Il 22 luglio si è tenuto in streaming sulla pagina Facebook del Movimento 5 Stelle della Liguria un convegno intitolato “Emergenza cinghiali. Parliamone con gli esperti”. Tema centrale del convegno il concetto – gli abbattimenti provocano l’aumento dei cinghiali -. Ho voluto approfondire questa tesi con uno dei relatori, il dottor Edgar Meyer.
Giornalista ecoanimalista, Edgar Meyer ha fatto dell’animalismo e dell’ambientalismo una scelta professionale e di vita. Laureato in Lettere moderne presso l’Università degli Studi di Milano, è Presidente di Gaia Animali & Ambiente Onlus e portavoce di Diamoci La Zampa Onlus.
Ha lavorato nello staff dell’Assessorato al Territorio, Parchi, Agenda 21, Mobilità ciclistica e Diritti Animali della Provincia di Milano come responsabile dell’Ufficio Diritti Animali (2004-2009), nello staff dell’Assessorato ai Parchi storici, Decrescita e Benessere animale del Comune di Genova con la responsabilità della delega al benessere animale (2010-2012) e nello staff dell’Assessorato alla Sostenibilità Ambientale di Roma Capitale (2017-2019). Coordina la collana editoriale “Ecoalfabeto – I libri di Gaia” per la casa editrice Stampa Alternativa – Nuovi Equilibri ed è autore di numerose pubblicazioni su temi legati all’ambiente.
Prima di parlare del tema degli abbattimenti cerchiamo di tratteggiare i confini del fenomeno. Secondo l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) i cinghiali in Italia sono passati dai cinquecentomila del 2010 a un milione nel 2020. Praticamente raddoppiati, con una tendenza a crescere che nel 2021 è stata di una certa importanza. Come si spiega questa esplosione demografica?
L’esplosione demografica è da imputarsi, anzitutto, alle immissioni e introduzioni di cinghiali dall’Europa dell’Est avvenute a partire dagli anni ’50 per avere prede da cacciare (i cinghiali erano quasi scomparsi su molti territori italiani). Immissioni e introduzioni di cui è responsabile il mondo venatorio. I capi immessi dapprima erano appunto importati dall’Est Europa, ma poi sono stati rilasciati in natura anche cinghiali allevati in allevamenti nazionali: nati perciò in cattività e ibridati col maiale. Il ripopolamento è proseguito così, per anni, con scarso rispetto dei criteri di pianificazione faunistica, con immissioni non programmate, fino all’abusivismo e all’anarchia. Già nel 1993 uno studio dell’allora Infs Istituto nazionale per la fauna selvatica (oggi confluito nell’Ispra) sottolineava come l’attività venatoria fosse responsabile di ripopolamenti massicci e di introduzioni con individui non autoctoni (più grandi e fertili di quelli autoctoni). Le immissioni per la caccia (legali e illegali) hanno contribuito a aumentare enormemente il numero di cinghiali in Italia. Così, quando hanno cominciato a danneggiare pesantemente le colture agricole, la politica ha pensato che fosse necessario aumentare gli abbattimenti. Oggi sappiamo che è un errore grossolano. Attualmente l’esplosione demografica, come ci spiega la letteratura scientifica, è dovuta prevalentemente proprio agli abbattimenti. I motivi sono due. 1. Perchè nelle battute di caccia si uccide quasi sempre la matriarca, l’unica di un branco a riprodursi. E tutte le femmine del branco (che in situazione normale non si riproducono) si disperdono, creano nuovi piccoli branchi e si riproducono tutte. Quindi con gli abbattimenti si ottiene una riproduzione precoce di tutte le femmine! 2. Perchè gli abbattimenti innescano una risposta di compensazione della fertilità, con un aumento del tasso riproduttivo dei cinghiali. Insomma: PIU’ CACCIATORI = PIU’ CINGHIALI! Sarebbe ora che certa politica miope e ripetitiva desse ascolto alle Università, alla scienza, ai tecnici per smetterla di riproporre soluzioni fallimentari che hanno portato -complice il mondo venatorio- al clamoroso aumento di presenze di cinghiali sui territori.
Per quale motivo i cinghiali tendono a lasciare le zone montane e collinari per divenire stanziali nelle pianure, avvicinandosi sempre più alle aree urbane?
