Senza alcuna pietà

Senza alcuna pietà

I Giochi Olimpici sono terminati. 

Piano piano si spengono le luci della ribalta. Alcune discipline ed alcuni atleti di punta godranno di una forte attenzione mediatica sino all’edizione successiva. Per loro l’atto agonistico si coniugherà anche con un ritorno economico, un ritorno che salda lo sport al business.

Altri sport ed altri atleti meno famosi rientreranno nell’ordinario, nascosti al grande pubblico e seguiti quasi solo dagli appassionati della specialità e dalle riviste di settore.

All’interno di questo sistema sportivo esiste un ulteriore universo-mondo, lo sport paralimpico.  Un mondo che ha in parte regole, vita e filosofia propria e che subisce l’oblio mediatico in modo molto più accentuato rispetto a quanto accade alle discipline praticate dai normodotati.

Di questo ed altro parliamo con una dirigente sportiva italiana che all’interno dello sport paralimpico si è conquistata la stima, la considerazione e l’affetto di colleghi ed atleti, Federica Fornasiero.

Federica Fornasiero ©Bizzi/Cip Comitato Italiano Paralimpico

Allora, Federica Fornasiero, tifosa dell’Hellas Verona… mi fermo e smaltisco i fumi. Mi torna ancora in mente il famigerato 20 maggio 1973 quando riusciste con un 5 a 3 a scucire la stella dal petto del magico Milan…

Oh mamma mia, ancora con questa storia della stella! Dai, è andata in prescrizione. Allora mi presento da sola.

Mi chiamo Federica Fornasiero, abito in provincia di Padova, ad Este. Sono un tecnico della Nazionale di nuoto paralimpico dal 2009. Dopo molti anni trascorsi nel mondo dello sport come tecnico di società presso la polisportiva A.S.P.E.A Padova, sono entrata nel Team della squadra nazionale. Ho cominciato come agonista di livello locale, poi sono passata attraverso tutti i diversi momenti di studio sino a diventare istruttrice ed allenatrice. 

Al mondo del nuoto paralimpico mi sono appassionata circa venticinque anni fa, quando nella mia piscina di Este ho iniziato a seguire un gruppo della ASPEA che aveva bisogno di un istruttore, rimanendo con loro sia nelle fasi di allenamento che di gara. 

Ho subito notato che la situazione del nuoto paralimpico era molto diversa da quella della disciplina praticata dai normodotati, purtroppo tutto era improntato ad uno spiccato dilettantismo.

Ho da subito preso contatto con la Federazione per cercare soluzioni, miglioramenti, indicando anche proposte ed idee. 

Oggi seguo la promozione della disciplina e le nuove leve, ovvero tutto ciò che riguarda l’avvicinamento al nostro mondo. Lo staff tecnico è composto dal Direttore Tecnico e da cinque collaboratori, ciascuno di noi ha un ruolo specifico ma siamo fortemente interconnessi e quindi il lavoro sviluppato è sempre il risultato di un “gioco di squadra”.

Parto proponendoti una domanda brusca e ruvida. Vorrei capire, come fanno gli atleti paralimpici a gestire e convivere con quel mix di partecipazione, apprezzamento, pietà e talvolta disagio che il pubblico prova guardandoli in azione? “Che bravo…poverino…”

Gli atleti ovviamente non amano quel senso di pietà che spesso viene loro riservato. Però indubbiamente questo aspetto che hai evidenziato esiste, non ci sono dubbi, permane. Si tratta di un passaggio culturale che la nostra società prima o poi dovrà affrontare con serietà. 

Paghiamo il fatto che attualmente il grande pubblico incrocia più o meno per caso lo sport paralimpico una volta all’anno, o in televisione o su qualche giornale. Non ha quindi il tempo ed il modo di approcciarsi in modo meno superficiale al tema della disabilità sportiva. 

Chi ha invece l’opportunità di avvicinarsi in prima persona al mondo paralimpico, pur cominciando magari con questo atteggiamento, passa quasi subito ad avere una percezione differente. 

