“Eh isthoggu be’ puru si”. Sto bene, anche se…
in lingua sassarese.
In questi giorni di forzata clausura ho spesso rivolto il mio pensiero ad una terra che ha saputo toccarmi il cuore, la Sardegna.
Oggi ho alzato il telefono e scambiato qualche parola in libertà (che vi propongo volentieri) con un uomo che stimo ed apprezzo da tempo, una persona che per meriti artistici è considerato un simbolo della propria Isola, Gino Marielli.
Nato il 25 gennaio, Luigi detto Gino, è uno dei fondatori, insieme a Gigi Camedda ed all’indimenticato Andrea Parodi, del gruppo musicale dei Tazenda.
Autore, compositore, raffinato chitarrista, Gino ha firmato canzoni che ormai fanno parte della storia della musica.
Con lui oggi non voglio parlare nello specifico della produzione musicale del suo gruppo, ma di come si vive in Sardegna questo periodo di profondo disagio.
Allora Gino, come stai?
Sto bene. Certo che “come stai?” è un po’ una domanda zip. Rispondi d’istinto “bene”, poi apri lo zip, il file esplode e quindi arriva tutto il resto: “sto bene anche se…”.
E qui appare tutto quel mondo di sfumature che fa la differenza, nel bene e nel male; quando tieni ad una persona quelle sfumature se sono belle ti inebriano, quando sono spiacevoli ti disturbano. Personalmente sto bene, sono in salute e lo sono anche i miei familiari, i miei colleghi dei Tazenda e tutte le persone che collaborano con noi.
I dati aggiornati a ieri ci dicono che la Sardegna piange 102 donne e uomini scomparsi a causa del coronavirus. Pur mantenendo intatta tutta la sua drammaticità, questo numero è infinitamente inferiore ad esempio a quello della Lombardia che supera i 13.000 decessi ufficiali per Covid. Quali sono a tuo avviso i motivi e gli atteggiamenti che hanno permesso alla Sardegna di difendersi egregiamente?
E’ veramente difficile cercare di individuare questi motivi ed anche i dati sono complicati da analizzare. Il perché quasi tutti i contagi ed i decessi si siano concentrati a Sassari e nella sua provincia è ancora da capire.
Contagi che si sono concentrati quasi esclusivamente nell’ambito degli ospedali e delle strutture sanitarie, toccando solo raramente gli ambienti produttivi ed i luoghi di ritrovo sociale. Probabilmente il virus sarà arrivato dai collegamenti che uniscono il sassarese al continente, ovvero gli aeroporti di Alghero e di Olbia ed i traghetti che, provenienti da Civitavecchia e da Genova, canalizzano rispettivamente i flussi del centro-sud e delle regioni del nord Italia.
Perché Milano di più e la Sardegna di meno? Perché l’Italia di più e la Polonia di meno? Tutte le indagini relative al tracciamento del virus ci forniranno sicuramente una risposta tecnica, spiegandoci come e quando la pandemia si è mossa dalla Cina per raggiungere tutto il mondo, dopo essere passata per la Germania.
Il mio non vuole essere assolutamente un fatalismo freddo
Da un punto di vista filosofico potrebbe esserci stata una sorta di casualità; le cose sono andate così e forse non è nemmeno fondamentale approfondirne ad ogni costo le dinamiche.
Il mio non vuole essere assolutamente un fatalismo freddo, è solo il modo di guardare a quanto accaduto con una visione non esclusivamente tecnica.
Gli scienziati e coloro che si occupano di statistica un giorno saranno in grado di dirci esattamente “perchè tutto è accaduto”, ma io non considererò mai questa risposta come una sentenza unica ed esclusiva.
E’ corretto concentrarsi sulle cause del contagio ed entrare nel cuore del problema, però un evento così grande, di portata planetaria, il più dirompente nella vita di quasi tutti noi, non si può catalogare solo con l’analisi della tecnica dell’accaduto. Si può e si deve leggere anche in un modo diverso, complementare ed alternativo.
Un ambiente più sano rispetto a quello ad esempio della Pianura Padana, la difesa naturale rappresentata dal mare ed una concentrazione abitativa non esasperata hanno probabilmente aiutato a contenere la diffusione del virus. Molto ha fatto anche il senso civico dei sardi.
