Ho trascorso un’oretta davanti ad un buon caffè con Silvia Roggiani, Segretario Metropolitano del Partito Democratico milanese.
Ecco la nostra intervista.
Silvia Roggiani. Classe 1984, nata a Ferno (Va), milanese di adozione. Laureata in Scienze sociali per la cooperazione e lo sviluppo, ho collaborato all’ufficio progetti nella fondazione Exodus di Don Mazzi, e per oltre 14 anni sono stata assistente parlamentare dell’eurodeputata Patrizia Toia, coltivando una lunga esperienza nell’ambito della legislazione europea.
La mia prima tessera l’ho presa quando è nato il PD, nel 2007, ma svolta è avvenuta con il progetto “Bella ciao Milano” e le magliette gialle, di cui sono stata promotrice.
Sono nata il 25 Aprile, e forse in questo c’era già un po’ di destino, perché ho passato orgogliosamente gli ultimi compleanni ad organizzare il corteo e le attività per il l’anniversario della Liberazione. Dopo aver coordinato la Festa de l’Unità nazionale a Porta Venezia sono diventata Responsabile Organizzazione del PD Milano Metropolitana, di cui sono Segretaria dal novembre 2018.
tornavamo a casa con La Repubblica per mamma, papa e per me, con Il Giornale per il nonno e con Il Manifesto per lo zio.
Questa è la presentazione ufficiale. Adesso iniziamo scavare più in profondità. Quando e perché Silvia ha iniziato a fare politica.
Mi verrebbe da dire che la politica la seguo da sempre, sino da quando ero piccola, perché in famiglia si è sempre parlato liberamente di politica. La mia famiglia abitava vicino alla casa dei miei nonni e dei miei zii. Mio padre è sempre stato iscritto ai partiti della sinistra (quando io ero al liceo lui era iscritto ai DS), mio zio invece era più radicale (Partito Comunista) e molto più attivo politicamente di mio padre.
A casa mia la politica era un argomento all’ordine del giorno e se ne parlava con schiettezza e passione, persino quando si era in forte contrasto; le basti pensare che mio nonno (ex tesserato PCI) quando nacque Forza Italia iniziò a votare per Berlusconi. Avevamo l’abitudine di andare a comprare i giornali a turno e tornavamo a casa con La Repubblica per mamma, papa e per me, con Il Giornale per il nonno e con Il Manifesto per lo zio.
Quando sono arrivata al momento di scegliere a quale scuola superiore iscrivermi, è stato naturale e spontaneo scegliere di fare un percorso di studi che mi permettesse poi di fare qualcosa per gli altri. Ho scelto quindi il Liceo Psicopedagogico; vicino a casa ce ne era uno, ma era gestito dalle suore e mia mamma, da sempre fiera sostenitrice della scuola pubblica mi ha subito detto “ se vuoi fare quel genere di scuola ti alzi alle sei del mattino, prendi il treno e vai a Varese!”.
Finiti gli studi mi cercai un lavoro.
Al liceo (un liceo caratterizzato da una larga partecipazione femminile) abbiamo fatto tante battaglie, grandi e piccole. Desideravamo una scuola più aperta ed uno stimolo importante mi giunse dal mio professore di filosofia, un insegnante che ci spronò con coraggio ad esprimere il nostro pensiero, anche all’interno di quello che era un istituto molto rigido e controllato.
Il mio desiderio di impegnarmi nasce da tutte queste esperienze di fanciullezza ed adolescenza. Da un punto di vista pratico non ero mai stata una militante attiva, insomma non avevo mai fatto nulla. Finiti gli studi mi cercai un lavoro. La mia famiglia avrebbe tranquillamente potuto aiutarmi economicamente, mia mamma è un medico psichiatra (e lavora solo in ospedale, nessuna visita privata perché questo contrasta con la sua forma mentis) e mio padre era un assicuratore di una grande compagnia nazionale, ma entrambi volevano che lavorassi e mi guadagnassi da sola la mia indipendenza.
Ho quindi iniziato a lavorare mentre ero iscritta all’università proprio per pagarmi gli studi (anzi qualcosa avevo già fatto durante l’ultimo anno delle superiori) debuttando nel mondo del lavoro alla Fondazione Exodus, prima a Gallarate e successivamente a Milano. All’università mi sono iscritta a Scienze Sociali per la Cooperazione e lo Sviluppo, una facoltà che Milano era presente solo all’Università Cattolica. Leggasi quanto sopra… niente Milano e via a studiare a Pavia!