Alcuni cinghiali trovano cibo facile nelle realtà urbane. Molte città circondate da vaste aree boschive o di campagna hanno gravi difficoltà nella raccolta dei rifiuti. L’esempio di Roma è lampante. Aumenta la quantità di rifiuti non raccolti, aumenta la quantità di cibo facile a disposizione, aumenta il numero di cinghiali che si spostano nell’area urbana. Lo stesso dicasi per i gabbiani, anche loro “accusati” di essere troppi e di essersi inurbati alla ricerca di cibo più “facile”. Seguendo un meccanismo, peraltro, che è lo stesso di altri mammiferi, a partire dall’uomo. Il fenomeno dell’inurbamento umano dalle campagne, alla ricerca di condizioni di vita (cibo) meno dure, è noto da secoli e sta subendo in questi decenni un’accelerazione fenomenale…
Prima di parlare delle tesi che riguardano i metodi di contrasto vorrei che venissero citate le fonti scientifiche che supportano il suo ragionamento. Qualcuno potrebbe pensare che tutto dipenda solo dalla sua nota avversione per le attività venatorie.
Io sono un sostenitore della sterilizzazione farmacologica. Lo sono perché ho letto la letteratura scientifica internazionale, secondo la quale questa produce l’obiettivo della decrescita demografica dei cinghiali. Volentieri cito la letteratura scientifica. Considerato che l’aumento gli abbattimenti non ha prodotto alcun risultato -anzi: danni-, visto che i cinghiali aumentano, proviamo a rovesciare il tema: incidere sulla natalità, non sulla mortalità! Immaginate di poter incidere sulla natalità degli animali selvatici che pongono dei problemi, invece che sulla loro mortalità. Dopotutto milioni di persone al mondo ricorrono al controllo della fertilità, quindi perché non impiegarlo anche per gli animali selvatici per risolvere i conflitti uomo-fauna selvatica? (1). L’approccio moderno è quello di sfruttare la risposta immunitaria dell’organismo per bloccare, con diverse modalità, la fertilità. Oggi infatti si usano i vaccini immuno-contraccettivi. In seguito alla somministrazione di un vaccino il sistema immunitario è stimolato a produrre anticorpi contro le proteine dei gameti, gli ormoni riproduttivi o altre proteine coinvolte nel processo riproduttivo. Negli ultimi vent’anni i vaccini contraccettivi sono stati sempre più perfezionati e oggi una monodose causa infertilità nell’animale per almeno 3-5 anni dopo la somministrazione (2).
I vaccini possono essere di due tipi: il vaccino PZP (porcine zona pellucida) e il vaccino GnRH (gonadotropin – releasing hormone o ormone per il rilascio delle gonadotropine). Sia il vaccino PZP che il vaccino GnRH sono diponibili in formulazioni iniettabili e rendono infertile l’animale trattato per diversi anni dopo una singola dose (Miller et al. 2008 (3), Fagerstone et al. 2010 (4), Kirkpatrick et al. 2011 (5)). Studi condotti dal team di Giovanna Massei hanno dimostrato che il vaccino GonaCon-KLH (vaccino di tipo GnRH), nel caso del cinghiale, sterilizza il 92% degli animali nei 4-6 anni successivi alla somministrazione (Massei et al. 2008 (6), Massei et al. 2012 (7)). Il vaccino GonaConTM, utilizzato dalla dott.ssa Massei e messo a punto dagli scienziati del U.S. Department of Agriculture’s (USDA) (8) Wildlife Services’ (WS) National Wildlife Research Center (NWRC) è registrato da U.S. Environmental Protection Agency (EPA).
Si tratta del vaccino che ha ricevuto maggiore attenzione tra i numerosi vaccini GnRH pensati per la fauna selvatica. A proposito dei costi del vaccino, gli sviluppatori del National Wildlife Research Center negli USA riferiscono: «Il vaccino stesso costa pochissimo per dose. Il costo principale dell’utilizzo GonaCon ™ è associato con il tempo e denaro necessari per catturare e vaccinare l’animale.» Ma è possibile utilizzare dardi e fucili lanciasiringhe a distanza. Oppure fornirlo attraverso il cibo. L’efficacia dei vaccini è maggiore rispetto a abbattimenti. Il GonaCon ha sterilizzato la maggior parte delle femmine di tutte le specie sulle quali è stato impiegato (Fagerstone et al. 2010 (9), Kirkpatrick et al. 2011 (10). Non solo. Tutti gli animali trattati con il vaccino GonaConTM non presentano differenze comportamentali o fisiologiche rispetto ai soggetti non trattati. I valori ematologici, biochimici e i livelli di cortisolo (utilizzato come indicatore di stress) restano i medesimi in individui vaccinati e non (11). Questi i risultati di uno studio per valutare gli effetti collaterali del vaccino GonaConTM, condotto dal Central Science Laboratory di York (UK) in collaborazione con il National Wildlife Research Center di Fort Collins (UK).
