Quando conobbi Carlo Levi Minzi io avevo solo ventuno anni e lui trenta. Non proprio una vita fa ma quasi. La prima volta che sentii suonare della musica classica dal vivo fu in occasione di un suo concerto di pianoforte. Eravamo a Milano, in una delle sale dell’Umanitaria; la giovane ragazza che fu così gentile da accompagnarmi ancora conserva la rosa che le portai quella sera, chiusa dentro ad un libro. E’ qui a casa nostra, da qualche parte.
Carlo Levi Minzi
Allievo di Enrica Cavallo, Vladimir Natanson, Paul Baumgartner e Mieczyslaw Horszowski Carlo Levi Minzi ha tenuto concerti nelle principali città di Europa e America ed effettuato numerose registrazioni radiotelevisive e discografiche.
Il suo repertorio, che si estende da Bach ai giorni nostri, comprende, oltre al ciclo integrale delle Sonate di Mozart, Beethoven, Schubert e Skrjabin, anche più di cinquanta Concerti per pianoforte e orchestra.
Già Professore Ordinario presso il Conservatorio “G. Verdi” di Milano, è stato Visiting Professor presso prestigiose istituzioni europee e americane.
Tutto qui? Potevamo scrivere anche qualcosa in più.
Io amo le biografie sintetiche e detesto quelle esageratamente lunghe, prolisse, chilometriche che poi il più delle volte dicono poco o niente. Mi ricordo che da ragazzo lessi ed apprezzai molto la biografia di Emil Gilels, che era un grandissimo pianista: “Emil Gilels, professore presso il Conservatorio di Mosca“.
Il Maestro Ennio Morricone più volte ha affermato che “il successo viene certo dal talento ma ancora più dal lavoro, dall’esperienza e, ripeto, dalla fedeltà alla propria arte.” Sei d’accordo con questo pensiero? Nel tuo caso specifico cosa ha pesato maggiormente, il talento o l’applicazione e lo studio?
Condivido pienamente questa affermazione. Io credo molto al lavoro. Al lavoro, alla fatica, al sudore, all’applicazione ed allo studio. Il lavoro è tutto, il lavoro insegna.
Io come pianista sono stato precoce; ho cominciato a suonare ad orecchio che non avevo nemmeno quattro anni, le prime lezioni di pianoforte le ho prese quando non avevo ancora compiuto i cinque anni. Questa mia grande facilità giovanile nel corso degli anni si è rivelata quasi come un handicap; pensi di potere fare le cose perché “ti vengono facilmente” ma poi con il passare del tempo questa predisposizione può ritorcersi contro di te.
Prima pensi di potercela fare, quindi di avercela fatta, credi che tutto accada con estrema facilità grazie ad un’innata predisposizione e poi negli anni capisci che suonare è altro. Ci sono tutta una serie di implicazioni, doppi sensi della frase, significanze, studi di filologia, analisi della partitura che necessitano di una sola cosa: lo studio.
Studiare una partitura musicale richiede per prima cosa l’avere la cognizione della filologia dell’epoca nella quale è stata scritta, così da capire come si deve suonare il pezzo seguendo il suo schema storico. Quindi verificare le fonti.
Più vai avanti e più ti rendi conto di quanto sia difficile interpretare la musica. Vale come non mai il famoso detto socratico: “più so e più so di non sapere”.
Il cosiddetto talento, la cosiddetta facilità, possono divenire un nemico. Da ragazzo studiavo una Sonata di Beethoven in una settimana; adesso quando la riprendo ( e sono cose che ho nelle dita) ci metto anche quindici – venti giorni, un mese per cancellare dalla mia memoria quanto fatto in passato e per re-interpretare il brano, forte di quanto ho imparato negli anni. Ed ogni volta sono dolori.
La musica è una costruzione logica, una costruzione nella quale determinate vicende devono svolgersi secondo una certa trama,
Cosa è la musica per Carlo Levi Minzi?
Quello che era per Beethoven, la più profonda rivelazione della filosofia. La musica non è qualcosa di immediato, tra le arti è forse la più astratta. La letteratura ti fa pensare a qualcosa di reale, la pittura (almeno quella più antica) ti fa pensare a qualcosa di reale, la musica è astratta. Pur avendo una sua logica, una logica che anche i non addetti ai lavori posso afferrare.
La musica è una costruzione logica, una costruzione nella quale determinate vicende devono svolgersi secondo una certa trama, proprio come sostenuto da Schenker* e Freud**.
Freud ha dimostrato che, bene o male, i comportamenti umani seguono determinati schemi. Schenker con lo stesso criterio ha dimostrato che anche la musica segue determinati schemi. Così come l’essere umano ha solo 207 ossa, così come esistono solo due generi (maschile e femminile), così anche nella musica ci sono determinate strutture ossee e determinati generi (che nella musica secondo Schenker sono tre).