Il governatore della Sardegna, il sindaco di Sassari ed i sindaci di molti paesini della Sardegna hanno avuto da subito un atteggiamento particolarmente restrittivo.
Il sindaco di Sassari ad esempio, nonostante un’ordinanza nazionale allora più permissiva, ha impedito già da metà marzo di correre in giro per il territorio comunale. Io corro giornalmente da oltre trent’anni e per me è stata una brutta botta, ma disciplinato come un soldatino mi sono fermato subito davanti a questa disposizione.
Qui non si gira nemmeno nelle adiacenze della propria abitazione e si esce con la giustificazione scritta solo ed esclusivamente per fare la spesa o per portare giù il cane.
L’atteggiamento del governatore Solinas e dei sindaci è stato da subito chiaro e fermo, quasi un atteggiamento da severissimo preside di scuola. “Qui non si scherza, si tutela il bene di tutti e non si fanno sconti a nessuno”.
La notte giravano le vetture della Polizia locale ed i vigili con i megafoni ricordando a tutti l’obbligo di stare a casa; è stata una cosa un po’ inquietante ma ha funzionato perché la gente si è impaurita ed anche i più ribelli hanno perso in fretta la voglia di fare i furbetti.
Nelle regioni del nord – ed in Lombardia in particolare – un prezzo molto caro lo si è pagato nelle RSA, acronimo asettico che indica gli ospizi, i cronicari. Il conferimento degli anziani (specie se non autosufficienti) in questi spazi di parcheggio collettivi è una pratica abbastanza frequente in una società che non ha il tempo, lo spazio, la possibilità e la voglia di occuparsi di loro. E’ uno dei grandi business dei nostri tempi. Anche in Sardegna si segue questa brutta tendenza?
No, in Sardegna questa mentalità che porta a considerare l’anziano un peso, una palla al piede, un fastidio, non c’è. Ti porto come esempio il mio caso personale; mia madre ha novantadue anni, vive da sola, è perfettamente autosufficiente, la testa va alla grande… anche meglio della nostra, pur portandosi addosso duemila acciacchi.
Rimasta sola, sono almeno dieci anni che ci dice “ragazzi portatemi in qualche posto così non vi disturbo”. Ma non se ne parla nemmeno! Lei non ci disturba affatto, anzi a vedere bene siamo ancora noi a disturbare lei.
Ultimamente ha dovuto fare un pit stop in un istituto riabilitativo per riprendersi dalla frattura di un femore (è un classico, dopo comunione, cresima e matrimonio ad una certa età è previsto che ci si rompa il femore… è un’iniziazione) ma dopo un mese di terapie è tornata a casa. Non ci pensavamo proprio a lasciarla in parcheggio lì; pensa, è tornata a casa proprio l’8 marzo, il giorno in cui le Case di Cura e Terapia sono state chiuse ai parenti ed ai visitatori.
Al di là del mio caso personale, anche sentendo l’esperienza diretta di amici e conoscenti, l’idea del parcheggio del vecchio lontano da casa qui non c’è. Si tende a tenere vicino a se anche i vecchietti con l’Alzheimer, che sono comunque decisamente impegnativi da gestire. Non dico che non esistano i ricoveri, ce ne sono, ma tendenzialmente vengono presi in considerazione solo quando viene totalmente a mancare quella relazione di scambio che prevede una qualche forma di comunicazione, anche solo affettiva.
Moralmente è una sconfitta
Certo, se sei sempre in giro per lavoro, hai già i figli da seguire, non sei mai a casa ed il tuo congiunto anziano non è più cosciente e non comunica più con te in alcun modo, allora magari l’ipotesi di un ricovero la prendi in considerazione. Anche perché un’assistenza domiciliare spesso è molto più costosa e meno efficace; comunque, anche in casi estremi, il ricoverare una mamma o un papà anziano è considerata una sconfitta. Moralmente è una sconfitta.
Tornando al Covid devo dire che, dopo il mondo degli ospedali, quello delle residenze per anziani è stato uno degli ambienti dove il virus si è accanito con maggior forza. Tutto sommato, per quanto ne sappia io, in Sardegna ci sono state solo tre strutture dove una volta ammalato uno si sono ammalati tutti, o quasi. Due a Sassari ed una in un paese della Barbagia. Ma si tratta di casi sporadici e circoscritti, non c’è stata una carenza gestionale nelle RSA sarde come invece pare essersi verificato in altre regioni.
