Presentare Elena Ledda non è semplicissimo. Musicista, interprete, direttrice artistica, potremmo sintetizzare che Elena è una delle più importanti protagoniste internazionali della musica popolare. Ma sintetizzare troppo rischia di non evidenziare a dovere quanto articolata sia la sua carriera.
Lascio quindi che sia il Teatro Lirico di Cagliari a tracciare una sorta di curriculum vitae al quale farò seguire una lunga chiacchierata, fatta in una bella e calda giornata di ottobre nel capoluogo sardo.
Elena Ledda comincia la sua attività giovanissima nell’ambito della musica tradizionale cui unisce, dall’età di sedici anni, gli studi di canto classico al Conservatorio Statale di Musica “Giovanni Pierluigi da Palestrina” di Cagliari. Inizia la sua carriera frequentando i palcoscenici deputati alla tradizione. Sulla scia dei grandi fermenti culturali che negli anni ‘70 animano l’Isola, interpreta Brecht, Weill e Eisler, si dedica al canto classico, promuove le prime esecuzioni filologiche di musica antica (dal medioevo al barocco) e partecipa ai primi esperimenti dedicati alla musica contemporanea. Approfondisce in questo periodo la sua ricerca dedicata alla musica tradizionale sarda che, in seguito, la porterà a privilegiare questo repertorio nell’ambito della sua arte espressiva. È di questi anni l’incontro fondamentale con il musicista e compositore sardo Mauro Palmas, con il quale condividerà scelte e progetti. Voce tra le più importanti della scena tradizionale sarda e mediterranea, animatrice di grande temperamento della nuova cultura sarda, soprano drammatico dotata di una voce straordinaria, in oltre trent’anni di musica, Elena Ledda ha portato in tutto il mondo (dai più piccoli comuni della Sardegna a New York, Sidney, Tripoli, Parigi, Berlino, Londra), il suo singolare repertorio che vivifica la memoria del canto tradizionale con una speziata musica popolare aperta verso i lidi del Mediterraneo. La sua formazione artistica le consente di non chiudersi in un ristretto territorio musicale ma, grazie al patrimonio culturale, di confrontarsi con musicisti di diverse estrazioni e provenienze. Vanta una carriera ricca di produzioni originali e prestigiose collaborazioni con i più grandi protagonisti del panorama culturale nazionale ed internazionale: virtuosi di musica rinascimentale, alfieri della new age, cantadores, eccezionali interpreti dalla world music al jazz quali: Don Cherry, Nana Vasconcelos, Lester Bowie, Don Moye, Enrico Rava, Andreass Vollenweider, Paolo Fresu, Antonello Salis, Giorgio Gaslini, Moni Ovadia, Luigi Cinque, Noa, Richard Galliano, Gabriele Mirabassi, Antonio Placer, Lucilla Galeazzi, Riccardo Tesi, Maria Pia DeVito, Rita Marcotulli, Lino Cannavacciuolo, Raiz, Daniele Sepe, Andrea Parodi, Savina Yannatou, Fausto Mesolella. La sua attività non tradisce mai le premesse da cui si è sviluppata: ricerca, studio, confronto. Partecipa a un gran numero di prestigiose produzioni (teatrali, musicali, italiane e straniere) e al film “Passaggi di tempo” – il viaggio di Sonos ‘e Memoria – per la regia di Gianfranco Cabiddu, con la direzione musicale di Paolo Fresu, prodotto e distribuito dell’Istituto Luce. Dal suo primo lavoro discografico Ammentos, nel 1979, alla partecipazione nel gruppo “Suonofficina” e, successivamente, nel gruppo “Sonos”, prosegue nel suo viaggio artistico denso di grandi emozioni e soddisfazioni. Dopo un’intensa attività live in Francia e in diversi paesi d’Europa, Africa e USA, nel 1993 registra per l’etichetta francese “Silex” Incanti, un progetto discografico interamente dedicato alle suggestioni della tradizione sarda.