Non parlo solo del pubblico dei media, parlo anche degli addetti ai lavori. Anni fa abbiamo ad esempio notato che i giudici ed i cronometristi che arrivavano dal nuoto per normodotati difficilmente “calcavano la mano”. Non infliggevano squalifiche e talvolta non applicavano il regolamento in maniera rigorosa. Noi tecnici invece chiedevamo apertamente l’applicazione corretta dei regolamenti e ci sentivamo rispondere: “ ma no dai poverini, guarda che bravi che sono a stare in acqua, come facciamo a squalificarli…”.

Con il passare degli anni abbiamo superato questa cosa, oggi dobbiamo fare un passo avanti con il pubblico. 

Molto spesso chi segue le nostre gare è un amico o un parente o un collega degli atleti, ma capita a volte che anche un pubblico più generico si sieda sugli spalti. Le Olimpiadi di Londra o di Rio hanno portato molta gente negli impianti e quando queste persone uscivano dal centro natatorio olimpico erano diverse rispetto a quando erano entrate. La visione personale, non intermediata, aiuta moltissimo.

Gli atleti sanno che esiste questo sentimento contrastante, lo combattono e non lo gradiscono. Quando incontrano di persona i tifosi li convincono con un dialogo diretto, quando ci sono i grandi eventi mediatici sono le loro imprese a parlare.

©Bizzi/Cip

Ricordiamo che tu oltre ad essere un tecnico federale sei anche una valida commentatrice tv. Come si vive il momento agonistico paralimpico dietro il microfono a telecamera accesa?

Chi commenta attraverso il mezzo televisivo ha una grande responsabilità. Tra quanto parte con l’immagine tv e quanto arriva al pubblico si posiziona in mezzo la parola. Non è detto che lo spettatore ascolti sempre tutto quello che dice il cronista, comunque una certa attenzione verso il commento tecnico c’è.

Un narratore capace di spiegare bene e di facilitare l’approccio dello spettatore può certamente contribuire alla crescita globale del movimento, aiutando anche a togliere il velo di pietismo che spesso avvolge le competizioni paralimpiche.

Ammetto di essere molto tifosa dietro il microfono, ma è normale, i primi tifosi degli atleti sono proprio i loro tecnici. In ogni caso provenendo per studio e professione dal mondo della statistica non mi lascio trasportare solo dalla passione, ma argomento con dati e riferimenti precisi, il nuoto si presta  molto bene ad un’interpretazione anche statistica.

Ripercorriamo brevemente la tua storia televisiva.

Ho fatto il commento tecnico delle Paralimpiadi di Rio 2016 insieme a Tommaso Mecarozzi per Rai2-RaiSport, gli Europei 2018 a Dublino, i Mondiali 2019 a Londra oltre ad alcune manifestazioni locali trasmesse da RaiSport. Sono state delle bellissime esperienze che in occasione di Tokyo non ho ripetuto in quanto è stata necessaria la mia presenza fisica a bordo vasca. La squadra era molto numerosa ed è stato necessario dare una mano in loco. Le voci Rai, importanti e competenti, hanno fatto un ottimo lavoro.

Ad Olimpiadi terminate qualcuno ha osservato che una medaglia conquistata con la maglia azzurra da un normodotato veniva premiata con una cifra molto superiore rispetto a quella vinta da un atleta paralimpico. Se non erro, un oro “normale” riceve un premio di 180.000 euro mentre un oro “para” viene quotato 75.000 euro. Cosa ne pensi?

E’ un dibattito aperto. Quello del ritorno economico è un tema importante, anche in considerazione del fatto che nelle gare che i nostri atleti disputano tra una Paraolimpiade ed un’altra, soldi non se ne guadagnano.

Se un nuotatore vince un Mondiale o se una squadra nazionale vince un evento di livello internazionale, a casa si torna con la medaglia, non con un emolumento in denaro.

Nello sport dei normodotati la stagione non è solo quella olimpica, perché tutti gli anni ci sono gli eventi importanti che muovono somme di denaro interessanti. Nel mondo paralimpico no.

Aggiungo che una medaglia olimpica normo è solo il primo passo verso contratti, partecipazioni, sponsorizzazioni, spot tv eccetera. Un oro nei 100 metri garantisce introiti di natura diversa quasi a vita. Un oro para a Tokyo garantisce una cifra interessante ma contenuta, una bella festa di rientro e stop. Se proprio i premi non possono essere identici, che siano maggiori per i paratleti, in modo da costituire un fondo spese per il futuro.