Non frequentavo, perché lavoravo tutti i giorni a Milano e mi occupavo di fondi europei. Un giorno un collega mi disse: “non so se ti interessa, ma c’è una senatrice che sta cercando una collaboratrice perché intende candidarsi al Parlamento europeo”. Alzai le orecchie interessata ma prima ancora di sapere il nome di questa persona mi informai sulla sua area di collocamento politico. Quella senatrice era Patrizia Toia, che ai tempi si candidava con l’Ulivo.
Ho accetto la proposta e sono partita con questo lavoro che mi ha fatto meglio conoscere la politica; eravamo dieci giovani in lizza ed alla fine (anche se avevo solo vent’anni) lei ha scelto me. Questo lavoro ha alimentato la fiamma della mia passione per la politica e l’anno successivo mi sono candidata al Consiglio comunale del mio comunello, in provincia di Varese. Un comune che non ha mai visto la vittoria della sinistra, è sempre stata terra di leghisti, ed oggi addirittura ha un sindaco di Fratelli d’Italia. Io comunque sono stata eletta ed ho iniziato piano pianino il mio percorso.
Quattordici anni assistente parlamentare. Le posso garantire che molti lettori, istintivamente, si ritrarranno infastiditi davanti a questa parte del suo curriculum. Si scrive assistente, si legge portaborse, si metabolizza come “pagata da tutti noi per non fare un tubo”. Avvocato, a Lei la parola per l’arringa della difesa.
E’ vero, questo tipo di ragionamento riguardo gli assistenti esiste. Tanto che io stessa quando ho deciso di fare un passo avanti in politica mi sono interrogata da sola, chiedendomi come sarebbe stata letta dalla gente questa mia esperienza di lavoro.
Il lavoro del collaboratore del politico eletto viene visto proprio così come dice lei, ma in realtà il lavoro che si fa a Bruxelles è totalmente diverso da quello che si fa in Italia. Il collaboratore al Parlamento europeo non è assimilabile a quello italiano, parlamentare o regionale che sia. A Bruxelles il lavoro di assistente è bellissimo e fornisce a chi lo pratica tantissime opportunità di crescita; si incontrano persone che giungono da tutta Europa e si approfondisce anche la conoscenza delle lingue. L’assistente entra personalmente nella costruzione dei dossier ed inoltre tutta l’attività dei parlamentari è rigidamente calendarizzata.
Non è come a Roma dove spesso si parla a vuoto per mesi e non si chiude un lavoro. A Bruxelles ogni dossier viene elaborato in tempi certi (stabiliti all’apertura dei lavori) e portato all’attenzione del Parlamento senza proroghe. Prima di arrivare in aula viene svolto tutto un lavoro preparatorio (quello di cui mi occupavo io) che ti porta ad analizzare il tema, sentire le diverse realtà coinvolte sul nostro territorio nazionale e fare la sintesi delle esigenze e delle proposte da avanzare in nome del nostro Paese.
La Toia era componente della Commissione Sviluppo (le materie trattate erano perfettamente aderenti ai miei studi) e della Commissione Energia (molto, molto interessante). Questo lavoro mi ha consentito di capire a fondo come funziona l’Europa da un punto di vista politico ed amministrativo e questo oggi è molto importante ed utile.
Mi capita spesso di partecipare a dibattiti pubblici oppure televisivi e radiofonici e mi rendo conto che molto spesso i mie interlocutori di come funzioni l’Europa ne sanno davvero pochissimo, anche a Roma. Lei non ha idea di quante volte mi trovo a dovere spiegare ad esempio che sul tema dei migranti l’Europa la riforma di Dublino l’aveva approvata, salvo poi vedere che l’allora Ministro degli Interni Salvini al Consiglio Europeo di proposito non si presentava. Non si faceva vedere per non dare fastidio a quelli che riteneva i suoi alleati sovranisti, Orban in primis ed i cosiddetti paesi di Visegrad.
