Empatica, ironica, tostissima, tifosa della magica Roma (si commosse sino a piangere quando vide per la prima volta i giallorossi allo stadio… ma sostiene di “non seguire il calcio”).
Lei è Gaia Possenti, pianista e compositrice.
Gaia studia pianoforte classico ma si interessa fin da piccolissima alla composizione e all’improvvisazione. Si avvicina al jazz con Alessandro Gwis e poi si perfeziona con Rita Marcotulli, Paolo Damiani, Danilo Rea.
Nel 2014 esce il suo primo disco “Infant Speech” con la formazione “U-Man trio”, prodotto da Alfamusic, segnalato tra i migliori 100 dischi dell’anno dal pubblico della rivista “Jazz It” e tra le migliori formazioni emergenti da “ Musica Jazz”. Nello stesso anno viene presentata da Rita Marcotulli al festival Busoni di Bolzano come giovane rappresentante del jazz al femminile italiano.
Nel 2015 la sua composizione “Facile” viene segnalata con menzione speciale al “Premio Siae Libera il Jazz”. Nel 2016 è segnalata tra le migliori rappresentanti in Italia del suo strumento dall’Associazione Nazionale Musicisti di Jazz per coordinare il progetto relativo al disco “Janis” edito da La Repubblica/L’Espresso per la collana Jazz Italiano Live.
Interessata anche alla commistione tra jazz e musiche di altre culture nel 2018 pubblica con Odradek il disco Acoustic Tarab Alachemy che presenta rielaborazioni jazzistiche di canti sufi con Houcine Ataa alla voce, nello stesso anno pubblica Hand Luggage con Ajugada Quartet per la Filibusta Records, disco quasi interamente di brani originali.
Svolge un’intensa attività didattica e si occupa della direzione della Fermenti, una band psichiatrica integrata, recentemente invitata alla seconda edizione del Roman Soul Fest, festival che riunisce vari gruppi musicali contro lo stigma della malattia mentale. Nel 2019 è tra i formatori del corso ECM del Club Medici dal titolo “Arte, Empatia e Burnout” per la parte artistico-musicale.
E’ docente di pianoforte presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio.
Si mormora nei peggiori bar di Caracas che tu sia una valentissima pianista jazz…
E’ vero, c’è questa nomea in giro, si dice che io sia una pianista jazz. Ho abbracciato il jazz da giovane, mi sembrava la via giusta per iniziare a comporre “velocemente”. In realtà mi sento un po’ in imbarazzo quando mi si definisce una jazzista perché non conosco perfettamente tutta la storia del jazz ed i suoi stilemi.
Dalla classica, a diciassette anni, sono saltata a piè pari nel mondo del jazz per soddisfare la mia volontà di approfondire la pratica e sviluppare la mia capacità di affinare i suoni.
Amo tutta la musica, ma non in particolare “l’etichetta jazz”.
Cosa diavolo è il jazz, questa disciplina musicale così radicale da non avere mezze misure; o amata o detestata?
Purtroppo, almeno secondo il mio pensiero, per il pubblico il jazz è imbottigliato in due categorie. Il jazz classico, quello che il pubblico riconosce subito dallo swing (tipo anni venti e trenta del novecento), quello delle big band, della danza lindy hop e poi il jazz sperimentale. Dove per jazz sperimentale intendo tutta quella musica nata negli anni sessanta-settanta, scaturita dalla sperimentazione sonora grazie anche all’introduzione di strumenti e timbriche non convenzionali. Chi compra Charlie Parker difficilmente compra poi anche Keith Jarrett.
Dire semplicemente “jazz” vuole dire tutto e non vuole dire nulla; è come dire “la letteratura italiana”. C’è dentro tutto, Boccaccio, Dante, Calvino, Quasimodo, Merini, Seminara, Camilleri…
Formazione classica, Santa Cecilia. Come dite voi a Roma… mica pizza e fichi!! Wolfgang e Ludwig sono ancora nei tuoi pensieri?
La mia formazione classica è stata un pochino sui generis. E’ iniziata e poi si è fermata a causa di una sorta di ribellione personale a quindici anni. Da grande, dopo avere fatto una tournée di big band come pianista jazz, mi sono detta “voglio prendermi il quinto anno”.
Beethoven non è molto presente nei miei pensieri, Mozart è con me tutti i giorni. La musica classica è nel mio cuore, la ascolto sempre, continuamente.
