Gabriele Riccobono è nato ad Erice, in Sicilia, nel 1990. Già allievo di Carlo Alessandro Landini, Fabio Vacchi e Piero Bellugi (composizione e direzione d’orchestra), è il fondatore e responsabile del progetto Beethoven Autentico (https://beethovenautentico.com).
Di Beethoven si occupa dal punto di vista filologico, aiutando i musicisti a identificare le indicazioni (e le aspettative) autentiche del compositore, tra le molti varianti che vi si sono aggiunte nel corso dei decenni.
Chi era Beethoven? Che rapporto aveva con i musicisti? Era soddisfatto di come veniva eseguita la sua musica?
C’è un passaggio significativo di una lettera del 1806 che credo possa dare un’idea.
”Caro Mayer, ti prego di chiedere al Sig. von Seyfried di dirigere oggi la mia opera. La voglio guardare e ascoltare da lontano, così la mia pazienza non verrà messa alla prova come se mi trovassi vicino all’orchestra e dovessi udire quanto viene deturpata la mia musica… Non posso fare a meno di credere che lo facciano apposta! Degli strumenti a fiato non dirò niente, ma tanto vale cancellare dalla mia opera tutti i p, pp, i cresc, tutti i decresc e tutti i f e ff – non ce n’è uno che sia rispettato. Mi passa proprio la voglia di continuare a scrivere musica, se debbo ascoltarla così.”
Le cose non erano sempre così critiche, ovviamente; ma accadeva più spesso di quanto si potrebbe pensare.
“Ascoltarla così…”. Ma Beethoven non era sordo?
Accusò i primi sintomi, stando a quanto lui stesso scrive a Wegeler, attorno al 1798 (era nato a Bonn nel 1770); la malattia fu progressiva, e per alcuni anni fu in grado non solo di lavorare direttamente con i musicisti, ma anche suonare in pubblico. Ad ogni modo, la perdita dell’udito è in un certo senso collegata ad alcune manipolazioni cui la sua musica è soggetta.
Ad esempio, Mahler (che era anche direttore d’orchestra) giustificò così i suoi interventi alla Nona sinfonia :
“Beethoven, attraverso la degenerazione del suo udito fino alla completa sordità, ha perso l’essenziale, intimo contatto con la realtà, col mondo del suono fisico.”
Sono considerazioni infondate?
Il punto è che Beethoven spinge spesso ai limiti dell’eseguibile la sua musica, che ha spesso un carattere sperimentale, rivoluzionario (basta guardare i suoi metronomi originali per la sonata op.106…). Il fatto che diventò sordo può servire da alibi, come abbiamo visto, per giustificare o alterare quelle che potrebbero sembrare stranezze o errori.
C’è un caso divertente a proposito. Lo racconta Ferdinand Ries, un allievo di Beethoven:
“Nell’Allegro (dell’Eroica) Beethoven gioca un brutto tiro al corno. Alcune battute prima che ricompaia per intero nella seconda parte, Beethoven fa accennare il tema al corno, mentre i violini primi e secondi si trovano ancora su un accordo di seconda. A chi ascolti per la prima volta, un tale passaggio non può non dare l’impressione che il corno abbia, contando male, sbagliato la sua entrata. Ebbene, durante la prima prova di questa sinfonia, il corno entrò al momento giusto. Io, che ero accanto a Beethoven, credetti che avesse sbagliato ed esclamai: ‘Maledetto cornista, non poteva entrare a tempo? Che stecca!’. Credo davvero che Beethoven avrebbe voluto allungarmi un ceffone. Per molto tempo non mi perdonò questa uscita.”
Wagner corresse in questo punto la partitura, ma l’indicazione di Beethoven è chiarissima e voluta, come abbiamo detto. Ad ogni modo, la corruzione della sua musica è un fenomeno complesso, che ha molte e diverse cause.
Nel corso degli ultimi due secoli, editori, studiosi ed esecutori non sono sempre rimasti fedeli alle indicazioni di Beethoven: hanno invece introdotto varianti che, col tempo, si sono sovrapposte alle indicazioni originali, occultandole parzialmente.
Dunque la musica di Beethoven è stata (viene?) alterata. È per questo che è nato il progetto Beethoven Autentico?