Lavorando a Bruxelles ho sviluppato la mia capacità di negoziare e di fare sintesi; anche la mia candidatura è stata caratterizzata dalla parola compromesso. E’ un termine che in ambito europeo si usa tantissimo, tanto che possiamo considerarlo un termine istituzionalizzato. Ogni legge o direttiva europea prima di giungere in aula deve attraversa una fase che si chiama proprio Fase di Compromesso. Così come gli emendamenti si chiamano ufficialmente Emendamenti di Compromesso. In Italia il concetto di compromesso è solitamente interpretato come qualcosa al ribasso, In Europa è tutto l’opposto; non è una rinuncia ed un ridimensionamento, è la riuscita di un’operazione di sintesi.
Si è trattato di un lavoro vero quindi, non di un incarico dato per portare a casa un emolumento di comodo.
Assolutamente, un lavoro vero al 100%. Un lavoro vero che consiglio a tutti coloro che sono appassionati di Europa e che hanno il desiderio di scoprire un mondo della politica diverso, totalmente diverso dalla visione che ne abbiamo qui in Italia.
Parigi val bene una Messa!
Enrico IV di Borbone, protestante e re di Francia, a metà del Cinquecento per poter pacificare una nazione in piena guerra civile si convertì al cattolicesimo e pronunciò una frase diventata celebre: Parigi val bene una Messa! L’unione politica nazionale, che tiene in piedi il Conte bis, mi riporta con la mente a quei tempi. PD e 5 Stelle si uniscono per fermare Salvini, probabilmente tappandosi il naso. A Milano però non è detto che questo schema possa funzionare in prospettiva futura; i 5 Stelle nelle ultime comunali presero solo un risicato 10%, troppo poco per frenare la Lega in casa propria. Cosa ne pensa?
Penso che sia necessario guardare con attenzione anche ai voti della Lega in casa propria. Se guardiamo alle ultime elezioni, quando la Lega ha avuto un exploit (le elezioni europee) notiamo che la Lega ha avuto un incremento di consensi ma nonostante ciò rimane ben al di sotto dei voti portati a casa dal Partito Democratico e dal centrosinistra. Con un PD che viveva un momento di crisi nazionale invece la Milano dem ha visto aumentare i propri voti, sia in percentuale sia in termini di numeri assoluti. Questo per quanto riguarda Milano città.
Se guardiamo anche alla manifestazione di piazza che ha tenuto Salvini prima delle elezioni europee possiamo capire come la Lega punti con decisione a prendersi Milano, e non credo che possano essere i 5 Stelle a poter arginare questo desiderio. Sia a Milano città sia nell’area metropolitana i 5 Stelle non hanno mai sfondato, i milanesi non hanno mai capito ed accettato tutte le loro giravolte e le loro mutevoli prese di posizione. Potremmo prendere ad esempio la loro contrarietà iniziale ad ospitare le Olimpiadi per poi ravvedersi in modo parziale e tardivo.
Milano è una città sempre pronta ad accogliere a braccia aperte lo sviluppo e le novità, ed è molto reattiva nei confronti dei grandi eventi. Lo abbiamo visto con Expo, dove l’evento non è rimasto cristallizzato nella dimensione temporale dell’esposizione universale, ma ha dato il via ad un indotto economico e sociale che è rimasto nel tempo. E così sarà con le Olimpiadi.
I 5 Stelle anche qui si sono caratterizzati come il partito del No, e questo non ha favorito il loro successo nel nostro territorio, un territorio che ragiona in maniera diversa da loro. Un territorio – quello di Milano e provincia – che la Lega ha provato a coltivare, anche se a mio avviso per un milanese medio è molto difficile accettare proposte politiche del tipo “usciamo dall’Euro – usciamo dall’Europa”. Milano è profondamente europeista.
Non so dirle se alle prossime comunali ci sarà un’alleanza con i 5 Stelle, almeno io non credo che ci sarà un’alleanza organica; comunque stiamo avviando un dialogo che potrebbe rivelarsi positivo. Siamo nelle fase in cui sia noi sia i 5 Stelle dobbiamo un po’ cambiare, rivedere un po’ lo schema di gioco, iniziare a parlarci. Ci siamo confrontati ad esempio sul tema dello stadio e su altri argomenti e devo dire che ho notato meno rigidità da parte loro. Anche durante la Festa dell’Unità abbiamo organizzato un confronto nel corso del quale è intervenuto Filippo Barberis* insieme al loro capogruppo ed un atteggiamento diverso e più orientato al dialogo è emerso.