Dall’incontro con il violinista napoletano Lino Cannavacciuolo, scaturisce nel 2005 la pubblicazione di Amargura, caratterizzato da una seducente miscela di atmosfere arabe, sarde e spagnole. Le sue più recenti produzioni musicali la vedono protagonista accanto a grandi interpreti della musica mediterranea: con Savina Yannatou, intensa e versatile cantante greca, dopo una serie di concerti ad Atene realizza, nella città di Salonicco, il disco Tutti Baci, con la partecipazione del gruppo “Primavera en Salonico” e di Mauro Palmas; con Antonio Placer (sensibile autore e originale interprete galiziano) partecipa a “Cancionista”, una straordinaria testimonianza sonora dell’incrocio tra la cultura mediterranea e quella atlantica nel ponte ideale tra Sardegna, Galizia e Francia; il progetto discografico, prodotto da “S’ardmusic” e “Jazz in Sardegna”, viene presentato in anteprima in occasione dell’inaugurazione della seconda edizione dell’EJE Festival nel 2006, e portato, successivamente, in tournèe nelle principali città europee. La profonda passione di Elena Ledda per la ricerca di nuovi e diversi mondi sonori emerge anche nella produzione Rosa Resolza (S’ardmusic, 2007), un inedito ed emozionante viaggio tra le affascinanti sonorità del Mare Nostrum, inciso con l’indimenticato Andrea Parodi. Il disco si aggiudica, nello stesso anno, la targa al “Premio Tenco” nella sezione popolare (prima volta che la prestigiosa targa viene attribuita a musicisti sardi), e il Premio “Città di Loano” per la Musica Tradizionale Italiana.
Nel 2008 viene pubblicato “Elena Ledda – Live at Jazz in Sardegna”: primo album registrato dal vivo per la collana S’ardmusic “EJE LIVE” che celebra i suoi grandi successi internazionali, con l’accompagnamento degli storici compagni di viaggio (Mauro Palmas, Simonetta Soro, Silvano Lobina, Marcello Peghin, Alberto Pisu) e della pianista e compositrice romana Rita Marcotulli. L’ultimo progetto discografico Cantendi a Deus-Elena Ledda, prodotto da S’Ardmusic e Jazz in Sardegna nel 2009, si aggiudica il secondo posto al “Premio Tenco” 2010 (sezione popolare) e al Premio Nazionale “Città di Loano” 2010 per la Musica Tradizionale Italiana, e il primo posto al Premio P.I.M.P.I. (Premio Italiano Musica Popolare indipendente) per la miglior produzione tradizionale. Nel 2011 riceve il premio EJE 2011 alla carriera insieme alla pianista Rita Marcotulli.
Nell’ottobre del 2016 è ospite nel prestigioso disco di Enzo Avitabile “Lotto Infinito” dove duetta in “Nisciuno Sape”.
A sette anni di distanza dal suo ultimo album in studio, Elena Ledda torna con “Làntias”, pregevole album nel quale ha raccolto dodici brani, tra composizioni originali e riletture, caratterizzati dal respiro elegante degli arrangiamenti che avvolgono la splendida voce della cantante sarda.
I suoi progetti musicali, partendo dalla Sardegna, hanno raggiunto con successo: Italia, Francia, Germania, Austria, Norvegia, Belgio, Grecia, Gran Bretagna, Svizzera, Yugoslavia, Spagna, Portogallo, Stati Uniti, Australia, Argentina, Brasile, Tunisia, Russia, Algeria, Marocco, Ungheria, Singapore, Polonia, Libia.
Fonte Teatro Lirico di Cagliari.
Elena Ledda è la direttrice artistica del più importante contest di world music italiano, il Premio Andrea Parodi.
La incontriamo a Cagliari in uno dei rarissimi momenti di pausa della manifestazione, giunta quest’anno alla quindicesima edizione.
Da diversi anni incontrando gli artisti al Premio Andrea Parodi chiedo loro una definizione del termine “world music”. Le risposte non sono state mai nette ed univoche. Credo che tu sia la persona più adatta a fornirmi un’interpretazione genuina.