Esatto. Nel corso degli ultimi due secoli, editori, studiosi ed esecutori non sono sempre rimasti fedeli alle indicazioni di Beethoven: hanno invece introdotto varianti che, col tempo, si sono sovrapposte alle indicazioni originali, occultandole parzialmente.
Dal punto di vista dei musicisti, si è creata una situazione paragonabile a ciò che, in altri settori, viene chiamato data smog: abbiamo sempre più di informazioni, ma solo una parte è riconducibile a Beethoven – e non è affatto semplice capire quale.
Harold Bauer, un grande pianista del primo ‘900, racconta nelle sue memorie di essersi recato un giorno alla Public Library di San Francisco alla ricerca di un’edizione del cosiddetto (il titolo è apocrifo) Chiaro di luna…
“L’edizione non mi era familiare, e l’indicazione di tempo (2/2) era così inusuale che catturò subito la mia attenzione. Non avevo mai visto nulla all’infuori dell’indicazione di tempo ordinario (4/4) e non lo avevo mai suonato o ascoltato suonare in altro modo che con 4 distinte pulsazioni per battuta. (…) Ero profondamente perplesso. Cosa aveva scritto Beethoven? E perché queste differenze?”
Rompicapo di questo tipo sono la norma per i musicisti, e non solo a livello testuale: oltre allo smog in ciò che abbiamo sul leggio, c’è la questione di che significato attribuirgli.Beethoven Autentico nasce per aiutare i musicisti a fronteggiare la situazione.
Gli strumenti, i gusti, il modo di suonare erano profondamente diversi dai nostri.
Può dirci di più sul problema semantico?
Se ascoltiamo le sinfonie di Beethoven registrate da Karajan coi Berliner Philharmoniker negli anni ’60 e le confrontiamo con una lettura più recente della stessa orchestra (quella con Simon Rattle del 2016, ad esempio), notiamo immediatamente quanto siano cambiate le prassi esecutive da allora. Si tratta di un’evoluzione del tutto normale, comprensibile.
Pensiamo a quanto può essere grande, allora, lo scarto che ci separa dall’epoca di Beethoven.Gli strumenti, i gusti, il modo di suonare erano profondamente diversi dai nostri. E in alcuni casi lo è anche il modo in cui ci rapportiamo con determinate indicazioni.
Se vogliamo riavvicinarci al Beethoven autentico dobbiamo cercare di attribuire alle sue indicazioni lo stesso significato che avevano per lui.
Ad esempio?
Un musicista contemporaneo tende a prendere tutto “alla lettera”. Se sulla parte ci sono più note segnate con la stessa durata, cercherà di rendere alla perfezione questa uguaglianza. Ma per i contemporanei di Beethoven non era così: in certi contesti, quelle note potevano essere tenute una più lunga, l’altra più corta…
Un po’ come succede nel Jazz.
Esatto. Tecnicamente si chiamano inégalités. È una prassi antica, ma che ritroviamo ancora a inizio ‘900. Prendiamo ad esempio un’altra registrazione dei Berliner, stavolta con Arthur Nikisch nel 1913: https://www.youtube.com/watch?v=MoUVn8nMnI8
Non siamo poi così lontani dall’orchestra di King Oliver, vero?
Un altro esempio possibile è l’uso delle legature: per noi sono semplici indicazioni per il fraseggio, i fiati o le arcate, ma per Beethoven il loro “campo semantico” era più esteso – probabilmente includeva anche il glissando (che lui non indicava mai con questo termine) e così via.
Aliquid stat pro aliquo. Ed è chiaro che se vogliamo riavvicinarci al Beethoven autentico dobbiamo cercare di attribuire alle sue indicazioni lo stesso significato che avevano per lui.
Quindi si tratta di un ritorno al passato?
Non del tutto. Anche i contemporanei di Beethoven non erano sempre “autentici”, come visto. Facciamo un altro esempio. L’11 febbraio 1816, suonando il quartetto op.16,, Carl Czerny si prese alcune libertà tipiche del periodo (fioriture, ecc.).
Beethoven si infuriò e lo trattò male al punto da doversi, il giorno dopo, scusare:
“Ieri ho dato in escandescenza, sono veramente dispiaciuto che sia successo, ma deve perdonare un autore che preferisce ascoltare l’opera come lui l’ha scritta,indipendentemente da quanto bene lei l’abbia suonata.”
