Questa potrebbe sembrare un’intervista, ma non lo è. E’ vero, ci sono domande e risposte ma nonostante ciò, questa non è un’intervista.
Tutto nasce in una tiepida notte cagliaritana di ottobre. La serata finale del Premio Parodi è terminata da poco, il sipario si è chiuso una mezz’oretta dopo la mezzanotte. Tutti insieme (artisti in gara, ospiti, giuria ed organizzatori) ci siamo spostati in un ristorante del centro per tacitare un pochino l’appetito notturno e per fumare un’ultima sigaretta, prima di andare a nanna o a zonzo sino all’alba.
Saranno ad occhio e croce le tre del mattino e ci si ritrova in strada: insieme a me un uomo alto e riccioluto, con una bella barba che inizia a screziarsi di bianco, ed il grande Gianmaurizio Foderaro di Rai RadioUno – Radio Tutta Italiana che, provvidenzialmente, è anche l’unico di noi ad avere una sigaretta a portata di mano.
Si parla di musica, di luoghi lontani ma vicini al cuore, di persone, ed il tempo vola. Il mattino seguente un aereo ci attende, io tornerò a Milano mentre loro due voleranno a Roma. “Ci sentiamo… alla prossima… si, ok, ti do un colpo di telefono così finiamo di chiacchierare…”.
Questa breve pubblicazione è nulla più del ricordo di questo nostro chiacchierare, in mezzo alla strada a Cagliari prima, a Milano qualche giorno fa ed infine al telefono; l’artista dalla barba screziata di bianco è uno dei grandi protagonisti della musica d’autore italiana, Simone Cristicchi.
Parlare con Simone è molto piacevole; parlare di Simone è abbastanza complicato. Per fortuna è appena uscito un bel libro autobiografico scritto a quattro mani da Simone e dal giornalista Massimo Orlandi che utilizzerò come testo guida. Il libro è bello, ben ideato, ben strutturato e ben scritto.
Avvertenza per l’uso: domande e risposte prevedono una sia pur minima conoscenza della produzione artistica di Simone Cristicchi. Quindi se volete godervi a fondo le parole di Simone, vi consiglio l’ascolto preventivo di almeno una parte della sua produzione musicale.
Perché diciamolo, per avere successo, ci vuole anche un pizzico di fortuna e le giuste coincidenze.
Pensa Simone che pacchia se tu fossi nato nel periodo dei Talent Show… ti saresti risparmiato tutta la gavetta che hai fatto.
I miei primi concerti erano molto simili a quelle esibizioni che si vedono a volte nei piano bar. Avevo un repertorio composto da canzoni abbastanza depressive, dai Radiohead ai Pink Floyd, da Jeff Buckley a Nick Drake; un repertorio non particolarmente invitante.Piano piano, nel tempo, ho poi cominciato a fare ascoltare qualche mia canzone tra l’esecuzione di una cover e l’altra ed infine sono giunto a fare i miei primi concerti con canzoni composte da me.
All’inizio partecipava davvero pochissima gente, poi il pubblico è cresciuto, esibizione dopo esibizione. Me la sono davvero sudata la mia gavetta, ed è stato necessario un bel po’ di tempo per crearmi il mio pubblico, quel pubblico di nicchia che cito anche nella canzone “Vorrei cantare come Biagio Antonacci”. Se fossi nato nel periodo dei Talent Show probabilmente avrei accorciato i tempi ma non sarei stato abbastanza maturo per reggere la scena a lungo; se fossi uscito allo scoperto con le prime canzoni scritte (che erano uno scopiazzamento di De Gregori) sono convinto che non avrei avuto nessun riscontro. Il tempo mi ha dato l’opportunità e l’occasione di maturare, come un frutto che arriva a compimento proprio nel momento in cui passa il treno della fortuna. Perché diciamolo, per avere successo, ci vuole anche un pizzico di fortuna e le giuste coincidenze.
Lo sai che di Sanremo dobbiamo parlare, quindi togliamoci subito il dente. Allora lo vinci, lo vinci con una canzone pazzesca e poi addirittura ti permetti di incasinare la diretta Rai sparendo al momento della premiazione. A Milano quelli come te li chiamiamo baüscia, a Roma come vi chiamate?
