Bomba libera tutti!

Bomba libera tutti!

Negli ultimi anni, con cadenza regolare, ho provato a convincere una collega giornalista a fare alcune riflessioni a voce alta insieme a me, consentendomi poi di pubblicarle.

Il primo anno ho sbagliato in pieno il mio approccio, proponendo esplicitamente un’intervista. “Ma figurati, io intervistata… ma no, ma perché io… ma va.. ”.

Il secondo anno ho provato a prenderla per la gola proponendole di parlare di un tema che adora “ambiente e mondo animale”. Mi ha rimbalzato ancora con un perentorio “non si puo’ fare, se parlo ancora di animali i miei colleghi della redazione mi sparano ”. 2 a 0.

Quest’anno, sicuramente per togliersi il pensiero e liberarsi di me, ha accettato. E dato che lo ha fatto pubblicamente e visto che è una persona di parola, eccoci qui a scambiare due chiacchiere estive insieme.

Perché proprio lei? Perché è una donna molto preparata, dal carattere fermo e determinato e nel medesimo tempo dolce e disponibile. E’ un’ottima professionista nel lavoro di preparazione e di realizzazione dei servizi giornalistici che, spesso e volentieri, propone in diretta. E la diretta tv è una bestiolina che bisogna saper addomesticare con perizia, prontezza e sensibilità; non è per tutti. Se non sei all’altezza ne esci professionalmente ridimensionato. Cosa che non le è mai accaduta.

Giornalista Rai, collabora stabilmente con il format del mattino Agorà su RaiTre, ha girato innumerevoli volte l’Italia microfono alla mano ed è una delle colleghe che stimo maggiormente. Ecco quindi – signori miracolo! – Irene Benassi.

Ho sempre pensato che un fiorentino che lascia Firenze, la culla della Bellezza, debba essere un po’ matto. Un bel po’ matto. Qual è stata la spinta che ti ha portata lontana dalle sponde dell’Arno?

Firenze è una città meravigliosa, chiariamolo subito. E non c’è bisogno che lo dica io, certo. Per me stretta però. Francamente sono proprio scappata ad una certa età. Io sono una persona fondamentalmente pigra, ma molto curiosa e capace di rispondere subito agli stimoli. Specialmente quelli umani. Dunque per me le novità e le sfide sono vitali.

Firenze, quando ero giovane, non me ne dava abbastanza. Per non restare bloccata in cameretta tra i libri dell’università, l’amica del cuore e Bob Dylan, avevo bisogno di sfide e difficoltà maggiori. Quindi ho acchiappato al volo l’opportunità di andare a lavorare in Rai a Milano e poi a Roma. Diciamo che ho cominciato a vivere la mia vita da quando ho lasciato la miacittà e ho dovuto cavarmela da sola. E da allora sono stata felice, come sono tutt’ora. E poi… insomma, ho un carattere troppo socievole per i fiorentini. Chiacchieravo con chiunque, travolgendo il nuovo venuto con decine di domande e curiosità. A Firenze mi guardavano strano.

I romani mi lasciano in pace, rispondono, scherzano, sono facili. Vai in giro per Roma e non ti senti mai sola. Una città che accoglie tutti, da secoli. Ci sono sempre stata bene, nonostante (o forse proprio per merito) delle tante difficoltà. Oddio, forse ultimamente stanno diventando troppe. La città sprofonda in un degrado progressivo difficile da credere. Il problema rifiuti è in questi giorni sui giornali, ma abbiamo da anni mini discariche, topi e sporcizia ovunque. È la città più bella del mondo, e puzza. Brutto dirlo, ma è così. Ho visto con i miei occhi i turisti coprirsi bocca e naso col lembo della maglietta aspettando per decine e decine di minuti un autobus che non arriva, alla fermata nei pressi di un qualche cassonetto. Un insulto a tutta la nazione, perché Roma è la capitale. I bambini non vanno nei parchetti perché l’erba è alta un metro. Non l’hanno tagliata per mesi. Potrei continuare a lungo ma credo di avere reso l’idea. Firenze negli ultimi anni, invece diventa sempre più bella, civile e pulita. Venendo da Roma l’impatto è straordinario. Mi meraviglio ad ogni passo. Magari tornerò a viverci quando andrò in pensione. Ma ci andrò mai?

Un vecchio detto popolare ci ricorda che la curiosità uccise il gatto. Ma un giornalista se non è curioso, forse giornalista non è…

Intanto lasciamo vivo il gatto, il gatto e tutti gli animali. Vivi e liberi. Scherzi a parte, io faccio la giornalista per caso. In gioventù non avevo idea di cosa avrei fatto. Cominciai più o meno per caso con dei piccoli contratti in Rai da assistente ai programmi. Poi negli anni ho cambiato via via ruolo. Mi ricordo che quando ero in conduzione un autore mi disse: “E’ l’unica conduttrice che non protesta per uno o due primi piani in meno, ma per i contenuti delle cose che le scriviamo”. Io lo presi come un complimento, devo dire. Era vero. Occupare il video non mi è mai interessato, farlo dicendo cose sensate, utili e corrette, invece, per me è sempre stato fondamentale. Non sai quanto potessi essere rompiscatole e pignola… alla fine mi hanno detto: “Ma vai a fare le inchieste e molla le conduzioni”. Bomba libera tutti! Sono ancora profondamente grata all’autore che capì che quella era la mia vocazione e il modo migliore di utilizzarmi. Lo capì prima di me. E da allora faccio quello che avrei dovuto scegliere da subito. Il mio mestiere. La giornalista.