Qui Beethoven ci dice qualcosa di molto importante: interpretare la sua musica non è (solo) una questione di tecnica, di ispirazione o di trasporto emotivo; è necessario il rispetto assoluto delle sue indicazioni per non alterare il significato della composizione. (“Qualsiasi modifica, seppur parziale, altera il carattere della composizione.”, si legge in una lettera del 1813 all’editore scozzese George Thompson.). Insomma: Beethoven, or else. E non basta spostare lo sgabello dal pianoforte al fortepiano per arrivarci.
In cosa consiste allora l’autenticità di un brano? Gli spartiti originali di Mozart erano puliti e privi di cancellature; aveva la musica in testa e la trascriveva. LVB ha spartiti superincasinati, pieni di appunti e cancellature, mutati mille volte. Quale si puo’ considerare il testo autentico, solo l’ultimo?
Nel nostro caso utilizziamo il termine autentico per indicare l’ultima versione nota, in ordine di tempo, tra quelle originali (cioè di Beethoven), e il suo più plausibile “campo semantico”.
Come giustamente dice, Beethoven tornava ripetutamente sulle sue scelte, non di rado dopo aver ascoltato un’esecuzione e, magari, essere già andati in stampa. Ad esempio, la famosa quarta battuta della Quinta sinfonia, che rende il passaggio asimmetrico, fu aggiunta dopo la prima stampa delle parti.
È una delle ragioni per cui i suoi manoscritti autografi, o le prime edizioni, non sono sempre attendibili.
Mi sembra di capire che una componente dello “smog” sia quindi dovuta allo stesso Beethoven. Soluzioni?
Abbiamo visto che gli interpreti hanno a disposizione, sotto il nome di Beethoven, informazioni e possibilità interpretative con diversi gradi di autenticità: da 0 = ‘certamente non di Beethoven’ a 1 = ‘autentico’, con tutte le sfumature intermedie.
Si tratta allora (questa è la mia idea) di capire in che punto tra 0 e 1 si trova ogni singolo dato, ogni singola ipotesi. Lo facciamo applicando dei filtri in successione, per separare progressivamente il grano dal loglio con setacci a maglie sempre più fini, l’insieme dei quali costituisce la metodologia che stiamo sperimentando in Beethoven Autentico.
C’è differenza rispetto agli approcci tradizionali?
Charles Rosen ha scritto – ed è l’opinione più diffusa – che “tutto ciò che la ricerca può fare è rendere l’esecutore consapevole del ventaglio di scelte possibili.”
Il problema dei musicisti, però, è proprio avere tante, troppe possibilità tra cui scegliere, e non sapere bene di quali fidarsi (il famoso data smog). Il nostro obiettivo è dunque quello di stimare per ognuna di queste possibilità una misura di attendibilità tra 0 e 1 – una percentuale che ne indichi il grado di vicinanza alle più plausibili aspettative di Beethoven.
E i musicisti-interpreti che tendono a mettere sempre qualcosa di proprio nelle interpretazioni, come la prendono? In quale modo si relaziona con i direttori d’orchestra?
Esistono due classi di musicisti: coloro che desiderano riavvicinarsi il più possibile alle indicazioni autentiche di Beethoven, e coloro che invece danno priorità al sentire soggettivo o a particolari tradizioni.
Con i primi non posso che andare d’amore e d’accordo: sono uno di loro. Coi secondi le cose sono un po’ più complesse: l’autenticità priva della libertà, sostengono.
E non è così?
Personalmente la penso come Karajan quando, intervistato da Irvin Kolodin, disse più o meno (cito a memoria):
“Bartok ha fatto uno sforzo per rendere più chiare le sue intenzioni; ad esempio in un’opera indica la durata di un passaggio in ’21 sec.’. Ma il punto è che io lo posso eseguire in 21 secondi in sei modi diversi…”
Si può cioè essere fedeli a Beethoven e al contempo liberi, se siamo d’accordo che libertà e anarchia siano due cose diverse.
[Per informazioni sui seminari, o contattare Gabriele Riccobono per una consulenza, https://beethovenautentico.com]
Buon lavoro e buona vita.