Ripeto, il dibattito è aperto. Anche le sponsorizzazioni pesano in modo differente, da un punto di vista commerciale il movimento paralimpico per numero di atleti e per seguito mediatico è una formichina, non un elefante.

Sino ad oggi gli sponsor che si sono avvicinati al mondo paralimpico lo hanno fatto soprattutto per una questione di immagine legata alla positività del messaggio piuttosto che al ritorno commerciale.

Una cosa molto importante è che a breve le massime cariche dello Stato riceveranno insieme la delegazione olimpica e paralimpica italiana. Sino a poco tempo fa i paratleti o venivano ricevuti in momenti diversi o non venivano ricevuti.

Ora sia la consegna sia la riconsegna del Tricolore al Presidente della Repubblica è contemporanea.  

Il Presidente Mattarella ha fatto tantissimo per lo sport paralimpico. Riguardo le contribuzioni pubbliche agli atleti saranno i vertici del CONI e del CIP a dovere ragionare con la politica.

Sapevamo che dal nuoto paralimpico a Tokyo sarebbero arrivati grandi risultati. Sono arrivate medaglie a pioggia.

Non vorrei rovinare un pochino il clima di gioia che è seguito ai Giochi di Tokyo, però noi prima della partenza puntavamo anche ad un paio di medaglie in più. Abbiamo portato una squadra strutturata per ottenere risultati importantissimi, su 29 atleti almeno la metà aveva lavorato per una medaglia, per un paio di loro le cose non sono andate come speravamo tutti.

Abbiamo poi avuto un bel colpo di fortuna con la 4×100 stile libero femminile che in vasca è giunta seconda, ma che ha beneficiato della squalifica degli Stati Uniti per cambio irregolare, vincendo in questo modo un oro mai pronosticato prima.

Undici ori, sedici argenti e dodici bronzi rappresentano esattamente il triplo del bottino conquistato alle Paraolimpiadi di Rio (due ori e tredici medaglie complessive) però quaranta o quarantuno sarebbe stato meglio…

Non vi accontentate mai… cose da pazzi!

Bisogna sempre alzare l’asticella, siamo felici e soddisfatti, poi ogni atleta ovviamente farà il proprio bilancio personale della manifestazione.

Siamo tra le prime cinque nazioni al mondo e per noi è un grandissimo risultato, dopo Rio eravamo tredicesimi.

Torniamo a parlare di casa nostra, Italia. Come siamo messi con gli impianti sportivi, qual è la situazione attuale?

Situazione durissima, durissima. Riceviamo con una certa frequenza notizie di impianti in seria difficoltà, che non riaprono post covid o che sono gestiti da società in gravi difficoltà economiche. Società che dovendo tagliare i costi non sono più in grado di sostenere gli spazi acqua a disposizione dei disabili. E così i nostri atleti sono costretti spesso e volentieri a trasferte impegnative per potersi allenare.

Questo penalizza l’avvicinamento in particolare dei più piccolini che, in mancanza di spazi acqua, scelgono sport “asciutti”. I bambini poi si avvicinano all’acqua con un certo riguardo, con centomila paure, perché l’acqua incute sempre un certo timore. Quando invece vai a giocare a tennis è difficile che la racchetta ti spaventi. Insomma il momento non è assolutamente facile.

Diamo qualche indicazione riguardo l’appartenenza dei singoli atleti alle diverse categorie paralimpiche.

All’inizio della carriera dell’atleta paralimpico (non solo del nuotatore) viene fatta un’accurata valutazione, una valutazione di doppio tipo, sanitario e tecnico. Una commissione di tecnici, medici o fisioterapisti (opportunamente formati) attribuisce la classe sportiva valutando la patologia ed in una seconda fase valutando sul campo la tecnica. 

In questa fase è fondamentale una collaborazione aperta e schietta tra la commissione e l’atleta osservato perché una valutazione imperfetta potrebbe, nel tempo, risultare scorretta e penalizzante nei confronti degli avversari.

In ambito sportivo le tre macro categorie sono: 1) disabilità motoria – 2) disabilità sensoriale (non vedenti) – 3) disabilità intellettivo-relazionale.

A volte capita che l’atleta abbia caratteristiche e patologie multiple; ad esempio atleti ipovedenti che gareggiano nelle categorie con disabilità fisiche. 

