Riprendiamo la nostra visita alla Casa del Manzoni in compagnia dei nostri ospiti; il professor Mauro Novelli (docente di Letteratura e Cultura nell’Italia contemporanea presso l’Università Statale di Milano e componente del Direttivo del Centro Nazionale Studi Manzoniani) e la dottoressa Jone Riva (responsabile della conservazione scientifica del Museo Manzoniano).
Ripartiamo esattamente da dove ci eravamo fermati nel corso della prima parte di questa pubblicazione, che sia articola in tre uscite.
Ci troviamo al primo piano della casa di Alessandro Manzoni, il piano nobile dove lo scrittore abitò insieme alla propria famiglia per quasi sessant’anni; siamo all’inizio del percorso museale, in quella che un tempo fu un’anticamera ed oggi raccoglie i ricordi dei componenti della famiglia.
Ecco un ritratto del figlio Pietro, forse il più amato dei figli.
Riva: su Pietro abbiamo delle belle testimonianze di Giulietta, la sorella. In qualche modo i figli di Manzoni erano particolarmente legati tra di loro “a due a due”. C’era un feeling particolare ad esempio tra Giulietta e Pietro, tra Vittoria e Pietro, tra le due sorelle Cristina e Sofia, tra Enrico e Sofia. Giulietta scrive a Fauriel** e fa del fratello un bellissimo ritratto. “E’ un bel giovane, brillante, sta bene con gli amici, cavalca…”.
**Charles-Claude Fauriel (Saint-Étienne, 21 ottobre 1772 – Parigi, 15 luglio 1844) è stato uno storico, linguista e critico letterario francese.
A vedere il suo ritratto in età adulta non si direbbe; ha un’aria un po’ da pacioccone…
Riva: invece da ragazzo era uno sportivo; lo stesso papà Alessandro scrive a Tommaso Grossi da Genova (nel corso del loro viaggio verso la Toscana) e dice “Pietro è fantastico, sta imparando a nuotare… si butta dalla barca, si butta da una parte e risale dall’altro lato…”. Si sente proprio l’orgoglio del padre che racconta le prodezze del figlio. Pietro è stato in assoluto il figlio che gli è stato più vicino. Mentre Filippo ed ed Enrico gli hanno creato dei bei problemi.
Novelli: A Pietro Alessandro Manzoni era legatissimo. Pietro gli diede il dispiacere di sposare una ballerina, ma rispetto a quanto gli combinarono gli altri figli fu un dispiacere lieve. Alcuni dei figli gliene fecero di tutti i colori, si indebitarono, spesero la sua parola.
Invece Pietro gli fu vicino sino all’ultimo con affetto e rispetto. Morì qualche mese prima del padre ed a Manzoni venne a mancare l’appoggio del figlio prediletto. Lo scrittore, quando scomparve il figlio maggiore, era già gravemente malato; gli amici più stretti cercano di alternarsi al suo capezzale, anche perché senza un vero capofamiglia presente si temevano ladrocini e ruberie in casa, e forse qualcosa è davvero stato fatto sparire dalla dimora in quei mesi tribolatissimi.
Riva: Filippo ed Enrico diedero grandi pensieri al padre, non solo indebitandosi fortemente ma anche non adattandosi minimamente ai consigli che ricevevano dal genitore per rientrare , in qualche modo, su binari più corretti e consoni ad uno stile di vita più ordinato.
Passiamo direttamente alla stanza successiva, che non è separata da alcun corridoio dall’anticamera nella quale ci trovavamo prima; ai tempi del Manzoni l’uso dei corridoi nelle dimore milanesi non era di uso comune.
A quale scopo era destinata questa grande stanza?
Riva: Questa era la sala da pranzo di Casa Manzoni. Noi sappiamo che al centro di questa stanza c’era un grande tavolo ovale e sulla parete opposta a quella del camino erano posizionate due consolle che contenevano i servizi da tavola; sono ancora esistenti e sono conservate da eredi del Manzoni.
Il camino che vediamo fu sicuramente rimaneggiato dopo la vendita della casa da parte della famiglia del letterato. Sappiamo che era il camino del salone di conversazione e che venne spostato qui, posizionato proprio dove probabilmente prima esisteva un montacarichi.
Proprio sotto questa ampia stanza era posizionata la cucina del palazzo: in una casa come questa era impensabile che i camerieri portassero le vivande su e giù per lo scalone padronale o attraverso anguste scale di servizio.
Se guardiamo bene questo camino possiamo notare che i fregi sono stati aggiunti e non fanno parte dell’allestimento originale. Provi ad immaginarlo senza i fregi, aggiunti per farlo apparire più importante; noterà come è pressoché identico al camino di marmo grigio della camera da letto ed al camino di marmo rosso dello studio. Provi a passare la mano sul marmo della struttura e sui fregi e mi dica cosa percepisce?
