
Senza figli…
Certo, senza figli…
Grazie per la disponibilità, buon lavoro e buona vita.