La nostra priorità è quella di tenere Milano. Io credo che il sindaco Sala si ricandiderà e se ci sarà un dialogo costruttivo i 5 Stelle il terreno potrebbe essere fertile. Ovviamente noi non rinunceremo mai alla nostra idea di una Milano che sappia tenere insieme la crescita economica e lo sviluppo produttivo con una forte attenzione ai diritti sociali ed ambientali. Altrimenti, ci si ritroverà a confrontarci sulle singole battaglie politiche.
*Capogruppo Gruppo consiliare Partito Democratico Beppe Sala Sindaco al Comune di Milano
Alle 22 e 30 di sabato 21 settembre lei era felice o distrutta?
Oh mamma, cosa è successo sabato 21?
Il Derby!!!!
Ahahah… non sono una tifosa, non sono minimamente una tifosa. Diciamo che la mia famiglia è tutta interista, quindi per simpatia sono interista…
Risposta da vera politica attenta a non perdere consensi…
No no, sono sincera!
Alla Festa dell’Unità ho visto una platea variegata. Giovani, militanti, ed anche molte persone che un tempo avremmo definito appartenenti alla buona borghesia cittadina, una borghesia che anni fa sorseggiava il Campari in Duomo e non addentava la salamella a Rogoredo.
Guardi è noto che noi abbiamo tanti consensi all’interno del Municipio 1*, notoriamente una zona benestante. Però è altrettanto vero che l’abitante del Municipio 1 è noto per non muoversi facilmente dal Municipio1!
Quando abbiamo deciso di portare la Festa dell’Unità 2019 in estrema periferia, a Rogoredo, molti mi hanno consigliato di cambiare idea, proprio per non rischiare di vedere mancare la presenza di tanti nostri elettori che risiedono in centro e che sono abituati a frequentarlo abitualmente. Alla nostra Festa è sicuramente intervenuta una parte della cittadinanza che possiamo definire borghese, ma stiamo attenti ad inquadrare bene questo termine. Tradizionalmente la borghesia è espressione della cosiddetta classe media; non dimentichiamoci che oggi però la classe media fa fatica (certo è indubbio che esistono persone che vivono situazioni di disagio più forti) e vive senza le certezze e le disponibilità economiche di un tempo.
Alla Festa ho visto un mondo molto variegato. Ho visto tanti giovani, tanti volontari (era un bel po’ che non se ne vedevano così tanti) e poi la gente del quartiere. E’ indiscutibile che Rogoredo offre meno di quanto possono offrire altri quartieri milanesi, quindi noi abbiamo fatto il possibile migliorare questa situazione e per attrarre le famiglie. Non solo dibattiti politici ma anche spazi di aggregazione e svago.
*il Municipio 1 corrisponde al centro di Milano città.
Nella fase di costruzione del governo Conte bis si davano in pole per un incarico di prestigio i dem Lia Quartapelle ed Emanuele Fiano, entrambi espressione del PD milanese. Esteri ed Interni sembravano le loro destinazioni naturali. I pronostici della vigilia sono stati clamorosamente smentiti ed entrambi sono rimasti esclusi dall’esecutivo. E’ quantomeno bizzarro che la città che più di ogni altra si contrappone al leghismo, nel cuore del territorio nemico, sia stata penalizzata.
Non sono d’accordo, mio avviso la città non è stata penalizzata visto che abbiamo ben tre esponenti milanesi nel Governo Conte bis. Ivan Scalfarotto (ora è uscito dal PD ma quando è stato nominato era organico al PD ed iscritto a Milano centro), Simona Malpezzi che è di Pioltello e Matteo Mauri che è di Milano città. Se vogliamo parlare di Emanuele Fiano e di Lia Quartapelle posso confermarle che mi sarebbe piaciuto vedere anche questi due nostri esponenti nell’esecutivo. Non esprimo comunque preferenze per una persona piuttosto che per un’altra.
Come ho detto pubblicamente al segretario Zingaretti, mi è dispiaciuto che i criteri con i quali sono state scelte le persone siano stati più quelli di appartenenza alle correnti piuttosto che quelli della ricerca delle migliori competenze per lo specifico ruolo. Penso in particolare ad Emanuele Fiano che tutti davano in predicato di divenire viceministro degli Interni. Nulla da togliere comunque a Matteo Mauri che è una persona validissima. Sono sicurissima che questi tre esponenti di Milano faranno benissimo, per Milano, per il nord e per tutta Italia. Mi auguro però che queste modalità di scelta si possano superare, perché chi fa politica non si accontenta solo di vedere un certo numero di caselle occupate, ma vuole vedere premiata la competenza.