Almeno ci provo. La curiosità, la voglia e la capacità di approfondire, il senso della notizia sono, credo, facoltà imprescindibili per un giornalista. Però da sole non bastano. Studiare sempre. Tanto. Conoscere i codici deontologici, il diritto, la storia… Senza curiosità, ma anche senza specifica preparazione non credo si renda onore a questo mestiere né il corretto servigio a chi ne fruisce.

Ci sono molti giovani che vorrebbero diventare giornalisti. E’ evidente che hanno una perversa inclinazione per il sacrificio e che non bramano la ricchezza. Visto in TV tutto sembra semplice. Un microfono, qualche domanda e via, il servizio è pronto. Poi se non va in diretta è ancora più facile… un gioco da ragazzi.

Un gioco da ragazzi, semmai, è prendere cantonate e sfondoni, sbagliare il ritmo e i modi col risultato di allontanare il telespettatore/lettore, banalizzare il racconto, farsi sfuggire il centro, la notizia, la storia. Fare un lavoro inutile sprecando colpevolmente la grande risorsa di comunicazione che ha in mano un giornalista. Una trasmissione come Agorà, per esempio…: non hai idea della mole di lavoro che serve. Redattori, produzione, autori, inviati, conduttrice. È una redazione che lavora h24. Da noi nessuno si ferma mai, controlliamo le notizie fino all’ultimo minuto in maniera ossessiva ed incessante, verifichiamo e approfondiamo ogni cosa. Oltre a trovare e scegliere le notizie, bisogna saperle comunicare, renderle fruibili per chi ci segue. Non una parola o un’immagine finisce in onda senza che qualcuno ci abbia lavorato sopra, seguendone ogni aspetto. Un lavoro mastodontico e bellissimo. Posso dire? Una grande fatica ma anche una grande soddisfazione per tutti, il programma è credibile, amato e seguito. Gli ascolti crescono di anno in anno. Poi, certo, non saranno mancati gli errori, ma si lavora per migliorare sempre. Io parlo della mia esperienza, ma sono certa che in tutti i programmi giornalistici e in tutti i giornali funziona così. Se qualcuno aspira a fare il giornalista è bene che lo sappia, se lo fai bene è un mestiere che non ti dà tregua.

Nel lontano 2014 sei stata protagonista di un siparietto rimasto celebre (https://www.youtube.com/watch?v=gYVsYjtdQ0M). Mentre provavi ad intervistare il forzista Renato Brunetta sei stata derisa in quanto “giornalista precaria”. Oggi che il precariato rappresenta la normalità per i giovani, forse nessuno si scandalizzerebbe più per una provocazione come quella dell’ex ministro. Come è cambiato il mondo del lavoro?

Ehi, il precariato non rappresenta e non deve rappresentare la normalità! Più sei precario e meno sei libero. Non serve dire altro. Purtroppo, ovunque, in ogni giornale e tv, esistono contratti precari, giornalisti ignobilmente pagati a pezzo ed a pochi euro. Peraltro, molto spesso sono proprio quelli che corrono sulle strade e portano le notizie vere. Poi ci sono i precari di lusso, pagati centinaia di euro a pezzo per via del fatto che il loro nome, per una ragione o per un’altra, ha raggiunto la notorietà. Ma queste sono eccezioni, è chiaro. Il vero precario, di solito, lavora tanto e guadagna poco. Vedi molti media che denunciano questa situazione? No. Perché più o meno tutti quanti se ne avvantaggiano. Brunetta, nell’occasione che citi, era arrabbiato e ce l’aveva con me perché considerava “comunista” Rai3, ma ammetto che a me fece comunque simpatia. E, soprattutto, aveva ragione. Io lavoro in Rai dal 1998 e sono ancora una partita iva. Non ho mai fatto causa, come invece mi suggeriva Brunetta in quello scampolo di tentata intervista. Ma come me sono in molti. Adesso pare che la Rai voglia sanare la situazione. Speriamo bene. Non solo e non tanto per me, ma per i molti bravissimi colleghi giovani che danno l’anima e meritano di lavorare con pieni diritti e garanzie. Ripeto, non solo in Rai: ovunque.

Gli italiani hanno straordinarie risorse di inventiva e professionalità e passione.

Hai girato più volte l’Italia in lungo ed in largo realizzando servizi per la televisione di Stato, confrontandoti con la realtà di un Paese che fatica tenere il passo delle altre nazioni europee. Siamo un Paese rassegnato alla sconfitta oppure abbiamo ancora la possibilità di rimetterci in piedi e tornare a correre?