Tecnicamente una definizione non esiste. Anni fa leggendo un articolo di stampa che parlava di me ho sentito proporre una serie di sinonimi: folk, folk revival, musica popolare. Io ho sempre prediletto il termine “musica popolare”, un genere che si presta ad accogliere al suo interno ogni espressione musicale, Giuseppe Verdi incluso. In fondo la musica popolare è tutta la musica che il popolo crea ed ascolta, conserva e tramanda, canta ed interpreta, la musica nella quale si rispecchia.
Nel 1993 ho visto il titolo di una pubblicazione che diceva “Elena Ledda entra nella top ten della world music”, ero la prima musicista italiana ad entrare in questa classifica ed in quella circostanza ho scoperto l’esistenza di questa definizione.
Musica del mondo, non vedo alcuna differenza tra questo termine e quello di musica popolare, la musica della tradizione amata dal popolo.
C’è poi una tendenza più recente che propone anche una seconda chiave di lettura; world music è la mescolanza delle diverse musiche del mondo. Ed in effetti proprio noi abbiamo avuto modo di presentare e portare alla vittoria del Premio Parodi un gruppo che di questa interpretazione è l’incarnazione, ovvero i Fanfara Station. Un musicista tunisino, un italiano ed uno statunitense che suonavano world music facendo tesoro di tutte le contaminazioni e le mescolanze della loro cultura di appartenenza. Vivendo in un mondo globalizzato le mescolanze culturali sono assolutamente normali e positive per la crescita e la maturazione della musica nazionale ed internazionale.
Non lasciamoci però classificare in un modo troppo vincolante, magari tra due anni salterà fuori un altro termine e scopriremo che vuole dire esattamente la stessa cosa.
Quindicesima edizione del Premio Parodi, un bel traguardo.
Alle origini di questa nostra storia c’era il desiderio di creare qualcosa che potesse ricordare a tutti Andrea e che potesse aiutarci a superare il grande dolore provocato dalla sua scomparsa. Per prima cosa venne creata la Fondazione che porta il suo nome e subito dopo si iniziò a pensare a come onorare lui ed il suo lavoro.
In particolare la Fondazione si concentrò sull’ultima parte della sua vita artistica che lo aveva visto impegnato come esecutore, come compositore e come arrangiatore. Non era un arrangiatore completamente padrone della tecnica ma aveva uno straordinario intuito musicale, le idee partivano sempre da lui quindi si avvaleva di arrangiatori professionisti che lo aiutavano a completare il lavoro.
Andrea amava anche curare il lavoro dei giovani e, quando trovava elementi validi che necessitavano di un aiuto, non faceva mancare il suo contributo. Si tratta di un modo di operare che conosco molto bene in quanto io stessa mi muovo in modo analogo, attraverso la didattica e la fase di produzione.
La prima edizione del Premio Parodi fu in realtà limitata alla consegna di un riconoscimento, un Albo d’Oro; dalla seconda edizione invece iniziò il nuovo corso. Il primo anno ero presente come spettatrice, il secondo come ospite e dal quarto anno sono diventata la direttrice artistica. Da quel momento il Premio Parodi ha iniziato ad avere un’impostazione molto simile a quella attuale, con l’interpretazione dei brani di Andrea e con la presenza di ospiti illustri che aiutano il Festival ad essere maggiormente visibile e conosciuto.
Quando iniziammo avevamo la speranza e la volontà di fare un buon lavoro senza però immaginare cosa sarebbe poi diventato negli anni il Parodi, ovvero un appuntamento conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo. Il Premio ci è quasi esploso tra le mani tanto che oggi le candidature sono numerose e qualificate e provengono, oltre che dal’Italia e dall’Europa, anche dal sud America, da Cuba, da ogni dove. I primi anni arrivavano anche richieste di partecipazione da parte di persone non particolarmente preparate (davvero scarse a volte…) che i concorsi li provavano un po’ tutti, poi piano piano il livello è salito in modo esponenziale.