Nella disabilità fisica le classi vanno da uno a dieci. Mentre i normodotati hanno ad esempio due soli campioni italiani dei 50 stile (un uomo ed una donna), noi invece abbiamo dieci campioni uomini e dieci campionesse donne. Nella disabilità visiva ne abbiamo tre. 

Che sia per questo motivo che i premi medaglia sono minori? Avete più titoli da assegnare, quindi nel complesso il premio va ridotto.

Non lo so, non credo, perché mentre i normodotati hanno numerose discipline, noi ne abbiamo decisamente di meno. Più titoli ma meno gare.

Manca la terza categoria.

Alle Olimpiadi c’è una classe unica per la disabilità intellettivo-relazionale, mentre in ambito locale le classi sono di più perché le difficoltà non sono tutte uguali. Sono molte e molto diverse tra loro.

Capita a volte di vedere atleti impegnati in competizioni importanti chiudersi nel proprio guscio e guardare l’avversario con una certa freddezza prima di iniziare a gareggiare. Succede anche nel mondo dello sport paralimpico?

Gli atleti che hanno problemi di vista spesso non si confrontano nemmeno tra di loro, tanto che sono gli allenatori-accompagnatori che cercano di rendersi parte attiva per aumentare la comunicazione tra di loro. Magari non in preappello o in partenza, ma nelle fasi di allenamento e riscaldamento.

Nelle gare di atleti con problemi intellettivo-relazionali ci sono invece grandi simpatie tra gli atleti, anche perché la loro soglia di iperattività è molto alta. In questo ambito si vedono spesso scene molto simpatiche perché prima di gareggiare cercano di impressionarsi a vicenda, magari con salti, sbuffi eccetera. Sono molto comunicativi tra di loro.

Nella disabilità fisica si sta notando qualche accenno, ma rimaniamo comunque tutti ancora abbastanza simpatici!

C’è poi un isolamento di tipo diverso, ovvero interi gruppi che si tengono volontariamente isolati dagli altri. I cinesi ed alcuni ucraini ad esempio, difficilmente fanno “gruppo”. Forse a causa di una barriera linguistica (parlano poco l’inglese) ed un po’ perché sono controllati dal loro staff tecnico che li tiene molto separati dagli altri. 

Organizzazione e pianificazione. Come si arriva al grande evento nella vita di tutti i giorni? 

Ci si organizza, ma tutto costa di più. Pensiamo ad un atleta con disabilità fisica. Se ti trasferisci ad esempio per studiare e nuotare lontano dalla tua residenza abituale devi trovare prima di tutto un domicilio giusto. Ovvero una casa con una certa accessibilità, con il bagno fatto in un certo modo, in una zona con limitate barriere architettoniche eccetera. Si trovano situazioni valide, ma certamente non nella fascia più economica del mercato immobiliare. Molto conta l’aiuto della propria famiglia.

Devo dire che i nostri azzurri sono tutti bravissimi. Sono quasi tutti laureati o laureandi, ragazzi seri, con la testa sulle spalle. Ragazze e ragazzi d’oro. 

Quando è arrivato il covid abbiamo detto loro di stare molto attenti perché erano a rischio cinque anni di allenamenti in vista di Tokyo. Sono stati tutti attentissimi ai diversi protocolli facendo una vita quasi monacale, dimostrando anche così la loro capacità di affrontare le difficoltà con grande forza e determinazione.

Riguardo la pianificazione della preparazione, gli elementi fondamentali per potersi allenare bene sono tre. Un rapporto solido con il proprio allenatore, una piscina (tanti nostri ragazzi si fanno centinaia di chilometri ogni giorno per allenarsi) e la ferrea volontà dell’atleta. 

Riguardo la volontà è raro doverli spronare perché tutti loro hanno una motivazione interna molto forte che li porta a volersi divertire, vincere e migliorare. Dai diciamolo apertamente, sono STREPITOSI.

Abbiamo alcuni allenatori che allenano sia i nuotatori olimpici sia i paralimpici    e questi tecnici hanno notato che nei nostri ragazzi la tensione che sostiene la preparazione e l’allenamento non deve mai essere spronata; c’è qualcosa dentro di loro che li rende tenaci dal profondo quasi di default.