Si sente al tatto una differenza nella morbidezza della pietra. Non è facile descrivere la sensazione che si prova al tatto, ma di sicuro si tratta di due marmi differenti.
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Riva: nel nostro nuovo allestimento abbiamo raccolto i diversi ritratti di Manzoni in ordine cronologico
Manzoni amava posare per la realizzazione dei suoi ritratti?
Novelli: molti dei dipinti che vediamo qui sono ritratti “indiretti”, ovvero quadri realizzati prendendo spunto da altri ritratti già esistenti; alcuni non li trovo nemmeno particolarmente somiglianti. Una delle cose che Manzoni non amava particolarmente era proprio posare, ma allora esistevano delle regole sociali che andavano rispettate e rifiutarsi di farsi ritrarre poteva risultare sconveniente.
Il famoso ritratto di Francesco Hayez, un olio su tela che è probabilmente il ritratto più famoso e che è conservato a Brera, venne commissionato e fatto realizzare dalla seconda moglie di Manzoni, la contessa Teresa Borri Stampa e dal figliastro Stefano.
«Ieri il ritratto è andato sulla cornice ed è un portento di somiglianza. Tutti, donne e servitori, Pietro, Enrico, Sogni dicono che l’Hayez ha stampato la faccia di Alessandro sul quadro! L’è, dicono tutti, un portento dell’arte». — Teresa Borri Stampa –
Riva: abbiamo comunque una serie di dipinti per i quali sicuramente Manzoni posò personalmente; almeno uno ogni dieci anni della sua vita. Si parte dal dipinto che ritrae lo scrittore diciassettenne che esce dal collegio, una sorta di ritratto pre fotografico, realizzato a matita. Sul retro vi sono due annotazioni: una dice “ritratto del mio amato figlio Alessandro, di anni diciassette, dis(egnato) da Gaudenzio Bordiga” e l’altra una nota della moglie Teresa (grande collezionista dei cimeli del marito) “avuto da Alessandro”.
E’ importante questo ritratto perché traspare in qualche modo la contrizione che afflisse l’adolescenza del Manzoni, passata in collegio.
Abbiamo poi una fotografia d’epoca scattata ad una miniatura, fatta in occasione del matrimonio con Enrichetta Blondel. Alessandro aveva ventidue anni. Una mano nei capelli scarmigliati, una mano su un libro, il colletto della camicia aperto con una foggia un po’ foscoliana; ecco cosa avrebbe voluto diventare Alessandro, abbiamo un Manzoni “aspirante poeta”.
E poi Manzoni con la madre a Parigi, con la mano sul cuore. Il ritratto venne commissionato proprio dalla madre, si tratta di un dipinto con una posa alla Byron, alla Foscolo, alla Alfieri. Questo quadro Manzoni lo teneva appeso nel salone di conversazione e quando, in età ormai avanzata, qualcuno guardandolo commentava “don Lisander, come eravate giovane…” lo scrittore amava rispondere con autoironia: “ ero nell’età in cui quando ci si fa fare un ritratto si assume un’aria ispirata”.
Questo era il Manzoni di Enrichetta; il Manzoni ritratto da Hayez è l’Alessandro di Teresa Stampa.
Brera ha il ritratto di Hayez ma voi avete qualcosa di altrettanto eccezionale; sto parlando della fotografia ritratto di Manzoni anziano. Impattante, travolgente.
Riva: Che sguardo! Vivace, vivo, forte, coinvolgente. Lui ti guarda; in qualsiasi angolo della stanza lei si sposti, lui la segue con gli occhi. Qui è già molto anziano, ma è ancora un uomo bellissimo.
Fisicamente come era?
Novelli: era un bell’uomo, dal portamento elegante. Magro, molto curato, lo possiamo notare anche dai cimeli che abbiamo qui, la sua tuba, il suo ombrello il suo soprabito. Non appariscente ma decisamente elegante.
Riva: era alto tra i 168 ed i 170 cm, che per l’epoca era una buona statura. Abbiamo qui un ritratto che venne fatto post mortem utilizzando le misure che furono rilevate al momento del decesso.
Vedo qui un piccolo gruppo statuario in bronzo che riproduce l’incontro di Manzoni con Garibaldi. Manzoni uomo misurato e cattolico, Garibaldi uomo d’azione, mangiapreti e guida massima del Rito Scozzese Antico e Accettato, un rito massonico. Mi verrebbe da dire “il diavolo e l’acqua santa”.
Novelli: il 25 marzo del 1862 il generale Garibaldi si reca in visita a Casa Manzoni per conoscere “un uomo che onora tanto l’Italia”. E’ vero, ha ragione, erano uomini molto diversi tra di loro.
Garibaldi porta a Manzoni in dono, non senza una certa emozione, un mazzolino di violette. Manzoni era cattolico ma più di una volta mise in difficoltà ed imbarazzo i cattolici.