Ahahah… che vuol dire baüscia? Effettivamente la mia vittoria a Sanremo è stata davvero una sorpresa. Non se l’aspettava nessuno, io per primo e tanto meno la mia casa discografica ed il mio produttore. Le mie quotazioni, con nostra meraviglia, salivano di giorno in giorno e noi credevamo di sognare. Quando è arrivata la notizia della vittoria io ero con gli altri artisti ed i produttori nel backstage; ho visto arrivare un amico della casa discografica che mi ha abbracciato e mi ha detto “abbiamo vinto!”
Mi sono sentito mancare e sono svenuto… è stato necessario qualche minuto per riprendermi, ecco perché sono arrivato in ritardo alla proclamazione in diretta. Quell’edizione di Sanremo l’ho vinta con “Ti regalerò una rosa”, una canzone che avevo scritto per il mio documentario “Dall’altra parte del cancello” ; era l’unica canzone che avevo in quel periodo. Quando ho ricevuto l’invito di Pippo Baudo a partecipare a Sanremo nella categoria big avevo solo quel brano, scritto per tutt’altro motivo.
Strana coincidenza. Dopo la vittoria ho dovuto poi preparare il disco (il mio secondo album) in fretta e furia e nel giro di meno di due mesi ho dovuto scrivere le canzoni, arrangiarle, provarle, cantarle ed inciderle. Sino alla serata finale del Festival quel disco non esisteva; è stato l’album che ha venduto di più ed è anche quello che mi rappresenta meno! “Ti regalerò una rosa” è poi diventata la mia canzone manifesto.
Il giovine Cristicchi, molto abile, scrive delle belle musichette allegre, orecchiabili e facilmente canticchiabili. Poi ci piazza dentro dei testi tremendi e dissacranti che rappresentano una società che stona, dalla prima all’ultima nota. Ecco la nostra Studentessa Universitaria, il nostro Biagio Antonacci e l’Italia di Piero. Ha funzionato, un pochino con l’inganno, ma ha funzionato.
Io penso di appartenere alla scuola dei cantautori classici, penso di essere un raccontatore di storie. Le mie canzoni sono delle fotografie, dei piccoli cortometraggi, dei piccoli film musicali in miniatura. Mi vengono in mente Studentessa universitaria, oppure Angelo custode o L’ultimo valzer (che è dedicato agli anziani); sono tutte canzoni che io vedo come piccoli film in miniatura. La cosa strana che mi accade oggi – sono passati quattordici anni dal mio primo disco – è che non sarei più in grado di scrivere come scrivevo allora. Da una parte forse è un bene, però mi viene anche un po’ di malinconia perché ho smarrito la capacità che avevo di crearmi delle canzoni senza né capo né coda. Quelle canzoni completamente folli, prive di qualsiasi struttura logica, che sapevo fare e che oggi farei fatica a concepire. Ho però sviluppato la mia capacità di sintesi e nelle canzoni sono capace di toccare anche argomenti delicati e profondi, cosa che non facevo durante i miei inizi.
Volevo mettere in luce quello che era accaduto a Genova e l’ho fatto attraverso un testo che è stato quasi completamente estratto dai verbali dei processi
Genova Brucia. G7 del 2001. La scrivi nel 2002 e non la pubblichi sino al 2010. La politica è pericolosa Simone, ma chi te l’ha fatto fare… Ti sei beccato una sequela di insulti da paura. Non ti conveniva tenerla nel cassetto?
Non pensavo che quel pezzo potesse avere un riscontro così violento. Ai tempi, quando la cantai al concerto del Primo Maggio, volevo provocare una reazione, ma non volevo essere provocatorio. Volevo mettere in luce quello che era accaduto a Genova e l’ho fatto attraverso un testo che è stato quasi completamente estratto dai verbali dei processi che sono seguiti a quel G7, soprattutto quelli relativi alle violenze perpetrate a Bolzaneto.
La cosa bella che poi è accaduta è che un movimento di cantanti e cantautori italiani ha deciso di difendere questa canzone, con un appello che Don Gallo firmò per primo e che si identificava con il motto “Io sto con Genova Brucia”. Un momento di grande solidarietà, manifestata anche da artisti che erano molto lontani da me. Nessun pentimento, anche perché nel testo io non ho inventato nulla.
Simone Cristicchi ama mettere le dita nella marmellata, anche se sa perfettamente che le dita rimarranno appiccicose a lungo. Tu non scrivi di amori romantici che si consumano al tramonto su spiagge dorate, maglietta fina included. No, tu scrivi di matti, di vecchi, di minatori, di profughi. Sindrome del don Chisciotte ?