Come sei arrivata a diventare una severissima insegnante della Scuola Popolare di Musica di Testaccio?
C’era una volta una giovane squattrinatissima e sfortunatissima ragazza che insegnava in una scuola lontanissima dalla Scuola Popolare di Musica di Testaccio.
Questa diciottenne è entrata alla Scuola di Testaccio per fare delle classi di musica d’insieme mentre studiava privatamente pianoforte jazz con Alessandro Gwiss. Testaccio è la scuola che ho sempre sognato, vicina a casa mia, piazzata proprio davanti alla casa di mia nonna. Quando mi affacciavo alla sua finestra vedevo tutti i musicisti entrare ed uscire e desideravo essere una di loro.
Alla Scuola di Testaccio mi sono fatta, con grande impegno, tutte le classi, sino alla classe di big band. Poi ho lavorato per due anni come pianista di big band, quindi mi sono presa il quinto anno al Conservatorio e poi è arrivata la mia occasione. Carlo Mezzanotte, docente in una scuola di musica lontana da Testaccio, mi propose di prendere la sua cattedra e la classe che stava lasciando. Ho accettato ed è iniziata la mia carriera di insegnante.
Cosa rende la Scuola Popolare di Musica di Testaccio così particolare?
Per me è unica. L’ho sempre”bazzicata”, da studentessa e poi da insegnante. Ogni insegnante è libero di impostare la propria didattica e riesce a creare con i propri studenti una dialettica ed un interscambio molto particolare. Chi si iscrive può frequentare i corsi che preferisce, dal canto lirico alle percussioni, dal canto indiano al coro. Nel nostro calderone c’è tutto, dalla classica al popolare. E’ un bellissimo ambiente, piacevolissimo da frequentare.
Ci siamo conosciuti a Cagliari al Premio Parodi nel 2019. Eri co-autrice e musicista di un gruppo chiamato A.T.A. Acoustic Tarab Alchemy. Parlami di questa esperienza.
A.T.A è una delle esperienze professionali che mi ha maggiormente gratificata. Non l’unica ma certamente una delle più appaganti. A.T.A rappresenta un trait d’union tra la musica colta occidentale e la musica tunisina.
Il gruppo è composto da Houcine Ataa (il più lontano dalla nostra musica occidentale nel nostro piccolo sistema solare), Simone Pulvano, grandissimo percussionista che padroneggia anche un po’ l’arabo, Bruno Zoia, contrabbassista che si muove con grande disinvoltura nel mondo della musica popolare ( con lui ho fatto anche jazz), ed infine la sottoscritta.
Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme mi sono resa conto che, non conoscendo per nulla e non comprendendo il significato dei fonemi di Houcine, sarebbe stato per me molto complicato scrivere la musica. Allora ho registrato Houcine mentre cantava da solo, senza accompagnamento, a cappella. Riproponendomi la registrazione mille volte ho trascritto i suoi suoni, sino nei minimi particolari.
Quando ci siamo rivisti, pochi giorni dopo, ho cantato ad Houcine la mia trascrizione, lasciandolo sorpreso e meravigliato: “ ma come hai fatto ad imparare l’arabo in una sola settimana?!” Io l’arabo non lo conosco, ma lo canto, riproducendo i suoni. Io e Bruno abbiamo poi messo gli accordi, mentre Simone e Houcine hanno pensato alla melodia ed al ritmo.
A Cagliari al Premio Parodi abbiamo ribaltato la situazione. Visto che nel programma è prevista la reinterpretazione di un brano di Andrea Parodi, è stato Houcine a doversi imparare il sardo. Abbiamo proposto “De Bentu” e nonostante qualche comprensibile piccola difficoltà, per noi è stata un’esperienza molto gratificante.
Houcine è uno degli artisti dell’Orchestra di Piazza Vittorio. Piazza Vittorio, stai attenta a non farti rapire dalla Porta Magica. Un tempo proprio in quel luogo sorgevano gli Horti Lamiani, dove in fretta e furia furono bruciati e sepolti temporaneamente i resti mortali di Caligola. Non ti nascondo che per me, amante della storia antica, Roma rappresenta il Paradiso terrestre. Cosa è invece per te la Città Eterna?
La Città Eterna è una bella donna addormentata. Con la quale vado spesso in conflitto. E’ grande, complicata da girare, incasinata. Ma ha una caratteristica unica. Ogni angolo, ogni quartiere conservano la propria anima e non la nascondono. Amo molto andare al Ghetto, sedermi su una panchina e, chiudendo gli occhi, rivedere con la fantasia il passato, anche quello più doloroso che i luoghi conservano impresso.