Lei ha guidato il team che ha organizzato la Festa dell’Unità milanese, una manifestazione che possiamo dire molto ben riuscita. Riuscita nonostante scissioni operate all’ultimo minuto da ospiti inseriti nel programma, la defezione di notabili colonnelli del partito ed il posizionamento della Festa in una zona scarsamente servita dai mezzi pubblici. Non sia modesta, si prenda i suoi meriti e mi racconti come si organizza una manifestazione politica on the road nei tempi dei social e del virtuale.
Organizzare le Feste dell’Unità è una delle cose che mi appassiona di più. Lo facevo anche prima con Pietro Bussolati quando ero la sua Responsabile organizzativa. Mi piacciono le feste popolari e mi affascina l’idea che il Partito Democratico possa ancora offrire delle occasioni di dibattito e di intrattenimento in luoghi dove mangiare e parlare insieme. La scelta di Rogoredo è stata fatta molto in solitaria, con diversi dei miei compagni di viaggio inizialmente spaventati da questa mia idea. Forse perché sembrava loro che organizzare tutto in un’area abbandonata, non in centro, vicino ad uno dei più grandi problemi che oggi ha Milano (il boschetto della droga) potesse essere un tantino azzardato; per me invece tutto questo rappresentava dei punti di forza.
Oggi Milano è in crescita, Milano sta aspettando le Olimpiadi, Milano offre tante opportunità, e chi vive in centro può coglierle con maggiore facilità rispetto a chi vive in zone periferiche dove la vita è più complicata. Se il Partito Democratico non si occupa di queste zone e dei suoi cittadini, chi mai se ne occuperà? Mi affascinava molto anche l’idea di riproporre uno spazio che in passato era stato molto utilizzato, avendo ospitato storicamente diverse discoteche nelle quali è passata mezza Milano durante diverse generazioni, uno spazio ora abbandonato a se stesso. Quando, al di fuori del partito, parlavo di quel posto mi accorgevo che più o meno lo conoscevano tutti. Non è poi così mal servito dai mezzi, la metropolitana è distante solo sette minuti a piedi e di fronte c’è un grande parcheggio gratuito, cosa che a Milano è difficilissimo da trovare.
A mio vedere esistevano tutte le caratteristiche per ambientare a Rogodero una bella festa popolare, sfidante ed attrattiva. Ho provato subito a riattivare delle collaborazioni che da qualche anno erano inattive (perso ad esempio ad Arci) ed ho trovano la pronta collaborazione dei Giovani Democratici che ci hanno dato una grande mano. Ogni sera più di venti giovani erano in pista per servire ai tavoli. Mi sono occupata personalmente di tutto il programma (non solo dei dibattiti politici), anche dei tanti incontri di rilievo culturale e della presentazione di libri di successo effettuata direttamente dagli autori. Ad esempio sono venuti Claudio Gatti da New York, Concita De Gregorio che non partecipava ad una Festa dell’Unità dal 2011, Federico Rampini che vive anch’egli a New York.
Abbiamo cercato di organizzare il maggior numero di dibattiti possibili sui grandi temi del momento e devo dire che tutto ha funzionato bene, nonostante il fatto che qualcuno all’interno del mio partito si sia sottratto.
A mio avviso sbagliando perché la nostra sfida deve essere quella di convincere le persone che non la pensano come noi e che sono venute alla Festa per ascoltare il nostro pensiero, le nostre idee. Non ci si dovrebbe sottrarre a questa sfida. Ho voluto mettere una particolare attenzione all’accoglienza alla Festa delle famiglie. Io ho trentacinque anni, ho tantissime amiche che sono diventate mamme e vedo che non è semplicissimo a Milano trovare spazi dove incontrarsi un pomeriggio o una sera con i propri figli per stare insieme a parlare. Abbiamo fatto uno spazio Happy Popping (uno spazio in cui accogliere le mamme con i bebè affinché possano accudirli in modo tranquillo e riservato), uno spazio giostre, uno spazio dedicato allo sport e dei laboratori dedicati ai bambini (un’esperienza nuova mai provata prima). E poi momenti teatrali, con un ottimo afflusso di pubblico.
Sono certa che non perderemo la nostra spinta, ne ho l’assoluta certezza.
Ho un po’ perso il filo tra scissioni, rientri, renziani che vanno, renziani che restano; mi disegna a grandi linee il PD milanese?