Ahahah, no per carità nessun don Chisciotte. Si tratta di quella che io definisco spesso la responsabilità del microfono. Penso che il microfono sia un’arma potentissima e chi lo utilizza ha una grande responsabilità; è uno strumento molto pericoloso attraverso il quale si possono veicolare anche messaggi sbagliati e violenti, messaggi che possono influire sul pensiero delle persone. In particolare sul pensiero dei più piccoli, che sono una sorta di tabula rasa sulla quale puoi scrivere qualsiasi cosa.
Al centro delle mie canzoni ho provato a mettere sempre la poesia, le parole della poetica, il racconto di situazioni e di persone che sono ai margini; gli anziani, gli esuli, i pazzi. Le mie canzoni contengono una valenza sociale ed io cerco di fungere da amplificatore, provando a superare il semplice intrattenimento, provando a veicolare delle riflessioni e delle impressioni.
Magazzino 18*. Io sono figlio di una profuga fiumana e molto probabilmente lì dentro da qualche parte c’è una valigia che lei , i miei nonni ed i miei zii smarrirono durante l’esodo. Conteneva tutte le fotografie di famiglia. Cosa hai provato entrando dentro quel posto che contiene i rimpianti e le nostalgie dolenti delle genti giuliano dalmate cacciate dalla loro terra natia?
*Nel 1947 l’Istria, Fiume e la Dalmazia furono sottomessi al regime di Tito. Gli italiani che vi risiedevano, per sfuggire alle persecuzioni che li colpivano, emigrarono come esuli. Si stimano circa 350 mila persone in esilio, che vennero ospitate in campi profughi in Italia, in Argentina, negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in ogni angolo del mondo. Partendo lasciarono le poche cose salvate dalla fuga da casa in un luogo, il Magazzino 18 del porto di Trieste.
Ancora oggi quegli oggetti sono lì; nessuno li ha più rivendicati, vestigia di vite spezzate che portano ancora il nome dei loro proprietari di un tempo, andati a cercare una sorte migliore. NDR. Cosa ho trovato… innanzitutto gli oggetti, angoscianti, ti sembra quasi che parlino. Su quasi ogni sedia, su ogni armadio, su ogni mobile c’è scritto il nome della famiglia proprietaria; a volte si trova affisso un cartellino marcato ACOMIN, la ditta che si occupò di effettuare questo enorme trasloco. E’ come se ogni oggetto di quel magazzino parlasse e ti volesse raccontare una storia.
Cosa ho provato… un grande imbarazzo perché non conoscevo quel luogo e non conoscevo la vicenda dell’Esodo; ho sentito l’esigenza di documentarmi a fondo e di prestare la mia voce, la mia musica ed i miei racconti per farmi divulgatore di quelle storie. Un giorno a Trieste una signora, molto anziana, mi ha fermato per la strada e mi ha detto una cosa bellissima, forse una delle cose più belle che mi sono state dette in tutta la vita: “ Adesso che qualcuno è riuscito raccontare la mia storia posso morire in santa pace. Ora i miei concittadini italiani posso riconoscermi”. Per gli esuli la cosa importante era essere riconosciuti, sapere che la loro tragedia veniva riconosciuta dagli altri.
In un’altra occasione sono stato invitato da un gruppo di esuli in Canada, a Toronto. Questi esuli avevano in mente di costruire un piccolo monumento dedicato all’Esodo dei profughi giuliano-dalmati, ed avevano fatto una colletta tra di loro. Quando hanno saputo del mio spettacolo hanno rinunciato all’idea del monumento ed hanno deciso di “comprare una replica ad hoc”, commuovendomi. “Per noi questo tuo spettacolo equivale al nostro monumento, il tuo spettacolo è il nostro monumento alla memoria”.
Vesti rigorosamente in total black, prima e dopo ogni canzone ti passi le mani tra i capelli, posizioni i piedi quasi paralleli avvicinando i tacchi e non li muovi di un centimetro mentre canti. Non sarai per caso un tantino timido?
Nooooo…!! Si, sono ancora molto timido, soprattutto quando ho davanti a me un pubblico poco numeroso, quel particolare numero di persone che mi consente di guardare bene in faccia chi è seduto davanti a me ad ascoltarmi. Quella grande intimità che si stabilisce con un pubblico non troppo numeroso, mi emoziona moltissimo.