Un numero sempre in crescita di modelli teorici e di studi empirici sugli effetti del controllo della fertilità sulla dinamica di popolazione della fauna selvatica vede trionfare il controllo della fertilità sugli abbattimenti. In sostanza il controllo della fertilità è in grado di ridurre davvero il numero di animali presenti in un’area (Hobbs et al. 2000 (12), Bradford e Hobbs 2008 (13)). Allora, cosa aspettiamo a sperimentare anche in Italia queste possibili soluzioni? Finalmente il ministero della Salute si è accorto della novità: a giugno ha pubblicato un “Bando per la selezione di un progetto di sperimentazione per l’uso per via orale del prodotto “GONACON” dei cinghiali”.
Note in calce (NdR)
Simpatiche famigliole di ungulati in giro per parchi pubblici, parcheggi, spiagge di grandi, medie e piccole città. Pittoreschi ma anche potenzialmente pericolosi. Sempre più frequentemente viene sollecitata l’opzione più drastica per diminuirne la presenza: abbattimento. Lei però sostiene che una maggiore pressione venatoria non risolverebbe il problema, anzi…
Ho già spiegato che l’attuale unica “soluzione” non solo è sbagliata ma è quella che ci ha portato all’esplosione demografica dei cinghiali. Uccidendo gli adulti di cinghiale si innesca una risposta compensativa nella fertilità: gli esemplari aumentano di numero e ne cresce la dispersione. I ricercatori hanno evidenziato che negli ultimi decenni la popolazione di cinghiali in tutta Europa, nonostante la forte pressione venatoria e a dispetto dei tanti metodi di caccia messi in atto, è cresciuta in maniera esponenziale. L’attività venatoria colpisce soprattutto gli adulti e innesca risposte compensative tra i cinghiali e li diffonde maggiormente nel territorio. In altre parole, la destrutturazione della popolazione che si ha attraverso l’azione dei cacciatori (anche di quelli che qualche Amministrazione pubblica chiama “selecontrollori”) comporta l’aumento del tasso riproduttivo, la riproduzione precoce delle femmine e un maggiore tasso di dispersione tra i giovani. Al contrario la mortalità naturale -dovuta a pressioni climatiche, malattie e predazione, soprattutto da parte del lupo- incidendo in gran parte sulle classi giovanili mantiene una struttura della popolazione più stabile e determina una minore dispersione degli individui. Insomma: la strategia che attribuisce ai cacciatori il compito di contrastare un problema che loro stessi hanno determinato (e che, tra l’altro, non hanno alcun interesse a risolvere, trovandosi in un clamoroso conflitto d’interessi: perché il mondo venatorio dovrebbe essere interessato a diminuire i soggetti del proprio divertimento?) è perdente, inutile e spesso dannosa. La peggiore soluzione in assoluto è la braccata con i cani. Oltre ad arrecare disturbo a tutta la fauna, anche quella protetta, contribuisce in maniera clamorosa a aumentare il tasso di dispersione dei cinghiali e di conseguenza produce un aumento proprio di quei danni, alle coltivazioni e alla sicurezza stradale, che si vorrebbero contenere.
Coldiretti e gli agricoltori che vedono le proprie colture distrutte non sono del suo avviso. Lei mi dirà che sbagliano, ma immagino che anche le loro tesi siano sostenute da studi validi.
Confermo: sbagliano.