Posso andare a Monti e rivedere un’altra epoca e così via. Tutta Roma è bella, la Tuscolana, Arco di Travertino, la Casilina. A me invece la storia antica piace un po’ meno, forse perché mi hanno costretta a fare il liceo classico e questa cosa non l’ho ancora digerita. Amo invece follemente il Seicento ed il Settecento. Quando da ragazza ero innamorata di Bach e poi di Mozart, andavo a passeggiare nei quartieri settecenteschi di Roma, immedesimandomi con la fantasia mentre sentivo la musica con le cuffiette.
Mi sono sempre sentita attratta dai musicisti che hanno vissuto a Roma, ho anche una guida che propone tutti luoghi dove hanno soggiornato.
Per Gaia la world music è…
Non è facile da etichettare, per fortuna. C’è una world music commerciale, quella del solista di sitar che si decontestualizza totalmente, che utilizza l’accostamento inusuale degli strumenti. Poi c’è un world music simile a quella che abbiamo proposto noi con A.T.A. Io sono un po’ integralista, per quanto mi piaccia usare anche strumenti etnici non mi piace “travisare” il suono.
Qualche buchetta, qualche cinghialetto spregiudicato, a volte gabbiani da caccia in centro. Tre suggerimenti per migliorare la tua città.
Per Roma l’immondizia è una tragedia. Io incentiverei l’attività personale dei cittadini. Dovremmo essere anche noi semplici cittadini a darci una mossa ed iniziare a pulire le nostre strade, indipendentemente dai passaggi canonici della raccolta pubblica dei rifiuti. Mi piace molto ad esempio vedere le piccole associazioni di quartiere che si mettono a pulire i parchi e le aiuole. Se non lo fa la pubblica amministrazione, facciamolo noi. Non stiamo con le braccia lungo i fianchi a lamentarci, facciamo andare le mani.
Le deiezioni canine poi… tu essendo un appassionato di cani come me, mi capisci al volo. A me non costa nulla togliere quella che un incivile ha lasciato sul marciapiede (incivile il padrone, non il cane) a condizione che possa trovare lungo la via bustine e cestini. Che mancano in maniera eclatante.
I trasporti.. mamma mia, un disastro, mancano persino le pensiline, d’estate vedi gli anziani arrostire sotto al sole mentre aspettano il mezzo pubblico… stile “Il deserto dei Tartari”.
Quando osservi per la prima volta un potenziale allievo ti fai influenzare maggiormente dalle potenzialità o dal rigore e dal senso del sacrificio? Talento o esercizio?
Il talento è cosa rara, rarissima. E’ più corretto essere attenti alla “propensione” dell’allievo. Il rigore, l’esercizio e la pazienza di applicarsi alla propria propensione è fondamentale.
Difficile giudicare una persona vedendola per la prima volta; se in questa persona intravedo una spiccata propensione ne sono lieta. Ho alcuni allievi decisamente dotati di potenzialità, ma poi non studiano e vanificano il piccolo dono che hanno. Il docente deve insegnare anche l’applicazione, che non è sinonimo di rigore, può essere anche divertimento. Io provo a non appesantire mai l’insegnamento, ma a volte dovrei essere più severa ed assegnare anche attività ripetitive che sono comunque formative.
Sei bravo nel salto in lungo? Bene ti allenerò a saltare, ma anche a fare un riscaldamento preliminare; magari noioso, ma indispensabile. Non ti scaldi bene prima di saltare? Poi ti fai male! Il docente è un coach, un personal trainer che deve mixare la propensione, il talento (quando c’è), l’abitudine, la fantasia. Il concetto di apprendimento è semplice; non sai, devi imparare.
Mi arrabbio da pazzi quando vedo allievi che si arrendono perché pensano di “non riuscire”. Il pensiero di non farcela per me è inaccettabile. Ci riuscirai, nel tuo tempo, nel tuo modo, ci riuscirai. Io ti suggerisco la via, le vie, e tu prima o poi sarai certamente in grado di camminare su una di queste. E se ne troverai una nuova, sarai tu ad insegnarla a me.
Lo strumento preferito oltre al pianoforte.
La voce umana. Assolutamente. Intesa come coro (per un anno e mezzo ho diretto un coro LGBT a Roma), scrivo anche per coro. Due voci insieme già mi fanno impazzire.