Il Premio Parodi non è più solo una vetrina a disposizione di chi vuole farsi conoscere ma è un palcoscenico fortemente ambito anche da artisti già ben avviati in carriera, artisti che vogliono fare un’esperienza di qualità per impreziosire il proprio cammino. La gratificazione economica legata alla vittoria non disturba nessuno, ma in realtà la vera vittoria consiste nel potere entrare in questa “bolla” che per tre giorni accomuna interpreti, giornalisti, produttori, musicisti, organizzatori di festival; essere finalisti al Premio Parodi significa ottenere una visibilità mediatica di grande portata e vivere un’esperienza molto particolare, quasi unica.
Inoltre permette di creare sinergie che possono portare gli artisti anche a partecipare ad altri festival musicali in Italia ed all’estero, visto che la Fondazione ha stretto legami di collaborazione attiva con realtà analoghe di livello internazionale. Qualche eccezione c’è, ma in generale quasi tutti i vincitori del Premio Parodi riescono nel tempo a consolidare una carriera importante. Io sono convinta che la nostra manifestazione rappresenti per loro una tappa tra le più significative del proprio percorso.
Il simbolo è qualcosa che sintetizza e trasmette, ogni territorio ne elabora una serie. In ambito musicale il simbolo può essere un genere oppure un’artista. Attualmente tu rappresenti simbolicamente ai massimi livelli la voce della Sardegna. Così come in passato è stato per Maria Carta e per Andrea Parodi. Questo ti lusinga, ti pesa, ti condiziona?
Questa etichetta de “la voce della Sardegna” effettivamente mi è stata appiccicata addosso ma io, sempre, correggo in “una delle voci della Sardegna”.
E’ vero che forse attualmente sono la voce solista più rappresentativa ma tu hai ben visto, seguendo il festival da diverso tempo, che la Sardegna ha tante voci. Concordo sul fatto che il simbolo abbia una propria forza ed una propria valenza, ma ovviamente questa capacità di sintesi non è propria solo di un singolo interprete.
La stima professionale che raccolgo è indubbiamente lusinghiera e mi fa piacere anche se credo questa idea de “la voce della Sardegna” appartenga più ad una visione esterna all’Isola. Probabilmente sono l’interprete in attività con il maggior curriculum e con la maggiore rilevanza internazionale e quindi è più facile associare il mio nome alla Sardegna per chi non vive la nostra realtà quotidianamente.
Questa cosa dell’assimilare gli artisti al territorio ha comunque un limite fisiologico che a volte contribuisce a fare confusione. Sai quante volte mi hanno detto: “ti conosco, tu sei la voce della Sardegna come Maria Carta ed i Tazenda”. Ecco questo testimonia che, visti dal continente, a volte si fa di tutte le erbe un fascio, perchè in realtà noi siamo sostanzialmente diversi tra di noi.
Maria è stata un’artista che ha tracciato per prima un percorso, non per la sola Sardegna ma per tutta l’Italia. E’ vero che già esisteva un fenomeno musicale che possiamo chiamare folk revival, un fenomeno che si esprimeva attraverso interpreti prestigiosi. Lei è stata però la prima a portare la musica popolare dell’Isola al di fuori dei nostri confini, frequentando i teatri di tutto il mondo, aprendo una breccia in muri che sino ad allora non erano mai stati attraversati da certi suoni.
Lei ha tracciato la via, non solo agli artisti sardi ma agli artisti di tutta la musica popolare in generale. I Tazenda sono invece un gruppo pop che canta in sardo ma che nulla ha a che vedere con la musica tradizionale, tanto che Andrea per seguire un percorso di world music dovette abbandonare il gruppo. E fu una scelta traumatica, sia per loro sia per i loro fan che rimasero sconcertati ed in molti casi contrariati.