Fanno un ragionamento che fanno tutti. E che, a prima vista, potrebbe sembrare sensato: se ci sono troppi animali su un determinato territorio, eliminiamoli. Eliminandoli, ne avremo di meno. Ma i meccanismi della natura sono molto più complessi. Certo, nel brevissimo periodo il meccanismo funziona. Ma già nel breve e nel medio periodo si rivela un boomerang: la risposta è l’aumento della natalità e lo sbrancamento, che produce -con le uccisioni delle femmine capobranco- la possibilità per un numero maggiore di femmine di riprodursi. Quindi, un numero molto più elevato di cuccioli che nascono. E l’esplosione demografica è servita…
A Coldiretti e alle categorie degli agricoltori faccio una proposta. Se è vero che, come è stato recentemente dichiarato, i cinghiali producono 200 milioni di euro di danni all’anno, invece di chiedere l’allargamento del calendario venatorio (che produrrebbe un ulteriore aumento di animali), perché non stanziano una cifra irrisoria (come 80.000-100.000 euro) per una sperimentazione biennale della sterilizzazione farmacologica in Italia assieme all’Istituto internazionale della dott.ssa Giovanna Massei, un’Università italiana e Gaia Animali & Ambiente? Si tratterebbe di un investimento che, laddove dovesse risultare decisivo, risolverebbe i tanti problemi dei danni al mondo agricolo. Noi siamo disponibili a partire, ma purtroppo non abbiamo risorse sufficienti.
Bloccare alla fonte l’insorgenza dei problemi spesso in Italia non è la strada più seguita. Ipotizziamo di essere, per un determinato periodo, in condizione di stroncare le cause senza doversi concentrare solo gli effetti. Cosa dovremmo cambiare per ricondurre gli animali selvatici nel proprio ambiente naturale? Abbiamo parlato di cinghiali, ma potremmo estendere il ragionamento a numerose altre specie.
Le soluzioni da mettere in campo sono varie (non ce ne è mai solo una) e andrebbero praticate tutte. Ecco le proposte che, come Gaia Animali & Ambiente, abbiamo elaborato.
CENSIMENTI DI VERIFICA SULL’ENTITA’ DELLA POPOLAZIONE.
(Può essere richiesta dai Comuni o dalle regioni ad autorità scientifiche)
Il censimento, ad opera di istituti scientifici riconosciuti, deve avvenire non solo su possibili stime, ma occorre partire da dati certi per comprendere il fenomeno, inteso nella sua globalità e nelle sue variabili e componenti ambientali e sociali. È necessario anche agire per l’accertamento e la valutazione del danno, anche relativamente alla mancata prevenzione e applicazione dei metodi ecologici obbligatori ai sensi della 157/92. Anziché tentare di “contrastare” il fenomeno di una presunta sovrappopolazione di cinghiali, cervi, caprioli e via dicendo con abbattimenti inutili, occorre uno studio serio sulle cause ambientali che hanno portato ad una eccessiva proliferazione degli animali, per poter intervenire efficacemente. La cancellazione di alcuni habitat può infatti indurre gli animali ad avvicinarsi a colture come possibilità di sostentamento.
MISURE DI CONTROLLO SUGLI ALLEVAMENTI DI CINGHIALI
(Può essere richiesta da ogni ente locale alle forze dell’ordine e alla asl)
È ormai improcrastinabile un attento e minuzioso controllo sulle aziende che allevano cinghiali e ungulati a fini alimentari, vietando da subito quelli a fini venatori nel proprio territorio. Gli allevamenti autorizzati devono garantire, attraverso recinzioni adeguate, che nessun animale possa fuggire. In una situazione di “emergenza”, meglio sarebbe arrivare a chiudere definitivamente tali allevamenti.
CONTROLLO DEL TERRITORIO
(Può essere richiesta da ogni ente locale alle forze dell’ordine)
È necessario un attento coordinamento tra enti parco, associazioni, istituzioni e forze dell’ordine come i Carabinieri Forestali per evitare il fenomeno dei piccoli allevamenti abusivi di cinghiali, spesso finalizzati alle immissioni illegali a scopi venatori se non al mercato nero della carne. Tali controlli devono essere realizzati ai sensi della legge 157/92, 150/92 e anche dell’art. 544 bis e ter del Codice Penale, oltre che in relazione alle norme sanitarie vigenti.
CONTROLLO E DIVIETO DI ALLEVAMENTO ALLO STATO BRADO DI SUIDI
(Possibile emanazione di ordinanze specifiche da parte degli enti locali)
I suini lasciati liberi di pascolare, senza alcuna recinzione o forma di sorveglianza, hanno un impatto fortemente negativo poiché i cinghiali si possono riprodurre molto facilmente con loro. È un fenomeno, quello dell’“ibridazione”, noto da anni su cui però è ormai giunto il momento di intervenire concretamente ed efficacemente, vietando o regolamentando con vincoli stringenti l’allevamento allo stato brado (ad esempio, rendendolo possibile su una porzione di territorio adeguatamente sorvegliata, meglio ancora recintata).