Qualche errore può anche esserci stato, magari nella primissima fase del contagio, quando la percezione della gravità del virus non era ancora stata compresa a fondo. Nel complesso le cose sono state gestite con la dovuta attenzione.
Rinchiusi in casa gli italiani hanno riempito la propria giornata leggendo, ascoltando musica, rivedendo vecchi e nuovi film. Molte persone si sono messe al servizio degli altri cercando di dare un piccolo contributo, e non parlo solo di raccolte fondi o servizi di assistenza sociale in senso stretto. Per esempio la mia amica Elvira Serra, brillante firma del Corriere della Sera, ogni pomeriggio dalla sua casa di Milano prende un libro e legge alcune pagine ai suoi concittadini di Nuoro ed agli amici tutti in Italia. So che anche i Tazenda hanno fatto un bel live in streaming.
E’ stata un’idea del nostro fonico Alberto Erre, un collaboratore ed un amico, uno che ha iniziato a toccare i nostri amplificatori sino da quando aveva tredici anni. Lui è uno di noi, uno della nostra famiglia. L’idea è sua e devo dire che gli è venuta ancora prima che una cosa simile la facessero i Negramaro, solo che noi siamo più lenti e quindi il debutto lo hanno fatto i Negramaro. Bravissimi, sono stati davvero bravissimi.
L’idea è molto semplice; prendi il tuo smartphone, con il silicone lo attacchi alla porta della tua stanzetta dove ti rifugi a suonare quando sei a casa; cuffia, metronomo (indispensabile per potere sincronizzare il tutto), voce, strumento e via… senza aiuti computerizzati. Poi Alberto ha ricomposto tutto realizzando una registrazione unica e mettendo a posto qualche particolare. Audio e video originali dello smartphone e niente telecamere ultra professionali.
Abbiamo scelto quattro canzoni, quelle che ritenevamo le più gradite ai nostri fans come Domo Mea (che avevamo realizzato con Eros Ramazzotti) e Cuore e Vento (realizzata con i Modà), che poi sono quelle che nei concerti fanno il fritto, quelle che tutti cantano e che creano sempre una sorta rito collettivo celebrato tra noi ed il pubblico.
Quindi Gracias a la vida, una splendida canzone di Violeta Parra (eseguita molto bene anche da Joan Baez) che il nostro Andrea amava cantare negli ultimi giorni della sua vita. E’ stato un suo bellissimo regalo, una canzone splendida con un testo ed una melodia purissimi, un pezzo che amiamo molto proporre in particolare nelle nostre tournée teatrali. Nel bene e nel male questa canzone ha sempre un senso ed ha un significato talmente universale che risulta proponibile in un numero elevato di circostanze, liete e meno liete.
Ed infine Pitzinnos In Sa Gherra, una delle nostre realizzazioni più celebri e conosciute.
Questa idea ha funzionato ed abbiamo intenzione di riproporla, con almeno altri quattro pezzi; è un modo molto bello, nuovo e creativo per essere vicini al pubblico.
Un certo Gino Marielli, ottimo chitarrista, si è proposto sui social anche con alcuni tutorial di chitarra elettrica. Sappi che dopo averti visto fare con una naturalezza assoluta i passaggi più complicati di “Nanneddu meo” ti ho mandato, con invidia, a ciapà i ratt…
Guarda sono anni che diversi chitarristi mi chiedono informazioni specifiche, in quanto sostengono che io ho un modo molto particolare di creare le parti per chitarra, parti che realizzo più con la mentalità del compositore che con quella dell’interprete.
In queste parti i suoni sono sempre un po’ strani, originali. Nel pop moderno, dominato dall’elettronica, la chitarra vive un momento di profonda crisi e non si usa più tanto metterla in gioco come faccio io. La chitarra è vista quasi sempre come un vecchio dinosauro sopravvissuto al rock, roba d’altri tempi.
Ho ripensato ai nostri primi cinque o sei dischi dove la chitarra aveva le sue parti e non serviva, come nel pop attuale, solo per accompagnare; noi avevamo delle specifiche parti per chitarra che inserivamo nei punti giusti del pezzo.