Per Andrea non sono stati anni facili in quanto nel nostro mondo non venne accettato con facilità. Chi era questo cantante pop che voleva riciclarsi con la musica popolare? Ma Andrea non era tipo da fermarsi davanti alle difficoltà ed ha ricominciato da zero. E’ andato a studiarsi i canti tradizionali e così via, percorrendo una strada veramente impervia.
Per tanti anni mi chiese di lavorare con lui ma per una serie di motivi non riuscivamo mai a far decollare una collaborazione stabile. Io ero impegnata con la produzione del mio lavoro, avevo una serie di concerti in Germania e così via. Il disco che uscì nel 2007 e che ebbe tanto successo (Rosa Resolza ndr), in realtà avrebbe dovuto vedere la luce prima del 2000.
Io avevo pubblicato Maremannu, lui Abacada, alla fine siamo riusciti a collaborare in modo pieno e convinto solo durante l’ultimo anno della sua vita. Andrea stava male ed aveva sospeso le sue esibizioni, io gli chiesi di partecipare come ospite ad un mio concerto e lui venne, così come venne successivamente in altre occasioni. Lui non nascondeva la sua malattia e tra la gente stava facendosi largo l’idea che non fosse più in grado di cantare. Ma non era assolutamente così, la sua voce era ancora perfetta e lui è stato in condizione di offrire concerti meravigliosi, tra i quali ci fu anche la reunion con i Tazenda.
In questo suo ultimo anno di vita riuscì a sistemare diverse cose che gli stavano a cuore, tanto che una volta mi disse di avere, nonostante la malattia, vissuto l’anno più bello della sua vita. Tutte le caselle si erano riempite, i suoi sogni si erano avverati, aveva ottenuto il riconoscimento che tanto desiderava dal mondo della musica popolare, era felice.
Dopo la sua scomparsa per noi è stato naturale e spontaneo proseguire il suo percorso artistico, un percorso che portiamo avanti nel suo nome con tutto l’amore possibile.
E’ stato faticoso all’inizio far comprendere che il Premio Parodi non era una commemorazione annuale postuma, una specie di celebrazione dell’anniversario. Il Parodi nasce con tutta un’altra intenzione, con l’idea di dare seguito al suo pensiero ed al suo lavoro, non con la velata tristezza del ricordo ma con la festosità del lavoro quotidiano che lui amava tanto.
Qual è la chiave giusta per avvicinarsi al Premio Parodi ed avere successo? Ho visto in questi anni proposte innovative, altre legate ad un rispetto rigoroso della tradizione, prestazioni impreziosite da grandi capacità interpretative ed altre un pochino meno precise. Se volessi prendere una via vincente in modo un tantino ruffiano, cosa mi consiglieresti?
Noi scriviamo world music nelle nostre pubblicazioni ma in realtà ci consideriamo un approdo sicuro per tutta la musica che non ha un posto dove andare. Ecco perchè vedi tanti modi di esprimersi musicalmente, con un’alternanza che può far pensare ad una contraddizione che in realtà non esiste. La musica popolare si muove in molti modi diversi, con la musica elettronica, con il rap, con il rock, con la ricerca e la tradizione pura. Il Parodi è veramente quello che tu hai avuto modo di vedere in questi anni. Noi non premiamo una canzone, noi premiamo un progetto ed è per questo che il nostro contest dura tre giorni, abbiamo la necessità di ascoltare bene gli artisti non solo attraverso una singola interpretazione.
Fare una “canzone ruffiana” come giustamente evidenzi può essere facile, quindi noi chiediamo anche l’interpretazione di un brano di Andrea, perchè è lì che viene fuori la verità. Chiediamo agli artisti di entrare in un’altro mondo utilizzando un’altra lingua ed anche se il brano viene stravolto noi riusciamo comunque a capire se l’interprete è in grado di capire quel mondo.