Il mio musicista preferito è Bobby McFerrin (lo conoscono tutti per la famosa canzone Don’t Worry, Be Happy) ricercatore fantastico e grande concertista e vocalist, dotato di un’estensione vocale enorme.
Il canto è importante per l’uomo. Io insegno anche ad un gruppo di ragazzi che hanno purtroppo problemi mentali ed ho lanciato un progetto interno di Circle Songs.
Mentre suoni, dentro di te può agitarsi un pensiero ossessivo, una voce disturbante; quando canti questo non accade, la mente si libera.
E’ anche molto interessante lo studio del canto armonico, ho seguito un corso di Mauro Tiberi. Si tratta di un canto molto particolare, nato si pensa in Mongolia, dove si produce una sola nota, ma mettendo l’organo vocale in un certo modo si producono più suoni. Utile anche per spiegare gli stili armonici agli allievi.
Come anche il Throat Singing, che in Italia si esprime con il canto a tenore sardo.
Sul tuo profilo social si trova una curiosa clip registrata in macchina con il cellulare. Ascolti un canto sacro trasmesso da Radio Maria e rabbrividisci dinanzi agli orrori musicali delle voci, con l’attonito LuckyTheBeagle sul sedile posteriore. Che ci facevi sintonizzata nel traffico su Radio Maria? Il tuo rapporto con il sacro e con la religione.
Sono un’arrabbiatissima ragazzina che ha passato undici anni dalle suore. Educazione religiosa che non lasciava spazio a fughe per la vittoria. Per fortuna erano suore francescane, della Porziuncola, e quindi erano un pochino più aperte, più street. Mi hanno lasciato la sensibilità alla povertà ed al disagio ed il piacere di aiutare gli altri.
Per il resto detesto la religione, l’integralismo, sovrastruttura creata dall’essere umano. Come diceva de Martino, “creata dall’essere umano in crisi della Presenza”.
Capisco che ci si possa rivolgere alla religione quando si hanno grandi problemi esistenziali; rispetto le religioni, tutte, rispetto chi crede e detesto chi esce dalle righe nei luoghi considerati sacri. Proprio la scorsa settimana ho ripreso di brutto una persona a me molto cara perché in chiesa non usava un atteggiamento consono.
Rispetto assoluto per tutti coloro che (come diceva Margherita Hack) “credono alle favole”. E pensa che nella mia famiglia c’è anche un santo, vero, con tutti i carismi. San Gabriele dell’Addolorata, al secolo Francesco Possenti.
Vengo a Roma e tu mi porti in due posti bellissimi ma non smaccatamente turistici. Dove andiamo?
Andiamo a vedere san Pietro dal buco, all’Aventino. Posto conosciuto ma non inflazionato.
NdR: sul colle Aventino sorge il bellissimo edificio del Priorato dei Cavalieri di Malta. Con il cancello chiuso si può assistere ad un’inaspettata meraviglia. Poggiando l’occhio nel chiavistello del cancello si può ammirare il meraviglioso cupolone di San Pietro incorniciato dalle siepi dei Giardini del Priorato.
Poi ti porto vicino a casa mia a vedere i murales di Tor Marancia, che sono delle vere opere d’arte, street art. Magari passando per la Garbatella.
Collaborazioni illustri, progetti per il futuro, errori da non ripetere.
Indimenticabile è stato quando Rita Marcotulli mi ha chiamata a suonare con lei al Festival Busoni di Bolzano. Abbiamo suonato a quattro pianoforti insieme alla più famosa pianista tedesca, bellissima esperienza.
E’ stato bello suonare al Conservatorio con Javier Girotti e poi con Maria Pia De Vito (Rita e Maria Pia quando ero più giovane sono state le mie stelle comete). Guardando al futuro mi piacerebbe approfondire composizione e circle singing e poi proporre un piano solo.
Errori da non ripetere. “Non c’è nulla che non rifarei”…risposta standard. No qualcosa si potrebbe migliorare se esistesse la possibilità di tornare indietro nel tempo. Mi è capitato a volte di dire ok a progetti che non mi convincevano del tutto, avventure che di pancia non mi quadravano, ma nelle quali mi sono imbarcata. Oggi ho imparato ad essere più attenta, più selettiva. Crescendo si matura, oggi che ho …. anni non ci cascherei più.
Ciao Gaia, buon lavoro e buona vita.