Pur in presenza di uno schema logico comune, la musica si caratterizza poi grazie ad una fioritura che ogni compositore attribuisce alla propria musica.
Ecco quindi il compito dell’esecutore, ovvero evidenziare lo scheletro comune ed al medesimo tempo le differenze, le fioriture, quindi aprire la struttura della composizione e ricostruirla.
Ogni esecutore ha una propria etica professionale, la mia consiste nel ricostruire il percorso cercando di renderlo intelligibile anche ai non addetti ai lavori.
* Heinrich Schenker (Wisniowczyk, 16 giugno 1868 – Vienna, 13 gennaio 1935) è stato un compositore e musicologo austriaco.
**Sigismund Schlomo Freud, noto come Sigmund Freud, (Freiberg, 6 maggio 1856 – Hampstead, 23 settembre 1939) è stato un neurologo, psicoanalista e filosofo austriaco, fondatore della psicanalisi.
Prendo spunto dal tuo pensiero per dire che quindi non ogni combinazione di suoni si può definire “musica”.
Schenker, che era decisamente un radicale, sosteneva che qualunque musica che non appartenesse all’area tonale fosse priva di logica. Sparava ad alzo zero.
Io ritengo che ci siano musiche che hanno una logica (e che quindi sono degne di essere ascoltate) ed altre che questa logica non l’hanno. In genere questo accade con la cosiddetta musica leggera, che infatti io non ascolto.
Nonostante ci siano colleghi che dicono di amare perdutamente i Beatles, io non sono mai riuscito a capire il perchè. Non ho avuto passione per il rock, per il pop, per nessuno di questi generi della cosiddetta “musica di consumo”.
Platone nel terzo libro de La Repubblica parla dell’importanza della musica nell’educazione della gioventù e cita tre tipi differenti di musiche. Oggi potremmo dire musiche con un buon feeling, un feeling medio ed uno cattivo. Queste ultime dovevano essere bandite perché avrebbero potuto portare ad una degenerazione della gioventù.
Sono convinto che se Platone vivesse ai nostri tempi, sentita la musica delle discoteche, riconfermerebbe la propria teoria.
Perché il pianoforte?
Avevo il pianoforte in casa, così ho cominciato a prendere lezione sullo strumento che avevo già a disposizione. Il pianoforte poi è uno strumento completo che mi ha permesso di cercare di imitare ad orecchio le sinfonie di Beethoven, cosa che mi piaceva moltissimo fare da bambino. Ricordo che mi arrabbiavo moltissimo perché non mi venivano come sul disco!
A nove-dieci anni sognavo di fare il direttore d’orchestra, amavo sino da allora la musica sinfonica e poterla dirigere era il mio sogno. Crescendo ho studiato direzione di orchestra (anche a Mosca) ma mi sono reso conto di avere dei problemi fisici che non mi permettevano di reggere lo stress e la fatica che la direzione comporta. E quindi sono tornato all’antico amore.
Pubblicato su un tuo profilo social ho recentemente visto il post di una giovane cantante lirica italiana, Anna Piroli. Un post molto crudo, fortemente critico. In sintesi: in Italia preparazione scadente, professionalità bistrattata, mondo del lavoro chiuso a chiave. All’estero qualità dell’insegnamento, soddisfazioni, riconoscimenti e lavoro. Siamo messi davvero così male?
Si, a mio avviso assolutamente si, ed è uno dei motivi per i quali mi sono dimesso dall’insegnamento.
In Italia io ho vissuto una storia didattica davvero brutta. Mi sono diplomato diversi anni fa a pieni voti con lode e menzione speciale, ho ricevuto una borsa di studio e sono andato a studiare al Conservatorio di Mosca, Unione Sovietica.
Appena arrivato mi hanno fatto suonare ed hanno detto: “ e questo sarebbe il miglior allievo del Conservatorio di Milano?”. Ed a seguire, un’omerica risata.
Ho passato i primi tre mesi a cercare di recuperare un gap mostruoso, un gap manuale e sul modo di suonare; sono andato a sentire i loro allievi per capire come suonassero, ho cercato di “rubare” e più li ascoltavo più mi facevo piccolo piccolo. Tre mesi, definirli d’inferno è dire poco. Mi sono anche ammalato.
Se sono sopravvissuto a tutto questo e se ne sono uscito vivo è solo grazie alla pazienza di quel sant’uomo del mio Maestro, Vladimir Natanson.
Successivamente ho studiato la musica mitteleuropea con il grande Paul Baumgartner (altro insegnante non italiano) che mi ha avviato verso la strada dell’osservazione analitica di cui parlavamo prima.