VENDITA DEGLI UNGULATI
(autorità di controllo quali carabinieri, polizia postale, ecc.)
Sarebbe opportuno fare molta chiarezza e vietare la compravendita degli ungulati, in particolar modo dei cinghiali, che spesso avviene anche attraverso canali quali noti siti internet di annunci. Proprio in questi testi sono infatti riportati i recapiti dei presunti allevatori e venditori, e non è quindi complicato risalire ai responsabili. In attesa che ciò accada, dal momento che su tali siti vengono indicati i recapiti e la località dell’”allevamento” è possibile attuare delle forme di controllo in collaborazione con i Carabinieri Forestali (ai sensi delle normative sopra citate, in particolare ai sensi della legge 150/92 – specie considerate pericolose).
DIVIETO DI RIPOPOLAMENTO VENATORIO
(Regioni, Governo)
Abolire tutti i ripopolamenti venatori, di ungulati in particolare ma anche di lepri e fagiani. Tali ripopolamenti sono causa prima di danni al settore agricolo –soprattutto in riferimento alle due specie sopra citate– e creano gravi squilibri ecologici con conseguenze sulle altre specie (ad esempio minore disponibilità di cibo dovuta ad una maggiore concorrenza). Per quanto riguarda i cinghiali, una recente modifica normativa vieta le reimmissioni in tutto il territorio nazionale, con l’eccezione delle aziende faunistico venatorie adeguatamente recintate: occorrono in tal senso severi controlli, poiché gli animali inseriti potrebbero facilmente fuggire in assenza di recinzioni o di aperture e varchi delle stesse. In riferimento ai cinghiali, va da sé che se si tratta di emergenza, la misura prioritaria, ovvia e sensata è fermare subito ogni forma di ripopolamento, ovunque, anche nelle aziende faunistico venatorie – dove è altissimo il rischio di “fuga” degli esemplari immessi.
MIGLIORAMENTO DELLA SITUAZIONE RELATIVA ALLO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI
(Comuni)
Una delle fonti alimentari del cinghiale –ma non solo- è costituita dai rifiuti, che siano prodotti nei grandi centri abitati, o nei piccoli paesi. È indispensabile quindi eliminare l’accesso ai rifiuti, o ancor meglio rendere più efficace il processo della raccolta e lo smaltimento dell’immondizia.
CORRETTA INFORMAZIONE SCIENTIFICA SULLA FAUNA SELVATICA
(Comuni, regioni, enti locali, associazioni animaliste, ambientaliste, istituti scientifici)
Sebbene spesso sottovalutata, la diffusione della cultura scientifica ed etica, in particolare sull’etologia degli animali e su come comportarsi in caso di incontro ravvicinato, è prioritaria poiché contribuirebbe a fare in modo che azioni non corrette possano scatenare nel selvatico reazioni totalmente naturali ma potenzialmente pericolose per l’uomo. Organi quali gli enti parco, o comunque le istituzioni, dovrebbero altresì provvedere a promuovere la conoscenza e il rispetto della normativa, anche con un’attività “porta a porta” se necessario.
RIVALUTAZIONE DEL RUOLO DEI GRANDI PREDATORI
(Enti locali, associazioni, istituti scientifici)
Ultimamente forti campagne denigratorie nei confronti dei predatori sono state condotte dai media e da alcune associazioni di allevatori. Dichiarazioni spesso forti, violente e prive di qualsiasi fondamento scientifico che, però, hanno avuto come conseguenza l’estendersi della piaga del bracconaggio e delle uccisioni di lupi –o di lupi per esso scambiati– orsi e volpi. Eppure, il Lupo si nutre proprio di cinghiali, cervi, caprioli, daini, contribuendo al loro controllo numerico in maniera naturale così come i predatori più piccoli –come ad esempio la volpe, vittima anch’essa di una ingiustificabile caccia 365 giorni l’anno– rappresentano un aiuto infallibile nel limitare il numero di ratti, topi e altri roditori. I Comuni, in questo senso, possono veramente dare un contributo importante per la diffusione di corrette informazioni, per sensibilizzare e informare correttamente i cittadini a partire dalle scuole.