Quando invece mi trovo davanti ad una platea di mille persone quasi non lo vedo il pubblico; dipende dalle luci , della lontananza tra il palco e gli spettatori, a volte penso di essere lì a recitare da solo. Nelle occasioni più intime, dove ci sono meno persone, mi emoziono di più.
Ti ho sentito dire che è giunto il momento di “calare le maschere”. Ma la maschera non sono camuffa, talvolta difende. Sei certo che sia giunto il momento di toglierla? Potrebbe non piacerti ciò che vedi.
In realtà io non ho mai messo una maschera, ho giocato molto nei miei spettacoli ad interpretare un personaggio, ma una maschera non l’ho mai messa. Credo che un artista debba essere sincero e credo che non possa permettersi di fingere con il suo pubblico. Se c’è un’emozione la devi vivere e mostrare, se c’è della gratitudine la devi raccogliere e la devi girare verso le persone che ti permettono di fare questo tuo meraviglioso viaggio. La maschera non fa parte di me e del mio percorso.
Lo chiederemo agli alberi. Un amico che non c’è più mi diceva sempre: “basta guardare la natura, non c’è altro da imparare, è tutto lì davanti ai nostri occhi”.
La Natura è un libro sapientissimo che noi abbiamo spesso davanti agli occhi e che non riusciamo a decifrare. Proprio perché spesso le cose che ci vengono date gratuitamente le diamo per scontate.
Anche osservando il nostro corpo – e lo dicono all’unisono tutti i grandi scienziati – ci rendiamo conto di quale sia la grande ingegneria del Creato. Anche semplicemente guardando un solo organo del nostro corpo possiamo renderci conto dell’esistenza di un Essere intelligente che ha architettato tutto questo; lo possiamo chiamare Dio, lo possiamo chiamare Natura o in entrambi i modi insieme.
Lo stesso Einstein negli ultimi anni della sua vita parlava spesso di Dio, e talvolta veniva preso per matto. Io penso che davanti alla perfezione della Natura si resti sorpresi, allibiti, meravigliati. A volte quando scrivo io mi ritiro in un bosco, in una baita nel silenzio, e cerco di carpire alla natura l’ispirazione; Lo chiederemo agli alberi è nata così.
Le barzellette? Ah si, mi piace moltissimo raccontare barzellette.
Simone sei un uomo felice? Hai per caso anche una tua vita privata? Fai per caso il tifo per una squadra di calcio? Sai cucinare? Come te la cavi con le barzellette?
Mamma quante domande… da dove parto? Allora, sono molto felice, sono riuscito a trasformare la mia passione nel mio lavoro e questa è una buonissima base di partenza verso la felicità. Non tifo per nessuna squadra, non seguo il calcio, però avendo un figlio romanista… ogni tanto andiamo allo stadio insieme per tifare la Roma.
So cucinare abbastanza bene, soprattutto i primi piatti della cucina romana, come la carbonara e l’amatriciana. Ho due figli, uno di undici anni e l’altra di sette anni, una moglie e con loro vivo vicino a Roma, sui colli; la mia vita è normalissima, faccio la spesa, porto i bambini a scuola, sono un papà qualsiasi. Mi piace ascoltare le persone, chiunque voglia parlare con me è sempre bene accetto, non sono una persona chiusa.
Le barzellette? Ah si, mi piace moltissimo raccontare barzellette. Sono un collezionista di barzellette.
Infatti nell’ambiente dello spettacolo si dice che sei un barzellettiere doc…
Si, si… infatti di solito quando si va a cena dopo le repliche teatrali, io mi esibisco con gli amici.
Giunto nel mezzo del cammin di nostra vita a Simone cresce una bella barba da intellettuale vero, i suoni della sua musica cambiano, i testi diventano molto più poetici e meno provocatori. In “Abbi cura di me” scrivi di una “scintilla divina”. Cosa vedi oggi che non vedevi quando eri più giovane?
Vedo con chiarezza quanto la parola possa avere in sé una grande potenza. Eppure la parola è qualcosa di invisibile, una semplice vibrazione, un suono, qualcosa che in apparenza non influenza il mondo.
Con il passare del tempo mi sono reso conto che la parola, specie quella cantata che ha una maggiore valenza, riesce a toccare corde molto profonde e riesce ad influenzare, nel bene e nel male, chi la ascolta. Un tempo seguivo la classifica, provavo a tenermi aggiornato con le mode del momento, anche se sono sempre stato un po’ fuori catalogo. Ora invece le mie canzoni sono fuori dal tempo, ed io ambisco a questo, ambisco ad essere fuori moda. La musica non deve seguire il colore e la moda del momento, deve essere un messaggio universale che sorpassa sia il tempo sia lo spazio.