Ed infine negli USA (con un’altra borsa di studio) ho studiato con il “grande vecchio” Mieczyslaw Horszowski, pianista di pura scuola e stirpe beethoveniana. Horszowski era allievo di Teodor Leszetycki, che a sua volta era stato allievo di Carl Czerny, allievo di Beethoven. Discendenza diretta e DNA indiscutibile. Una serie di tappe di studio di indubbia qualità.
Tornato in Italia con tali referenze non potevano impedirmi di avvicinarmi all’insegnamento e quindi mi sono inserito in questo mondo.
Dove mi sono trovato ad essere una sorta di corpo estraneo. I miei colleghi insegnanti erano stati tutti miei compagni al Conservatorio di Milano, un ambiente dal quale non si erano mossi.
Per quanto cercassi di essere collaborativo e per quanto fossi pronto in certa misura a condividere le mie esperienze, hanno fatto di tutto per isolarmi, rendermi la vita impossibile e mettermi in un angolo. Per un certo periodo di tempo ho avuto pazienza, poi la pazienza è finita.
E purtroppo diversi miei allievi hanno avuto problemi nel corso del proprio percorso di istruzione.
La ragazza di cui parlavi, Anna Piroli, è una ragazza strepitosa. E’ stata una delle allieve con cui ho lavorato con maggior soddisfazione nel corso di Musica da Camera che tenevo. Tutto quello che dice è assolutamente vero, con lei ho parlato a lungo e devo dire che ho contribuito non poco a farle maturare l’idea di andarsene.
Tu non hai idea di quanti miei allievi, dopo avere visto come insegnavo e dopo avermi visto fare cose che nessun altro faceva, si sono convinti che la loro strada dovesse essere un’altra.
Ho anche preparato in maniera semi clandestina un’allieva che ha studiato in Germania ed ha conseguito la laurea di secondo livello con il massimo dei voti e successivamente il dottorato (che in Italia ancora non c’è).
Hai mai pensato di trasferirti definitivamente in un altro Paese?
Si ci ho pensato, ma quando stavo per farlo, la persona che avrebbe dovuto aiutarmi nel salto (prima a Basilea e poi nel mondo mitteleuropeo) ovvero Paul Baumgartner, è mancato prematuramente.
Il mio maestro russo non poteva certo invitarmi a chiedere asilo politico all’Unione Sovietica (anche se il fisico italiano Pontecorvo lo aveva fatto), negli Stati Uniti c’era una mafia feroce che dominava l’ambiente e quindi mi sono deciso a rimanere in Italia. Ma mi sono dato una regola; insegnante in Italia e concertista prevalentemente all’estero.
Quando poi la misura è stata colma al Conservatorio e quando me lo sono potuto permettere, ho salutato e me ne sono andato. Ero pronto per una lunga tournée (Stati Uniti, Russia e Spagna) ma il covid ha fermato tutto.
Ho letto che per contrastare i tempi grami che stiamo vivendo (pre e più che mai post Covid) si sta cercando di riscrivere alcune partiture in modo che possano essere suonate da orchestre composte da un numero limitato di musicisti. Una sorta di “concerto-Bignami”. Se fosse vero potrebbe essere l’inizio di una resa senza condizioni. Bandiera bianca e tutti a casa.
Se Beethoven ha scritto per quarantacinque-cinquanta elementi le sue musiche, queste vanno suonate esattamente da quel numero di orchestrali.
Penso esattamente quello che pensi tu; bandiera bianca e tutti a casa. Se Beethoven, o Brahms o qualsiasi altro compositore si voglia prendere come esempio, hanno scritto partiture con determinati organici non l’hanno fatto per divertimento. Se Beethoven ha scritto per quarantacinque-cinquanta elementi le sue musiche, queste vanno suonate esattamente da quel numero di orchestrali. Non si possono fare riduzioni ai minimi termini con orchestre composte da soli venti esecutori.
Visto il delicatissimo momento a mio avviso è più sensata l’idea di chi propone di ricorrere ad un repertorio scritto in origine per un numero più contenuto di orchestrali.
Gira nel nostro ambiente da decenni una tremenda barzelletta.
Il direttore generale di una grande azienda ricevette un invito per assistere all’esecuzione dell’Incompiuta di Schubert. Non potendoci andare a causa di altri impegni, regalò l’invito al capo del personale, che era un giovane manager. Questi andò a sentire il concerto.
Il giorno dopo il direttore generale gli chiese se gli fosse piaciuto il concerto. Con lo zelo tipico di un capo del personale, il manager garantì che a mezzogiorno il direttore avrebbe avuto la sua relazione sulla scrivania.
Il direttore generale ricevette puntualmente la relazione e cominciò a leggerne con sorpresa il contenuto, che era diviso in cinque punti.
1 -Durante considerevoli periodi di tempo i quattro oboe non fanno nulla. Si dovrebbe ridurne il numero e distribuirne il lavoro tra il resto dell’orchestra, eliminando i picchi d’impiego.