Guarda ad esempio i vincitori di quest’anno, il duo Ual-là! Il loro può sembrare un approccio provocatorio ma in realtà ci troviamo davanti ad un progetto strepitoso. Con un sacchetto di plastica ed un tavolino di legno riescono a creare una sorta di magia, variando tonalità e volumi. E poi cantano divinamente, armonizzando e facendo cose davvero notevoli. Le loro capacità si sono poi confermate nell’interpretazione della canzona di Andrea, proposta in modo splendido. Non hanno sbagliato niente, sono stati davvero bravissimi. Dizione perfetta, comprensione assoluta e profonda della canzone, nessuna variazione della struttura metrica, ritmo pazzesco, giusto e perfetto, nessuna sbavatura.
Talento naturale o studio e applicazione?
Loro hanno tutto, in quel duo c’è un talento esagerato e si vede che hanno anche studiato tanto. L’arrangiamento era spaziale, nella sezione centrale del brano hanno fatto insieme sia la parte strumentale sia quella cantata. Posso affermarlo con certezza, dato che la canzone è la mia, e posso dirti che anche diversi musicisti presenti in sala sono rimasti esaltati da questa interpretazione.
Ciò non significa che in senso assoluto questo sia il metodo interpretativo vincente. A me è piaciuta moltissimo anche l’esecuzione più tradizionale di Raquel Kurpershoek, bravissima, ha cantato davvero bene ed ha saputo toccare quel tasto nascosto che mi commuove.
Al Parodi abbiamo visto la vittoria di voce-chitarra-solo e poi un gruppo rock, non c’è una via unica al successo. Quello che noi vogliamo vedere è il progetto, se ci rendiamo conto dell’esistenza di un progetto ben concepito ed avviato noi ti aiutiamo, ti diamo una grande visibilità e gli strumenti per farti conoscere.
La quasi totalità degli artisti in gara è rappresentata da ragazzi giovani, pieni di talento e di voglia di affermarsi nel mondo della musica. Il mercato della musica popolare consente a questi ragazzi di trasformare la propria passione in una professione consolidata?
E’ vero, sono quasi tutti giovani e questo è molto importante. Ti stupirò, tra i ragazzi che in questi anni abbiamo visto ci sono molti che avrebbero potuto buttarsi nel mercato del pop e che invece hanno virato sulla musica popolare perchè è più semplice inserirsi in questo mercato.
Nonostante il fatto che non compariamo da nessuna parte, non ci passano le radio nazionali e meno che mai le televisioni, la richiesta di artisti per i concerti di musica popolare è molto elevata. Nel mondo del pop devi essere un personaggio di rilievo per potere accendere al mercato dei grandi concerti, la musica popolare invece è molto più accessibile, ci sono tanti colleghi della mia generazione che ancora suonano abitualmente senza problemi e che coprono tranquillamente la stagione, in Italia ed in giro in tutta Europa.
Noi abbiamo alle nostre spalle un progetto e portiamo il nostro suono, non offriamo un prodotto confezionato usa e getta, questo viene perfettamente percepito ed apprezzato in tutto il mondo ed onestamente la crisi nel nostro ambiente non è proprio percepita. Se sei all’altezza delle aspettative e sei padrone della tua musica il lavoro nel mercato della musica popolare difficilmente ti mancherà.
Ricordo perfettamente un concerto che tenemmo qualche anno fa a New York in un teatro immenso. Sala piena. Se avessimo scimmiottato la musica del momento non credo che saremmo usciti bene da quella serata. Abbiamo proposto la nostra musica, la gente era in teatro per sentire la particolarità della nostra musica e siamo usciti sotto gli applausi. Devi sapere essere te stesso e se hai i numeri del bravo musicista non devi temere nulla.
La world music italiana gira il mondo a testa alta, la trovi nei festival e nei teatri, trovi la musica salentina, la musica sarda, trovi Elena Ledda, trovi i Tenore di Orosei, trovi Riccardo Tesi, trovi Lucilla Galeazzi… Lucilla in Francia è una star, invece in Italia quando raramente facciamo un passaggio nelle radio nazionali tendono a nasconderci nelle pieghe del palinsesto.