SICUREZZA STRADALE
(Enti locali e polizia)
Esistono dispositivi che, se utilizzati, possono ridurre a zero il rischio di incidenti, causati spesso dall’alta velocità. Autovelox ad esempio rappresentano un efficace deterrente che obbliga gli automobilisti ad una andatura moderata mentre le bande e i dossi artificiali li costringono ad una guida prudente. Tali dispositivi naturalmente devono essere accompagnati da opportuna e adeguata segnaletica stradale. Oltre a questi sistemi tradizionali ne esistono anche altri, sperimentali, già adottati nell’ambito di specifici progetti Life: si tratta di sensori, centraline, altoparlanti, avvisi luminosi e di una segnaletica specifica che, se installati correttamente, contribuiscono alla sicurezza stradale senza impedire alla fauna selvatica di circolare liberamente.
METODI ECOLOGICI PER LA PREVENZIONE DEL DANNO
(Enti locali con associazioni di categoria)
Ricordiamo anzitutto che l’applicazione dei metodi ecologici, su proposta e su verifica d’efficacia da parte dell’ISPRA, rappresenta la misura prioritaria a qualsiasi forma di abbattimento (Legge 157/92 art. 19). Per quanto riguarda le coltivazioni, esistono vari metodi di protezione, anche non troppo limitativi alla circolazione di tutta la fauna selvatica. Tali sistemi risultano particolarmente efficaci quando vengono utilizzati contemporaneamente: dissuasori olfattivi, sonori, meccanici ed elettrici (questi ultimi due hanno una maggiore efficacia nel tempo). I dissuasori elettrici, alimentati da energia solare, possono essere particolarmente utili in appezzamenti non di grandissime dimensioni, perché “bloccano” l’accesso ai cinghiali e ungulati ma consentono l’attraversamento alla fauna minore. Ad ogni modo, tali metodi sono tanto più efficaci quanto specie-specifici. È necessario però che gli agricoltori e gli allevatori siano sostenuti nell’applicazione di tali misure, che evidentemente non possono e non devono essere a loro carico. In tal senso, i comuni potrebbero richiedere fondi specifici da destinare all’acquisto e alla posa in opera di tali strumenti, senza pretendere esborsi di denaro da parte degli allevatori/agricoltori.
I DANNI DELLA CACCIA E DEGLI ABBATTIMENTI DI “SELEZIONE”
L’attività venatoria ha procurato moltissimi problemi in relazione a tante specie, tra cui gli ungulati (cacciabili durante la “normale” stagione venatoria), la cui presenza su vasta scala è dovuta proprio ai ripopolamenti effettuati ad uso e consumo dei cacciatori. Nel caso del cinghiale, ad esempio, è noto che le uccisioni hanno causato e continuano a causare una destrutturazione dei branchi, poiché spesso ad essere abbattuta è proprio la matriarca. Ciò determina la dispersione sul territorio di femmine che, come ho spiegato prima, possono andare a creare altri branchi aumentando così il potenziale riproduttivo della specie.
Si evidenzia come anche il Governo si sia espresso positivamente su una recente risoluzione sui danni fauna, in particolar modo sui cinghiali ma che può essere estesa nei principi cardine anche per altri ungulati, di cui riporto una parte molto importante: “…in particolare, a differenza di quanto si sia erroneamente ritenuto fino ad oggi, l’ordinaria attività venatoria, così come viene organizzata e gestita in Italia, non rappresenta una forma di controllo delle popolazioni di cinghiale, tanto meno può rappresentarlo un’estensione del periodo di prelievo (deregulation dei calendari venatori) o la concessione del prelievo in aree altrimenti protette. Altresì, l’attività venatoria ha determinato negli anni una destrutturazione della piramide delle classi di età, agevolando la riproduzione degli esemplari più giovani, abbattendo i capi adulti con più di due anni di età; in particolare, i metodi di contenimento non cruento, quali le recinzioni meccaniche permanenti e le recinzioni elettrificate (Allegato 1, Metodi di prevenzione diretta dei danni da cinghiale, Linee guida per la gestione del Cinghiale, ISPRA) ed il trappolaggio per la successiva sterilizzazione farmacologica (Allegato 3, Sistemi di cattura del cinghiale), benché risolutive ed eticamente accettate, non trovano applicazione o perdono di efficacia a causa della mancanza di applicazione, da parte degli enti territoriali preposti, di uno schema di piano per la programmazione degli interventi di controllo numerico del cinghiale nelle aree protette e della presenza di coadiutori ai piani di controllo numerico del cinghiale, formati secondo lo schema dell’Allegato 4 delle Linee guida per la gestione del Cinghiale”.