Il Partito Democratico a Milano è un partito assolutamente vivo e plurale; abbiamo circa 9500 iscritti e ad oggi la scissione l’abbiamo vista più nei gruppi dirigenti che tra gli iscritti. Ho chiesto a tutti segretari di sezione di fare una verifica e posso dire che sono state circa cento le persone che sono passate ad Italia Viva. Abbiamo appena fatto una grande riunione degli iscritti che è risultata molto partecipata, ed ho
visto che a Milano è ancora molto vivo il desiderio che ha portato alla nascita del PD, il partito che io sognavo e che mi ha portata per la prima volta (ed unica) a sottoscrivere una tessera di partito. Si sognava un partito ampio, plurale, progressista, riformista, che riuscisse a dare risposte moderne, con ricette nuove in campo economico ed istituzionale. Un partito che riuscisse a fare sintesi di più culture, e di tutto ciò abbiamo ancora bisogno.
Qui a Milano questo siamo riusciti a realizzarlo, siamo un partito vivo, con centosessantotto circoli tra Milano e provincia e solo tre segretari su centosessantotto sono passati ad Italia Viva. Su sedici coordinatori di zona solo una coordinatrice è passata con Renzi. Nella nostra assemblea degli iscritti ci siamo confrontati ed abbiamo capito che siamo ancora perfettamente in grado di dare le giuste risposte, anche tramite il costante contributo alle amministrazioni cittadine e dell’area metropolitana. Le scissioni non sono mai un momento facile, umanamente e politicamente, noi ne abbiamo parlato a lungo in assemblea e continuiamo a parlarne ogni sera nei circoli; tanti compagni di strada, con i quali abbiamo condiviso tante battaglie, hanno fatto un’altra scelta e questo è sempre doloroso. Sono certa che non perderemo la nostra spinta, ne ho l’assoluta certezza.
Tre suggerimenti alla Giunta Sala ed al Sindaco per migliorare la vita di Milano.
Premetto che a mio avviso il Sindaco e la Giunta stanno lavorando benissimo. Tre suggerimenti. Il primo riguarda il Piano Quartieri, vorrei che fosse davvero un punto di svolta, non un insieme di misure spot ma un intervento di sostanza. La seconda: nessun paura nel fare scelte coraggiose nel campo della mobilità, è stato fatto tutto bene sinora ma si può andare ancora oltre. Quest’anno non abbiamo aderito alla Giornata Senza Auto, anche se la città ha dimostrato di avere voglia di prendere la strada della svolta ecologica, come abbiamo visto anche in occasione di Friday For Future.
La scelta di creare l’Area C e poi l’Area B ha sollevato alcune proteste, ma sostanzialmente la città ha accettato molto bene questa impostazione di tutela ambientale. Il terzo suggerimento riguarda le case popolari. Anche attraverso il lavoro del nuovo CdA di MM Metropolitana Milanese si potrà fare una riqualificazione importante del patrimonio abitativo, solo in parte già iniziata. E’ importante che Milano non lasci indietro nessuno. Le case popolari sono i luoghi dove spesso maggiormente si vive la difficoltà e Milano deve concentrasi al massimo per una vera e profonda riqualificazione.
Solo ristrutturazione edile del patrimonio o anche housing sociale?
Prima di tutto una ristrutturazione degli immobili, cosa che potrebbe consentire di assegnare molti alloggi che ad oggi non sono fruibili. Ovviamente bisognerà ridisegnare anche una politica che permetta un’ interazione vincente tra il pubblico ed il privato, come sta accadendo per esempio attualmente con Fondazione Cariplo.
Smentisco!!!
Dicono che lei sia vegetariana, eppure alla Festa mi pareva di averla vista addentare un bel panino con la salamella.
No, no guardi lei ci vede malissimo!!! Smentisco!!! Non mangio carne da oltre dieci anni. E’ una scelta fatta quando mio papà si ammalò per la prima volta di tumore ed andammo all’Istituto Europeo di Oncologia di Veronesi per una visita. Ci esortò ad un sistema di alimentazione e di vita più sano ed io scelsi di diventare vegetariana in quel momento; una specie di scommessa con me stessa. Dicevano tutti che non ci sarei riuscita, ed invece ho vinto la scommessa. Ascolti un buon consiglio, se mi ha davvero vista mangiare la salamella, cambi gli occhiali…