La mia formazione è sicuramente più vicina al suono dei Genesis piuttosto che al rock classico e, salvo rarissimi frangenti, le mie chitarre non fanno mai improvvisazione, ma fanno quello che devono fare con parti ben definite.
Le mie parti di chitarra sono sempre state considerate particolari ed originali e particolarmente difficili da tirare giù, più che da riprodurre. Un buon chitarrista le può eseguire tranquillamente, ma magari può avere qualche titubanza nell’identificarle correttamente e tirarle giù, mettendole sullo spartito.
In questi momenti di lockdown ho visto sui social Brian May, il chitarrista dei Queen, seduto sul letto con un amplificatorino portatile che faceva vedere alcuni dei passaggi più celebri della sua discografia. Ricco e famoso era lì a suonare davanti ad uno smartphone per i suoi fans. Mi sono sentito una m…. ! No dai ragazzi, tutto quello che so fare ve lo propongo…via subito… al lavoro!
Devo dire che la cosa ha funzionato, ed è anche stato piacevole vedere come ciascuno prendeva dal mio video quello che maggiormente lo colpiva. Una ragazza ha apprezzato la fluidità delle mani, alcuni chitarristi “avanzati” mi hanno scritto dicendomi…”ecco finalmente ho capito! Era così… ed io credevo che fosse invece così…”.
E poi sapere che finito il video ci sono ragazzi e ragazze che imbracciano la chitarra e ti suonano, fa piacere. Io stesso guardando Brian May suonare We are the Champions ho individuato una serie di passaggi che con il semplice ascolto del disco non riuscivo a captare nel modo giusto. Ogni chitarrista ha delle diteggiature personali che escono dal seminato standard, un po’ come le parti che ho proposito io in “Nanneddu”, nascono e finiscono lì.
Di solito le partiture hanno un riferimento identificabile, si riferiscono ad un genere oppure ad un’altra canzone. Poi ci sono i pezzi unici; pensa ad esempio a “Futura” di Lucio Dalla. Non ha un prima e nemmeno un dopo. E’ arrivata così com’è, nessuno l’ha più copiata dopo di lui e lui stesso non l’ha presa da nessuna parte. Creazione unica ed irripetibile, una cometa. Senza un prima e senza un dopo.
Proporrò ancora qualche pezzo, in tanti mi hanno chiesto “Limba”, la farò sicuramente.
Fase 2, fine del lockdown, ripartenza. E’ più facile da dire che da realizzare. Ci sono attività professionali che inevitabilmente partiranno per ultime ed in misura molto ridimensionata.
Ipotizzare oggi la realizzazione, in tempi relativamente brevi, di un concerto in piazza oppure in un palasport è un azzardo, quasi un’utopia. Da dove ripartirete?
Noi abbiamo una fortuna ed una sfortuna allo stesso tempo. La fortuna sta nel fatto che non facciamo parte della grande macchina dei concerti da stadio e di conseguenza non siamo coinvolti in tutte quelle dinamiche collegate alla prevendita dei biglietti che causerà qualche grattacapo ad altre formazioni.
Per contro la sfortuna è che noi abitualmente ci esibiamo nelle piazze, sia in Sardegna sia sul continente, in feste popolari che molto spesso sono abbinate a ricorrenze religiose. Feste antiche e molto radicate nelle tradizioni locali. Ci esibiamo in teatri e manifestazioni varie durante tutto l’anno, ma i concerti collegati alle sagre rappresentano una percentuale importante del nostro lavoro; non meno di trenta concerti distribuiti dalla primavera all’autunno.
Le misure anti assembramento che dovremo affrontare e rispettare ci impediranno di suonare in spazi pubblici affollati. E poi ci scontreremo con le difficoltà economiche dei singoli comitati organizzatori.
Nel nostro piccolo è un problema.
All’inizio di ogni anno le comunità cittadine eleggono un comitato a cui conferiscono l’incarico di organizzare l’evento clou della stagione, che può coincidere con la festa del santo patrono oppure con antiche sagre tradizionali. Una volta formato il comitato, questo parte con la questua. Vengono raccolti i fondi casa per casa, interpellando le aziende, i negozi, le diverse attività che posso avere il piacere o la convenienza pubblicitaria di mettersi in evidenza nel corso della manifestazione. A seconda di quanto viene raccolto si pianifica il cartellone degli eventi e si sceglie quali ospiti invitare ad esibirsi. Con tremila euro si può ingaggiare un giovane cantante con la fisarmonica, con una disponibilità un pochino maggiore si possono chiamare i Tazenda o Finardi o altri musicisti di maggior fama.