“O spiritualità delle cose”. “Dalla fede ho imparato a non credere”. Sono due passi che ho tratto dai tuoi testi. Simone è un uomo pervaso dal senso dello spirito oppure è un uomo religioso?
Non mi definirei in nessuno dei due modi. Io sono un uomo in ricerca, sono un cercatore di bellezza. L’ho trovata nei luoghi appartati ed in alcune persone che ho avuto l’opportunità di incontrare; la spiritualità la crea l’uomo. L’uomo è un canale attraverso il quale lo spirito si manifesta; dipende da quale uomo incontri, da cosa vorresti diventare, da quali domande ti poni nella vita. Ad un certo punto della vita bisogna fare i conti con le domande importanti; chi siamo, da dove veniamo, qual è il senso della nostra presenza su questa Terra. L’uomo è l’unico essere vivente che si fa questo tipo di domande, che si misura con la propria coscienza, cosa che gli animali non hanno.
La scintilla divina ; è quel frammento di Universo che è stato depositato in ognuno di noi nel momento in cui siamo venuti al mondo. Quando la spiritualità diventa religione si creano subito dogmi e regole che la ingabbiano. Dobbiamo essere capaci di entrare nel flusso, senza ingabbiarlo. Alcune delle persone che ho incontrato, come ad esempio don Luigi Verdi o Marco Guzzi, sono molto religiose ma non sono catalogabili come bigotti.
Nell’antica Grecia i politici (coloro che si occupavano della polis) prima di prendere qualsiasi decisione dovevano rivolgersi ai filosofi.
Ma secondo te oggi, anno domini 2019 quasi 2020, Piero pianterebbe ancora funghi e marijuana sulla Luna?
Ahahah… i politici! Facendo una ricerca sul tema della felicità ho letto una cosa bellissima. Nell’antica Grecia i politici (coloro che si occupavano della polis) prima di prendere qualsiasi decisione dovevano rivolgersi ai filosofi. E’ illuminante, prima di fare una qualsiasi riforma che coinvolgesse la popolazione dovevano sentire chi ne sapeva più di loro riguardo l’anima del popolo, riguardo il pensiero popolare. Oggi i politici non so a chi si rivolgono prima di decidere; la politica è lo specchio della nostra società, della nostra confusione. Siamo confusi, quasi non siamo più padroni del tempo; chi è obbligato a passare dodici ore al giorno al lavoro, magari agganciato ad un computer, regala il proprio tempo in cambio di soldi.
I cantautori sono dei visionari. Io vedo una società contorta ed incattivita. Tu cosa vedi oltre la linea dell’orizzonte?
Sono speranzoso, sono un inguaribile positivo. Mi piace sperare, spero di vedere tornare una società più umana, spero di vedere tornare i ragazzi dall’estero per riempire i paesi abbandonati, ritrovando il gusto di vivere in un Paese meraviglioso come il nostro.
Spero di vedere il ritorno alla terra, ad una decrescita felice; mi piacerebbe vedere le persone che a cena si guardano in faccia senza sbirciare il cellulare, vorrei risentire il suono della voce viva anziché del vivavoce. Siamo in un momento di svolta antropologica e sociale, un momento in cui tutti i nodi stanno per venire al pettine. Ciò che più mi preoccupa è il cambiamento climatico; ciascuno di noi può fare qualcosa per limitare i danni che stiamo provocando all’ambiente. Limitare i danni sarebbe già un buon inizio.
I salami li sai ancora disegnare?
Ah si… li so ancora disegnare, però adesso li faccio sui tovaglioli delle trattorie… PS: se leggerete il libro di Simone, cercate “Jacovitti”.
Abbiamo parlato del tuo passato artistico e del tuo presente letterario. Il futuro cosa ci riserva?
Uno spettacolo nuovo, debutteremo il 28 novembre a L’Aquila e poi gireremo l’Italia con una quindicina di repliche; il prossimo anno torneremo con più date. Si tratta di uno spettacolo sperimentale dove per la prima volta faccio anche il ballerino e condurrò una specie di trasmissione senza capo né coda, un guazzabuglio di gag. E’ una specie di musical che spero possa stupire il pubblico e che conterrà anche uno spazio per il monologo, che è la cosa che più mi aggrada.
Simone Cristicchi “ballerino”… verrò a vederti…