©Bizzi/Cip

Cosa dovrebbe fare il nuoto e lo sport paralimpico in genere per rendersi visibile nell’intervallo tra una Paraolimpiade e la successiva?

Il nostro Presidente del Comitato Paralimpico, Luca Pancalli, sta facendo cose straordinarie. Sia da sportivo sia da Presidente ha sempre portato avanti un messaggio molto importante: lo sport (paralimpico in primis) non è solo sport ma è anche cultura.

Lo sport può cambiare la testa delle persone e questo significa fare cultura.

Quindi vengono curati il contatto con la società, la cultura sportiva ed i rapporti mediatici. A tal riguardo esiste tutto un capitolo legato ai rapporti con gli sponsor che, attualmente, sono ancora molto “istituzionali”, legati al nostro mondo quasi in conseguenza di… ad esempio l’Inail.

Ultimamente si stanno avvicinando grandi gruppi allo sport paralimpico e questo ci lascia ben sperare, perchè sino a quando non ci sarà un volano di sponsor di un certo rilievo difficilmente i media ci guarderanno attratti solo dal risultato sportivo.

Negli ultimi anni abbiamo trovato la collaborazione ad esempio di Rai Sport in occasione dei Mondiali e degli Europei, ma si tratta pur sempre di apparizioni limitate e sporadiche. Le luci si accendono poi per illuminare alcuni atleti che diventano anche “personaggi pubblici”, come ad esempio Alex Zanardi e Bebe Vio, e parte di questa loro luce riflessa ricade per fortuna anche sul movimento in generale.

Una presenza continuativa del mondo paralimpico sui media la vedo ancora lontana.

Sarebbe auspicabile che si ripetesse un’esperienza come quella che la RAI ha messo in onda per Tokyo con la trasmissione “Il Circolo degli Anelli”, il racconto di atleti normo e paralimpici che approfondisce anche la storia personale dei ragazzi. Se tu sapessi quante storie incredibili e coinvolgenti che avrebbero da raccontare…

I gruppi sportivi delle diverse forze dell’ordine sono presenti nel paralimpico?

E’ una delle grandi novità portate dal pres. Pancalli che ci ha lavorato tantissimo.  Esistono due vie. La prima è quella che individua atleti già iscritti a società sportive ai quali il gruppo sportivo delle forze dell’ordine da una maglia in più. Da quel momento scenderanno in lizza con la maglia del proprio club e con quella, ad esempio, delle Fiamme Oro e delle Fiamme Azzurre.

La seconda strada prevede invece (novità assoluta) la possibilità per gli atleti di élite di entrare come dipendenti stipendiati. Però deve prima essere fatta una modifica alle leggi vigenti in quanto, ad oggi, l’ingresso nei diversi Corpi è normato con regole precise che prendono in considerazione i parametri fisici con una certa attenzione restrittiva, insieme al parametro dell’età. C’è la volontà politica ma va fatto un passaggio legislativo.

Ed infine esiste il gruppo che accoglie chi era già in servizio con le forze armate ed ha avuto una disabilità. Uomini e donne divenuti disabili in periodo di ferma che  vogliono fare sport. E’ il Gruppo Sportivo Paralimpico della Difesa. 

Prima di salutarci, i progetti per il futuro di Federica.

Urca che domandona. In ambito sportivo il mirino è puntato sui prossimi avvenimenti sportivi internazionali. A giugno avremo i Mondiali in Portogallo, per poi giungere alle Paralimpiadi di Parigi attraverso una serie di prestigiosi impegni di carattere internazionale. Questi sono i traguardi sportivi sui quali da oggi si lavora a pieno regime.

A titolo personale non mi dispiacerebbe potere contribuire a far si che le società sportive esistenti sul territorio aprissero una sezione dedicata agli atleti paralimpici. So che non è facile, ma avere almeno ogni trenta chilometri uno spazio che offre la possibilità di fare sport non solo ai normodotati sarebbe davvero bello ed importante. 

Dai, dai, entra nel personale…

Vorrei tornare a fare sport in prima persona!!!!! Trovare un po’ il tempo per me. Ho praticato in passato tanti sport, non solo il nuoto, ed ora vorrei riprendere ad allenarmi e divertirmi. 

Bene Federica, grazie per il tuo tempo. Buon lavoro e buona vita.

Federica Fornasiero ©Bizzi/Cip

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