In questo periodo i comitati non hanno lavorato, la raccolta fondi non è iniziata, i permessi per esibirsi in spazi pubblici non sono stati richiesti (e dubito che anche se richiesti verranno concessi), quindi tutto è fermo.
Aggiungiamo che in Sardegna come in mezzo mondo la pandemia ha dato un colpo tremendo al mondo del lavoro e quindi è prevedibile che i fondi, tutti i fondi, saranno orientati non alle sagre paesane ma al sostentamento di chi fatica a mettere a tavola un pasto caldo ogni giorno. Qual è il sindaco o il parroco disposto a pagare per avere un gruppo sul palco quando ha nel suo gregge famiglie che patiscono la vera povertà?
Nel nostro piccolo è un problema. I Tazenda occupano tra musicisti, tecnici e collaboratori vari numerose persone, tutti adulti con famiglia; abbiamo fatto un calcolo semplice, venticinque famiglie vivono grazie al lavoro che prestano per la realizzazione della nostra stagione di concerti.
Il comparto artistico e dello spettacolo, tolti i vip che guadagnano cifre da capogiro, ha dimostrato di essere fragilissimo. Eppure senza le arti liberali e senza la musica non si può vivere.
La prima grande delusione è giunta da una parte dell’opinione pubblica. Non voglio sparare con la mitraglia ad alzo zero e tantomeno fare di tutte le erbe un fascio, però anche in questa occasione sono saltate fuori le vecchie frasi fatte legate al nostro mestiere.
Hai presente la solita domanda che viene fatta ai ragazzi giovani che suonano e che sognano di fare una carriera nel mondo della musica? “Bravo! Ma poi che mestiere vorrai fare?” Questa vecchia stupida domanda, profondamente radicata nel tessuto connettivo della società, testimonia come esista ancora la convinzione che quella del musicista in fondo non è una professione.
Cosa diavolo dovremmo fare ancora per dimostrare al mondo che senza la musica il silenzio sarebbe assordante, che ci sarebbe grande tristezza senza la poesia, che ci sarebbe aridità di cuore senza la letteratura?
Dovrebbe essere insegnato sino dalla prima elementare che tutto il mondo dell’arte, della creatività, della rappresentazione artistica deve essere considerato un farmaco salvavita per l’anima. Quante persone si sono salvate, si sono ritrovate, si sono riequilibrate seguendo le note di un musicista, leggendo i testi di una canzone? Un’infinità.
La musica porta il medesimo benessere che puoi trarre dalla lettura della filosofia; nella Grecia e nei tempi antichi questo era un concetto scontato ed accettato in ogni fascia sociale. Oggi no.
La musica porta il medesimo benessere che puoi trarre dalla lettura della filosofia; nella Grecia e nei tempi antichi questo era un concetto scontato ed accettato in ogni fascia sociale. Oggi no.
Gli eventi che ci giungono addosso provenienti dal mondo esterno influenzano fortemente non solo la nostra mente, ma anche il nostro corpo fisico.
L’Uomo ha la possibilità di attivare delle sostanze buone, senza dovere necessariamente ricorrere alla farmacologia chimica. Parliamo ad esempio delle adrenaline, della noradrenlina, sostanze che vengono create dall’organismo attivando meccanismi di reazione come ad esempio la corsa, la meditazione, la preghiera ed anche l’ascolto di un concerto.
Tu hai un bellissimo beagle, io ho due conigli. Ci basta guardarli o carezzarli al mattino per sentire un sollievo fisico, dovuto alla creazione spontanea di sostanze che ci regalano benessere. L’intero Creato è interconnesso, Battiato direbbe che “l’Universo è tutto Uno”, e non credo sia necessario fare delle considerazioni di carattere mistico per capirlo. Sono cose spiegabili e spiegate dalla scienza.
Nonostante ciò il mondo dell’arte e della musica è messo in disparte e viene considerato un comparto di serie B che, almeno per il momento, dovrà arrangiarsi come può da solo.
la nostra non è una musica di generazione, non invecchia facilmente.