Se al direttore di rete proponi di far cantare alle 21,30 Elena Ledda gli viene un coccolone causato dalla prospettiva di chissà quale crollo di ascolti. Senza andare in televisione, senza essere passati in radio noi comunque esistiamo e siamo stati capaci di consolidare un mercato di assoluto rilievo. Purtroppo ultimamente ho notato che c’è un po’ troppa gente che si butta sulla world music senza avere la dovuta competenza e questo sta un pochino intasando l’offerta.
Non voglio fare la parte dell’avvocato del diavolo però la musica popolare in taluni territori è una componente importante anche dell’offerta turistica. Oggi per attrarre il turista l’entertainment deve operare a 360 gradi. Ed ecco che allora forse allora alla musica popolare ci si avvicina non per scelta artistica ma per business. Non l’avrei scelta per vocazione, ma visto che crea fatturato…mi ci butto.
Hai ragione, non posso dire in piena onestà che quello che hai detto non accada. Ci sono due generi di artisti, ci sono coloro che genuinamente voglio riscoprire la musica della tradizione e quelli che prendono la palla al balzo perchè vedono lo spazio per lavorare. Ma non si tratta solo di un discorso legato all’opportunità economica, il mondo della musica popolare si sta rivitalizzando anche perchè ci sono dinamiche nuove.
Ti faccio un esempio. Anni fa i giovani si vergognavano a cantare a tenore, addirittura venivano etichettati e derisi dai loro coetanei. “Canti come un vecchio pecoraio” si sentivano dire da chi magari suonava il pop a pieno volume. Oggi tutto questo per fortuna non accade più e quindi assistiamo ad una rinascita del canto popolare. In ogni caso hai centrato un aspetto reale del problema, ci sono anche quelli che prendono due lezioni in croce, imparano tre accordi e si buttano sul mercato. Ma di strada ne fanno poca, la selezione si fa sempre sulla qualità e sulla bontà del progetto che anima un musicista.
C’è poi anche un’offerta che arriva dalle scuole; per quanto io promuova la scuola posso dirti che chi esce dal Conservatorio dopo avere fatto canto popolare non sarà mai comunque genuino come un cantore che la musica l’ha imparata sul campo.
Anche nel jazz vediamo qualcosa di analogo. C’è una nuova ondata di laureati in jazz composta da bravi interpreti ma c’è anche una larga fetta di diplomati che punta al raggiungimento di quello che io chiamo “il piano B”. Ovvero il conseguimento dei titoli che poi ti consentono di accedere all’insegnamento, magari alla scuola civica di musica del tuo paese. E visto che il titolo attribuisce la precedenza accedono prioritariamente all’insegnamento, lasciando alle proprie spalle musicisti con anni di esperienza sul campo che in concerto riempiono le sale e le piazze.
Non è semplice dare un peso specifico al talento rispetto alla costanza ed alla preparazione accademica.
Secondo me i musicisti sono classificabili in due grandi categorie. Coloro che sono dotati di un talento puro e coloro che invece si applicano con successo negli studi, talento non ne hanno ma a furia di battere e battere riescono a completare il proprio percorso di apprendimento. Il talento non lo acquisiranno mai perchè non viene consegnato in una borsa insieme al diploma, però potranno comunque fare la loro strada nel mondo della musica.
Io mi concentro su coloro che hanno un talento genuino e che vanno aiutati. E’ necessario che incontrino insegnanti capaci di rendersi conto delle loro doti, che li aiutino a conoscere se stessi e che permettano loro di capire se queste peculiarità posso sposarsi ad una carriera compiuta nel mondo della musica. Non è sufficiente avere talento e nemmeno solo studiare per potere salire sul palcoscenico. Devi avere dentro il “fuoco”.
Conosco diversi talenti puri che non sono stati in grado di avviare una carriera vincente semplicemente perchè dentro di loro mancava la volontà di cercarla e di viverla con determinazione.
Potresti aiutarli almeno a muovere i primi passi, se non si buttano loro spingili tu.
