Partiamo dai fatti.
Il giorno 1 agosto 2018 si è riunita la I° Commissione dell’Assemblea Regionale Siciliana. La I° Commissione si occupa di legiferare riguardo affari istituzionali, ordinamento regionale, riforme istituzionali, organizzazione amministrativa, enti locali, territoriali ed istituzionali, diritti civili, pari opportunità.
Nel corso dei lavori è stato presentato dal relatore, Claudio Fava (esponente della lista Cento Passi per la Sicilia) un disegno di legge che, ove approvato, introdurrebbe per i parlamentari regionali nonché per i componenti della Giunta regionale un obbligo dichiarativo sull’eventuale appartenenza a qualunque titolo ad associazioni massoniche o similari che creino vincoli gerarchici, solidaristici e di obbedienza.
In parole povere dovrebbero presentarsi ed affermare pubblicamente: “io sono un massone” oppure ad excludendum “io non sono un massone”.
Solamente loro, mentre gli appartenenti a qualsiasi altra istituzione, associazione, club, non avrebbero alcun dovere simile.
Ma per quale motivo il parlamentare regionale Fava ha chiesto ai propri colleghi di commissione di votare a favore di questa proposta di legge? Il testo stesso del dispositivo lo chiarisce: l’obbligo dichiarativo risponde ad un dovere di trasparenza nei confronti delle istituzioni e del corpo elettorale per il particolare tipo di vincolo, basato su principi di obbedienza e di riservatezza, che lega un massone alla propria loggia di appartenenza.
La ratifica del testo approvato dalla I° Commissione (con i voti dei membri di tutti gli schieramenti) toccherà adesso all’Aula dell’ ARS.
Questo passaggio legislativo ha subito suscitato grandissime perplessità in tutto il Paese e numerose sono state le prese di posizioni contrarie allo spirito della legge regionale.
Stefano Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia (la più importante e numerosa istituzione massonica nazionale) ha subito manifestato la propria contrarietà. E’ un atto illegittimo e anticostituzionale che, dietro la bandiera di una strumentale pseudo trasparenza istituzionale da garantire, nasconde solo ed esclusivamente una profonda e radicata Massofobia già ampiamente mostrata durante i lavori della Commissione Antimafia di cui l’onorevole Claudio Fava è stato vicepresidente.
E’ importante chiarire che le istituzioni massoniche italiane non sono a nessun titolo organizzazioni fuorilegge. I massoni hanno i medesimi obblighi di rispetto delle leggi dello Stato, al pari di qualsiasi altro cittadino, come emerge espressamente dall’ art. 4 della costituzione del Grande Oriente d’Italia che determina i principi e le finalità ai cui deve attenersi l’associato, tra cui prestare la “dovuta obbedienza e la scrupolosa osservanza alla Costituzione dello Stato democratico italiano ed alle Leggi che ad essa s’ispirino”.
Per meglio capire perché viene sollevata una eccezione di costituzionalità dobbiamo rileggere l’articolo 3 della Costituzione Italiana che recita:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Quindi non è consentito a nessuno discriminare a causa delle scelte lecite e personali operate dai singoli individui; anzi è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che limiterebbero l’eguaglianza dei cittadini, e non certo strutturarne di nuovi.
Potrebbe sembrare un caso di scuola tutto sommato molto limitato; in fondo i massoni in Italia non sono più di 23.000. Ma è il principio che è in gioco. Se oggi si accetta, in apparente violazione del disposto costituzionale, che un organismo legiferante di livello regionale imponga regole non applicabili alla totalità dei cittadini, si sdogana un comportamento che potrebbe rivelarsi oltremodo pericoloso.
E’ in gioco un principio cardine della Costituzione Italiana, che un singolo provvedimento regionale non dovrebbe poter scalfire nemmeno lontanamente.
Attendiamo le deliberazioni dell’ Aula dell’ARS ( e gli inevitabili eventuali ricorsi presso le Corti nazionali ed internazionali delle parti che si riterrebbero discriminate) per capire se la legge è ancora uguale per tutti.