Bisognerà giocarsela con le armi che si hanno a disposizione, per lo più virtuali. Magari provando a commercializzare un nuovo disco.
Un nuovo disco noi lo abbiamo pronto ma non lo faremo uscire, anche a costo di farcelo invecchiare in mano. Non lo butteremo via solo per fare un po’ di cassa, aspetteremo il momento giusto per poterlo proporre come si deve al nostro pubblico; la nostra non è una musica di generazione, non invecchia facilmente.
Come ripartiremo? Qualcuno ha ipotizzato concerti in stile Drive In, con la band sul palco ed il pubblico in macchina ad ascoltare. Ma l’ipotesi è naufragata dopo un rapido sondaggio che è stato fatto in diverse location della nostra Isola.
La musica si fa in piazza, non in un campo sterrato (magari un campo di calcio), chiusi in macchina come sardine in estate con quaranta gradi e con i motori accesi per fare andare il climatizzatore… e chi la sente poi Greta Thumberg?
Gira voce che la musica dal vivo sarà sdoganata a fine anno, al massimo riusciremo a fare qualche concerto per il Capodanno… la nostra stagione è bruciata. Cercheremo di tenere duro ma le prospettive sono balorde e le nostre preoccupazioni riguardo i nostri collaboratori sono notevoli.
Questo virus cambierà il nostro modo di vivere in futuro? Come cambieranno le relazioni sociali? Riusciremo a tornare in sintonia con la Natura?
Di colpo l’intera umanità non diventerà migliore ma coloro che avevano già progettato un miglioramento personale, e che avevano intuito qualcosa, da questo evento riceveranno una fortissima spinta per fare quel “salto” che può davvero cambiare loro, le loro relazioni sociali ed il loro modo di guardare alla vita.
Parlo di relazioni sociali interpersonali e parlo anche di un diverso modo di guardare alla Natura; parlo di quella parte del genere umano che l’economia considera poco più di un gruppo di svampiti rompipalle. Sicuramente ci saranno donne ed uomini che si ritroveranno dopo questa esperienza più rispettosi nei confronti degli altri, nei confronti del lavoro, dell’ambiente e che magari imposteranno una vita un pochino più parsimoniosa e meno orientata al consumo sfrenato.
Abbiamo capito che non è obbligatorio dover comprare qualcosa ogni volta che si esce da casa o che non è tassativo cenare una sera si ed una no al ristorante. Consumi, piaceri e disponibilità personali in molte persone troveranno un equilibrio nuovo, un equilibrio che si era perduto.
A Quartu un fenicottero è andato in città, qui a Sassari abbiamo visto passeggiare tranquillamente qualche cinghiale in strada e subito si sono alzate le proteste. Dove andremo a finire!!!! Ma per carità è una cosa magnifica rivedere i cinghiali e sentire il canto degli uccelli, oppure vedere i delfini nei canali di Venezia, le lepri nei parchi pubblici di Milano e così via.
Tieniti forte, abbiamo visto volare nei cieli di Milano un’aquila reale. Mi sono quasi commosso. Non riuscivo a crederci.
Magnifico, la Natura resiste, gli animali ci sono ancora, vivono nascosti ed esiliati ma sopravvivono nonostante noi e nonostante il nostro modo di gestire l’ambiente. La Terra è loro così come è nostra e noi dovremmo iniziare a capirlo; nulla dura per sempre, dobbiamo riprendere il controllo della nostra società. Non mi fraintendere non desidero i cammelli in centro città, ma la Natura che esce allo scoperto e ci fa capire che resiste, è una figata pazzesca.
Parliamo dei nostri giovani. Ho sempre avuto l’impressione che fossero più attrezzati tecnologicamente di noi, ma anche che fossero fragili. Più veloci di noi nello stare al passo con l’evoluzione, ma più delicati nelle difficoltà. Invece stanno reggendo.
I ragazzi più giovani hanno avuto la fortuna di avere a portata di mano la tecnologia che li ha molto aiutati in questo momento di noia; playstation, smartphones, Tik Tok e via andare.
Hanno molto apprezzato il non dovere andare a scuola (al massimo qualche lezione online) ma forse non tutti hanno ben capito cosa stiamo vivendo. Nemmeno molti adulti lo hanno compreso a fondo, si è trattato di un evento assolutamente straordinario. Ho provato a chiedere lumi a mia madre attingendo ai suoi ricordi, ma una cosa come questa non è paragonabile nemmeno alla malaria patita ai suoi tempi.