2 -I dodici violini suonano la medesima nota. Quindi l’organico dei violinisti dovrebbe essere drasticamente ridotto.
3 – Non serve a nulla che gli ottoni ripetano suoni che sono già stati eseguiti dagli archi.
4 – Se tali passaggi ridondanti fossero eliminati, il concerto potrebbe essere ridotto di un quarto.
5- Se Schubert avesse tenuto conto di queste mie osservazioni, avrebbe terminato la sinfonia.
Mi sono state proposte operazioni di “rappresentazione ridotta”, ma non ho accettato. Come forse sai invece ho partecipato alla prima esecuzione italiana dal vivo post covid, una rappresentazione che ha preceduto di 48 ore il famoso concerto di Roma al quale ha partecipato il Presidente della Repubblica.
Due giorni prima di questo evento abbiamo fatto un concerto in provincia di Varese, a Gazzada Schianno, con un’orchestra di archi di venti persone, diretta dal collega Giorgio Rodolfo Marini, suonando Mozart. Senza riduzioni di organico.
La soluzione per riavviare i concerti dal vivo non è quella di ridurre il numero degli esecutori, ma quella di trovare spazi che si prestano ad essere allestiti nel rispetto delle norme di distanziamento vigenti.
E’ molto pericoloso fare operazioni di riduzione degli organici perché a lungo andare potrebbero trasformarsi in perverse operazioni di “macelleria sociale”, che qualcuno potrebbe prendere in considerazione stabilmente anche quando l’emergenza sanitaria non ci sarà più.
Sarebbe un colpo mortale per l’occupazione e la cultura.
Gustavo Rol, famoso sensitivo italiano del Novecento, per raccontare l’avvio della sua attività di mentalista disse: “Ho scoperto una tremenda legge che lega Il colore verde, la quinta musicale ed il calore. Ho perduto la gioia di vivere. La potenza mi fa paura”. Pensi anche tu che la musica sia solo la parziale manifestazione di qualcosa di più completo e trascendente?
La musica fa parte di una realtà sensoriale e cognitiva. Noi conosciamo molto poco del funzionamento del nostro cervello, la neurologia e la neuropsichiatria sono scienze ancora agli albori, non conosciamo ancora il percorso che porta dall’intuizione alla composizione ed alla logica della musica. Una logica che non è direttamente razionale.
Non c’è dubbio alcuno che la musica faccia parte di un sapere di cui noi ancora ben poco sappiamo.
La ricerca non è una cosa facile, non è piacevole, è qualcosa che ti impegna e ti tormenta pesantemente. Lavorare sulla musica è in certo modo un lavorare sulla mente, sulla comprensione di qualcosa che non è direttamente legato alle note che stai suonando.
Se un genitore disperato ti chiedesse di indicare al proprio figlio un pezzo classico capace di “far scattare una scintilla”, quale partitura suggeriresti? Tieni presente che il ragazzo è un cultore della house music e che quando inconsapevolmente attraversa via Verdi o via Mozart a piedi, scattano gli antifurto delle macchine parcheggiate. Caso disperato, medicina estrema, una sola wild card.
Suggerirei certe variazioni dell’Opera 111 di Beethoven, perché hanno un andamento rockettaro. C’è una variazione in questo pezzo che è proprio a tempo di rock; il ragazzo potrebbe scoprire (forse…) che in fondo quello che lui ascolta con un certo interesse è la forma degenerata di qualcosa che Beethoven faceva meglio. Forse…
Il tuo compositore preferito e quello che maggiormente è stato difficile da conquistare.
Franz Schubert. Lo amo perché è stato il più cerebrale di tutti, forse persino più cerebrale di Beethoven, più di Bach, il che è tutto dire.
So che questo mio pensiero non troverà l’approvazione di molti dei miei colleghi, ma per me è così. Schubert è stato il più intelligente di tutti; ed anche il più autocritico. Pensa che, pur avendo fatto tutto ciò che aveva fatto e pur essendo divenuto tutto ciò che era divenuto, a pochi mesi dalla morte aveva contattato un famoso professore viennese – Simon Sechter (allievo di Mozart) – per andare a lezione, non contento delle proprie conoscenze di armonia e contrappunto.
Il compositore più difficile da raggiungere e da conquistare è proprio lui.
Il tuo pianista preferito. Carlo Levi Minzi venderebbe l’anima al diavolo per sapere suonare come…
No, l’anima non la venderei per emulare nessuno. Nemmeno per suonare come Claudio Arrau, che considero uno dei massimi pianisti di sempre.
Sono contento di essere me stesso; forse un pezzetto di anima la venderei per aver una maggiore scienza, una maggiore capacità di comprensione, ma nel complesso sono contento di quanto ho realizzato in tanti anni di duro lavoro.
Grazie Carlo, un abbraccio.