Era un fermo oppositore del potere temporale della Chiesa, tanto che nel 1872 accettò la cittadinanza capitolina, suscitando grande scandalo tra i cattolici più conservatori. Era la cittadinanza di una Roma che, dopo i fatti di Porta Pia, aveva confinato il Papa in Vaticano.
Manzoni era convinto che il regno terreno della chiesa, espresso con il potere temporale, fosse una vergogna per la religione cattolica.
Quello che di forte univa due uomini così diversi era la visione comune di un’Italia unita.
Entriamo adesso nella “sala rossa”, il Salone di conversazione.
Novelli: oggi questa sala è allestita secondo i canoni del percorso museale, ma lei deve immaginarla come era ai tempi di Alessandro Manzoni; con un pianoforte a muro, un tavolino pieno di libri e libretti…
Riceveva di continuo omaggi e pubblicazioni; prima gli dava un’occhiata per verificare che non contenessero nulla di disdicevole ed inadatto da un punto di vista etico-morale, poi li depositava sul tavolino a disposizione degli ospiti che li leggevano durante le serate.
Una figlia magari suonava il pianoforte, il camino acceso, l’illuminazione a candele che creava una atmosfera molto particolare. Era una zona nevralgica del vivere familiare.
Riva: la famiglia quando si riuniva, si ritrovava qui. Anche gli ospiti venivano ricevuti in questa sala.
Il camino che abbiamo visto nella sala precedente era posizionato in questa stanza, lungo una parete. C’era anche un ampio tavolo rotondo, lo desumiamo da alcuni appunti di Teresa che annota “abbiamo comprato una tovaglia per il tavolo del salone”.
In un angolo era posizionato un tavolino rotondo; nei primi anni accanto a quel tavolino si sedeva Giulia Beccaria, sempre presente ed attenta ad ascoltare le conversazioni serali che si tenevano in questa sala. Spesso non interveniva, semplicemente ascoltava o leggeva. Giuseppe Borri, il fratello di Teresa Stampa, diceva che < quando ti trovi di fronte alla madre di Manzoni ti viene voglia di chiamarla “Monna Aristocrazia” >, tanto era altero il di lei atteggiamento in pubblico.
Era proprio su quel tavolino rotondo che Manzoni, negli anni successivi, amava lasciare a disposizione degli ospiti e degli amici le pubblicazioni di cui parlava il prof. Novelli.
Il pavimento di questo salone è differente da quello in cotto lombardo che vediamo ad esempio nella camera da letto nella quale Manzoni si spense.
Riva: questo pavimento in legno potrebbe risalire non ai primi anni di soggiorno della famiglia Manzoni in questo palazzo, ma potrebbe essere stato posato in occasione della ristrutturazione della facciata che da su piazza Belgioioso. Quando Manzoni acquistò questa casa la facciata era molto, molto, molto misera. Nel 1862 il Comune chiese a don Lisander il permesso di creare un marciapiede, togliendo alcuni corpi di fabbricato di pertinenza della sua proprietà. Furono fatti una serie di lavori per riallineare la facciata e per adornarla. La casa era diventata meta di tutte le persone importanti che, passando per Milano, volevano conoscere Manzoni. Quindi il figlio Pietro si incaricò della ristrutturazione, che probabilmente toccò anche gli interni. Pietro seguì i lavori, ma il contratto lo firmò Alessandro.
Il progetto era dell’architetto Andrea Boni, uno degli architetti che ai tempi andava per la maggiore, un professionista con tanto di esposizione in Galleria.
Anche allora esistevano gli show room.
Riva: le chiamavano “esposizioni” ed i progetti venivano riprodotti spesso su tavolette. Il Boni espose persino a New York, progetti e decori architettonici di sua creazione.
Se guarda la facciata può vedere come Manzoni abbia “contrattato” con lui sul prezzo; le finestre del piano terreno e del secondo piano sono molto lineari, quelle invece del primo piano (piano nobile) sono molto più rifinite e decorate.
Austero o “braccino corto”.
Riva: direi austero. Manzoni amava moltissimo l’agio, la comodità ma per lui l’agio non significava avere più decori sulla facciata di casa a Milano, ma magari avere due copie dei suoi preziosi libri, una da mettere in biblioteca in via Morone ed una nella sua villa di Brusuglio. Nonostante avesse numerose proprietà non era comunque un uomo dalle smisurate disponibilità economiche. Come spesso accadeva tra le famiglie nobili, anche i Manzoni avevano diversi possedimenti immobiliari ma scarsa liquidità finanziaria.
Terminiamo qui la seconda parte della nostra visita a Casa Manzoni.
Nella prossima uscita visiteremo alcuni dei luoghi più simbolici della residenza milanese di Alessandro Manzoni, ambienti che ci porteranno a contatto con la storia personale del letterato milanese, di Milano e dell’Italia.