I ragazzi sono stati disciplinati, questo si, hanno rispettato le regole; a parte qualche goliardata con lo spritz sui Navigli nei primissimi giorni dell’emergenza, i giovani sono stati rispettosi delle regole comuni.
Anche coloro che hanno dei problemi seri in qualche modo hanno subìto una chiamata all’ordine da questa emergenza; pensa a tutti i ragazzi che si drogano, magari andando in giro a rubacchiare per finanziarsi il consumo giornaliero. Anche loro sono tornati forzosamente a casa, hanno riscoperto la famiglia; c’è chi si è comportato bene, chi meno, chi è stato bravo, chi cattivo, ma tutti sono stati riportati alla linea di partenza.
Difficile ipotizzare oggi quante crescite spirituali e quante depressioni nasceranno da questa quarantena, i giovani avranno bisogno di un certo tempo per metabolizzare quanto accaduto.
I miei ragazzi hanno fatto scelte differenti tra di loro su come passare il periodo del lockdown.
Viola, la mia primogenita, che ha venticinque anni e studia psicologia a Torino, nell’approssimarsi del blocco totale ai trasferimenti ha fatto una scelta; anziché tornare a casa a Sassari ha deciso di trasferirsi dal fidanzato a Milano. Certo, prima di fare questa scelta qualche pianto è scappato, ma poi il suo ragionamento è stato molto profondo: “papà, mamma anche se ora vi lascio soli voi mi amerete sempre e comunque, ora devo pensare a costruire e consolidare il mio rapporto di coppia”.
Non è che abbiamo fatto i salti di gioia, ma abbiamo accettato la sua scelta. Avrebbe dovuto dare la tesi di laurea, invece ora tutto è sospeso ed è blindata a casa a Milano.
Sono quasi due mesi che non ci abbracciamo, anche se ci vediamo tutti i giorni grazie alla comunicazione virtuale. La sua generazione è una generazione molto attenta ed anche molto responsabile; i primi giorni del blocco mi chiamava di continuo per istruirmi su come e quando mettere i guanti, su quali mascherine scegliere e su come indossarle, su quando uscire, su quando non uscire…
Forse mi vedeva un po’ sprovveduto e disattento, ovviamente sbagliando! Magari anche lei crede alla leggenda metropolitana del musicista sempre con la testa tra le nuvole… è il suo modo di dirmi che mi vuole bene.
Il più piccolo, Cristiano, invece ha appena compiuto diciassette anni in questo periodo di clausura e vive con me e mia moglie a casa. Questa convivenza totale ci sta aiutando a conoscerci meglio, gli sto raccontando tutto quello che facevo da bambino e da ragazzo, è un’ottima cosa.
Sulla convivenza in generale in casa, ammetto che la temevo. I nostri caratteri però ci hanno aiutato a trovare un buon equilibrio. Io ho bisogno di stare solo nel mio piccolo studio ogni tanto e quando sono lì nessuno mi disturba. Quando esco sono in pace con me stesso e di conseguenza sono sempre disposto al meglio con gli altri. Ho la mia grotta, come quella dei cavernicoli della preistoria, mi rinchiudo quando serve e quando esco il mio spirito è in festa. E poi abbiamo i momenti che condividiamo tutti insieme, la Casa de Papel ci ha uniti…
STOP… mi mancano tre puntate, se me la spoileri ti bastono…
Tranquillo, bocca cucita!
Cristiano comunque sta bene, contento di non andare a scuola, mi sembra sereno. Forse non ha ancora sviluppato a fondo la percezione del dramma che si vive nel mondo con lutti e sofferenze o forse finge di non vedere, per salvaguardare il suo equilibrio dalla simpatia al dramma collettivo; simpatia nel suo significato più vero, quello che in greco antico è chiamato sympatheia, letteralmente «patire insieme».
Un turismo che viaggerà a passo d’uomo almeno quest’anno ed una situazione occupazionale ormai da tempo precaria. Sei preoccupato per la tua Isola?