Non chiedermi analisi socio-economiche, sono a malapena una cronista e lascio volentieri il compito ad altri. Ho la grande fortuna di viaggiare tanto per l’Italia, da tanti anni ed in ogni dove. Le persone che incontro mi piacciono sempre, ogni realtà mi incuriosisce e mi suscita empatia, ogni storia meriterebbe di essere raccontata. Gli italiani hanno straordinarie risorse di inventiva e professionalità e passione. Questa è cosa nota e dal mio punto di osservazione la confermo in pieno. Ma, posso dire? Se imparassimo un po’ più di senso civico, abbandonassimo le furberie, il ricorso alle amicizie, alle raccomandazioni, le piccole quotidiane complicità alle evasioni fiscali… se gli italiani tutti raddrizzassero la schiena saremmo un paese imbattibile, con una classe politica probabilmente diversa e risorse infinite. Se siamo in difficoltà la colpa è di tutti, uno per uno.

Porti chiusi. Uomini e donne che spariscono in mare, ONG messe sotto processo. Non voglio tirarti per il bavero in una polemica politica, parliamo solo di senso morale. Irene (cronista, testimone, cittadina) cosa stiamo diventando? Come può un popolo tradizionalmente migrante come il nostro diventare davvero così intransigente ed intollerante?

Scusa, ma perché dici porti chiusi? I porti sono aperti, come è normale e giusto che sia. I migranti arrivati nei nostri porti sono tutti sbarcati. La maggior parte, è vero, “non visti”, con barche e barchini fantasma, alcuni, però, raccolti dalle nostre navi, altri trasportati con quelle delle ONG (nel 2019 meno di 250 su oltre 3.100) che sono riuscite a strapparli alla morte in mare o alle motovedette libiche che li avrebbero riportati nei centri di detenzione, che tutti sappiamo essere dei luoghi di immani sofferenze. Adesso chi salva vite viene accusato di complicità con i trafficanti – cosa peraltro fino ad oggi smentita da ciascuna delle procure che hanno svolto inchieste su queste vicende.

Chi salva vite viene multato, inquisito, punito… ma tu l’hai vista l’immagine del bimbo piccolissimo issato sul veliero Alex di Mediterranea con il suo micro giubbotto di salvataggio? Un cucciolino. Di quelli che noi teniamo al riparo anche da un soffio di vento, nelle nostre case. Un topino, una creatura, e l’audio ambiente era il pianto terrorizzato di un bimbo, un suono che farebbe impazzire e reagire chiunque di noi, ammettiamolo. Il bimbo veniva accolto a bordo di un’imbarcazione sicura, da due braccia adulte. Un’immagine definitiva. Non serve dire altro. Tutto il resto è politica, responsabilità cruciali, antiche e recenti, dell’Occidente per le condizioni in cui versano Africa e Medio Oriente. Si vada in Europa, si arrivi ad accordi per la gestione comune del problema, che è enorme. Si faccia politica vera.

E’ risaputo che hai una grande passione per l’ambiente ed in particolare per il mondo animale; non sei la sola, siamo in tanti ad amare cani e gatti. E’ abbastanza facile intenerirsi davanti al musino di un cucciolo, salvo poi però chiudere gli occhi davanti a quanto accade nella filiera agro-alimentare, dove una vacca non vive i suoi quindici anni naturali ma al massimo cinque, ed un vitello viene servito alla brace dopo pochi mesi dalla nascita. Se piangiamo davanti ad un cane abbandonato in tangenziale e poi non facciamo lo stesso davanti ad una mattanza come quella dei grandi cetacei, siamo ipocriti o solo distratti?

Ignoranti. Per caso o per colpa.

Guarda, io da buona fiorentina, sono venuta su a bistecche al sangue. Però quando ho cominciato a leggere e poi studiare libri di etologia, ho dovuto smettere di mangiare la carne. Te ne consiglio uno: “Il maiale che cantava alla luna”. La vita emotiva degli animali da fattoria”, di Jeffrey M. Masson. Sai, i maiali sono animali puliti, sensibili, intelligentissimi. Anche più dei cani. Perché uno è cibo e l’altro fratello? Per ignoranza, suppongo. Per cultura acquisita. Del resto in Cina e Vietnam si mangiano i cani. Che differenza c’è?

Oltretutto, se è vero che in natura esiste il rapporto preda/predatore, se è vero che nella piramide ecologica i predatori e i super predatori sono molto meno numerosi delle prede, erbivore e con la funzione di essere anche cibo per i carnivori, quello che non esiste in natura e che è una oscenità tutta umana, sono gli allevamenti intensivi. Lager in cui rinchiudiamo creature senzienti, dolcissime ed incolpevoli, imponendogli una vita di torture al termine della quale il colpo in testa che infine li uccide non può che assumere il senso di una liberazione.Vogliamo mangiare carne? Almeno scegliamo. Paghiamola un po’ di più e scegliamo allevamenti biologici veri, animali che conducono almeno una vita normale, vera, sana.

Se ti ricordo che in un sito dedicato alle telegiornaliste nel 2018 sei stata definita “la più bella telegiornalista Rai” arrossisci o mi mandi a quel tal paese in fiorentino stretto?

Ahahah, ma che bischerata!

Grazie Irene, buon lavoro e buona vita!

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