ABBATTIMENTI SELETTIVI
(Regione)
Gli abbattimenti selettivi non rappresentano una soluzione efficace, né duratura nel tempo: se, dopo tanti anni di politiche di uccisioni degli animali selvatici, il problema è aperto, ciò significa che la politica finora adottata non è la soluzione del problema. Ci sono molti studi scientifici (alcuni li ho citati) che spiegano come il potenziale riproduttivo dei branchi aumenti enormemente a seguito di uccisioni, di cuccioli e di femmine. Ma è dall’analisi generale di questa politica fallimentare – quella che ricorre alle uccisioni – che occorre ragionare, considerando anzitutto la gestione faunistica come materia da cui il mondo venatorio deve essere necessariamente escluso, anche in qualità di “selecontrollore” figura inesistente e non contemplata nella legge nazionale 157/92. Si tratta di un vero e proprio conflitto di interessi: ai cacciatori interessa mantenere alto il numero degli esemplari da abbattere e non essere artefici della loro diminuzione, poiché se si risolvesse il “problema” della sovrappopolazione non potrebbero essi stessi imbracciare il fucile molti mesi l’anno.
È ormai giunto il momento di un radicale cambio di strategia e di approccio alla materia, coinvolgendo Università, associazioni animaliste, ambientaliste, istituzioni locali ed enti-parco.
Note
(1) Massei G., (2012) Il controllo della fertilità nella fauna selvatica: una soluzione praticabile? Gazzetta Ambiente n1, 47-54
(2) Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, (2010) – Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette. 2° edizione. Quad. Cons. Natura, 34, Min.Ambiente – ISPRA
(3) Miller, L. A., J. P. Gionfriddo, K. A. Fagerstone, J. C. Rhyan, and G. J. Killian. (2008). The single-shot GnRH immunocontraceptive vaccine (GonaConTM) in white-tailed deer: comparison of several GnRH preparations. American Journal of Reproductive Immunology 60,214–223.
(4) Fagerstone, K.A., Miller, L.A., Killian, G.J., and Yoder, C.A. (2010). Review of issues concerning the use of reproductive inhibitors, with particular emphasis on resolving human-wildlife conflicts in North America. Integrative Zoology 5, 15-30.
(5) Kirkpatrick, J.F., Lyda, R.O., and Frank, K.M. (2011). Contraceptive vaccines for wildlife: a review. American Journal of Reproductive Immunology 66,40-50.
(6) Massei, G., Cowan, D. P., Coats, J., Gladwell, F., Lane , J.E., and Miller ,L.A. (2008). Effect of the GnRH vaccine GonaConTM on the fertility, physiology and behaviour of wild boar. Wildlife Research 35, 1-8.
(7) Massei G., Cowan D.P., Coats J., Bellamy F., Quy R., Brash M., Miller L.A. (2012). Long-term effects of immunocontraception on wild boar fertility, physiology and behaviour. Wildlife Research 39:378-385.
(8)https://www.aphis.usda.gov/aphis/ourfocus/wildlifedamage/programs/nwrc/!ut/p/z1/04_iUlDg4tKPAFJABpSA0fpReYllmemJJZn5eYk5-hH6kVFm8T7-Js6GTsEGPga-vpYGjqFhbi7OYf7G_o7G-l76UfgVFGQHKgIAt1ZS_Q!!/
(9) Fagerstone, K.A., Miller, L.A., Killian, G.J., and Yoder, C.A. (2010). Review of issues concerning the use of reproductive inhibitors, with particular emphasis on resolving human-wildlife conflicts in North America. Integrative Zoology 5, 15-30.
(10) Kirkpatrick, J.F., Lyda, R.O., and Frank , K.M.( 2011). Contraceptive vaccines for wildlife: a review. American Journal of Reproductive Immunology 66,40-50.
(11) Monaco A., Carnevali L. e S. Toso, (2010) – Linee guida per la gestione del Cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette. 2° edizione. Quad. Cons. Natura, 34, Min.Ambiente – ISPRA
(12) Hobbs, N.T., Bowden, D. C., and Baker, D. L. (2000). Effects of fertility control on populations of ungulates: General, stage-structured models. Journal of Wildlife Management 64, 473-491.
(13) Bradford, J.B., and Hobbs, N.T. (2008). Regulating overabundant ungulate populations: An example for elk in Rocky Mountain National Park, Colorado. Journal of Environmental Management 86, 520-528.
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