Si, sono preoccupato. La Sardegna da una vita sogna di diventare un luogo ricco e felice attraverso il turismo, ma non è ancora arrivato quel momento. Ogni anno abbiamo fatto un passo avanti verso questo traguardo, ma quest’anno dovremo fermare la nostra camminata.
Si dice che la stagione turistica sia compromessa, speriamo di salvarne almeno una parte in qualche misura.
Sarà difficile da metabolizzare questo stop, chi lo spiegherà a tutte quelle persone che lavorano nella filiera del turismo che rimarranno senza lavoro? Non parlo dei ragazzini che mettono via qualche soldo lavorando d’estate lavando i piatti, io penso a tutte le persone (magari di cinquanta o sessant’anni) che stabilmente fanno la stagione estiva lavorando ad esempio come camerieri ai piani negli alberghi. Mettono via una certa somma e poi durante il resto dell’anno tornano nei loro paesini facendo qualche lavoretto, vivendo sostanzialmente con il guadagno estivo.
Il virus e la psicosi che accompagnerà il muoversi in giro per l’Italia di certo penalizzeranno il turismo, se registrassimo un calo del 50% saremmo già fortunati.
Secondo me i milanesi saranno quelli più coraggiosi e non si faranno fermare; in molti hanno la seconda casa qui in Sardegna, considerano la nostra Isola in certo modo casa anche loro, si sanno muovere… vedrai che verranno, che verrete.
Sai che prima del lockdown totale qui abbiamo avuto un flusso in entrata di circa dodicimila persone provenienti dal nord Italia, principalmente dal Piemonte e dalla Lombardia? I controlli ancora non erano serrati e si è verificato un piccolo esodo di massa, con tanta gente che è venuta ad occupare le seconde case nel nord della Sardegna pensando di passare qui il periodo di blocco.
I sardi si sono davvero arrabbiati molto e l’opinione pubblica ha rumoreggiato non poco. Abbiamo avuto la fortuna di non avere registrato nessun peggioramento dovuto a questa migrazione incontrollata; anzi, VOI avete avuto la fortuna di non avere creato casini… perché altrimenti….
Comprensibile che in tanti abbiano pensato “scappo da Codogno o da Milano o da Bergamo e vado a Santa Teresa”, però diciamolo, è stata una cosa un tantino cattiva.
La mia preghiera: aiutami ad accettare.
Una preghiera, anche laica, cosa chiedi ed a chi?
Da padre, da uomo, da italiano, da sardo.
La preghiera laica che mi viene in mente adesso ha come parola guida il termine accettazione.
Accettazione intesa non nel suo significato di passiva remissione; accettazione significa prendere atto della realtà, significa essere spettatore attivo di tutto quello che è successo e che sta succedendo. Osservare anche con un filo di gratitudine, che non è lo sciocco sorriso del monaco illuminato, ma è un’intelligente furbizia, una tecnica per produrre, nella nostra relazione con la vita e con il mondo, un rapporto di profondo amore e di reciproca comprensione.
Come in famiglia, sediamoci insieme intorno ad un tavolo e prendiamo atto della situazione. Accettiamo e vediamo cosa accade, coscienti del fatto che siamo noi, tutti insieme, a produrre quello che accade. La mia preghiera: aiutami ad accettare. Se cerchi nei testi sacri di tutte le religioni troverai sempre una frase fondante che invita ad accettare; un “sia fatta la tua volontà“. Le espressioni sono differenti ma il significato è univoco. Ovviamente il significato di tua richiede una corretta interpretazione.
Bene Gino, è arrivato il tempo di dire arrivederci e a presto. Ci vedremo nella tua splendida terra.
Certamente, anche tu salutami Milano, che soffre e mi è cara. Ti racconto un piccolo aneddoto. Tanti anni fa, negli anni ’80, suonavamo con Morandi ed abbiamo avuto l’occasione di fare anche delle serate con Ombretta Colli, la moglie di Giorgio Gaber.
Una sera in pullman Ombretta mi avvicinò e mi chiese “di che segno sei?” Risposi “Acquario”. “E in che giorno sei nato?” – “Il 25 gennaio”. “Vedi, lo sapevo che c’era qualcosa… mi ricordavi qualcuno e non capivo perché”.
Io ero un ragazzino e non sapevo che anche il grande Gaber fosse nato il 25 gennaio. Da quel momento Milano mi è ancora più cara.