No, se dentro di te non hai il fuoco non posso aiutarti. Perderemmo tempo in due. Ci sono persone dotate che a venticinque anni non hanno mai messo un piede sulle tavole del palcoscenico perchè non ne hanno mai sentito l’attrazione o la necessità.
Come posso aiutarti se in te manca la voglia spasmodica di salire alla ribalta? Io a sedici anni ero in giro a cantare, non per passatempo giovanile, ma regolarmente pagata. Lo facevo perchè sentivo un’attrazione potente verso il pubblico e dentro di me era forte il desiderio di condividere il mio canto.
Caratterialmente non tutti sono così predisposti.
Tu puoi essere la persona più introversa del mondo ma quando sali sul palco devi trasformarti in qualcosa di diverso e sentire il fuoco che avvampa. Se non accade potrai essere un grande musicista ma quello non sarà mai il tuo lavoro. Studia, ascolta, insegna se vuoi, ma lascia il posto sul palcoscenico a qualcun altro. Potrai trovare una collocazione alternativa e prendere il tuo stipendio; lo stipendio fisso, la rovina dell’arte!
Devi avere la voglia di costruire un progetto, tracciare una via, metterti in gioco senza paracadute. Una cosa è puntare tutto su te stesso, altro è suonare a chiamata ogni tanto sapendo che comunque la pagnotta è garantita. Se non scommetti tutto su te stesso non vinci la mano.
Guardando alla tua vita professionale, un rimpianto, un rimprovero ed un obiettivo.
Rimpianti non ne ho, ho sempre voluto fare la musicista e sono riuscita a realizzare il mio sogno. Non ho mai desiderato diventare quel genere di musicista che compare sulle copertine dei giornali, così come non ho mai dato ascolto a coloro che al Conservatorio mi dicevano che ero una pazza a sprecare una voce come la mia per cantare in sardo.
E’ vero, la mia era una voce particolare, molto rara, ero un soprano drammatico capace di fare il repertorio anche del mezzosoprano ed in parte del contralto, avevo davanti a me una carriera ricca di soddisfazioni, anche economiche. Una voce scura come la mia è estremamente rara ma finiti gli studi non ho avuto dubbi riguardo quale strada intraprendere. Amavo la lirica, mi piace ancora, ma non mi piaceva il mondo che ruotava intorno al teatro lirico, la solitudine della lirica che isola l’interprete.
Puoi studiare nel dettaglio un’opera salvo poi doverla interpretare come il direttore d’orchestra o il regista impone. Io amavo calcare il palcoscenico portando la mia libertà interpretativa, una libertà che è risultata in tutta la mia carriera qualcosa di impagabile.
Un rimprovero verso me stessa forse si, sono pigra. Ma non nel senso comune del termine, anzi io lavoro dal mattino alla sera spesso senza sosta. Pigra nel programmare il mio lavoro, forse sarebbe meglio dire che non sono particolarmente metodica. Non sono una persona che pianifica a tavolino, “quest’anno un disco, 20 concerti, dieci trasferte” etc etc. E poi l’anno successivo via ancora, tutto pianificato, tutto preordinato. Io ho sempre fatto un disco quando sentivo dentro che era arrivato il momento di esprimermi in un certo modo, indipendentemente dalla programmazione più opportuna. Posso fare un disco oggi e poi il prossimo tra sette anni oppure farne tre in un anno. Seguo il mio fuoco, non il calendario delle vendite.
Questa è la mia pigrizia, la mancanza di quella cadenza che porta alcuni musicisti a pubblicare con una precisione svizzera, finito un disco via subito a prepararne un altro affinché risulti pronto esattamente quando è stato programmato. A queste cose non penso proprio.
Anche nel mio mondo ci sono aspetti che proprio non digerisco e che mi danno un gran fastidio, inizio a chiedermi se questo mio fastidio non sia forse dovuto all’età che avanza e che mi rende meno interpretabili i nostri tempi e le nuove generazioni. Ad esempio inizio ad essere veramente infastidita dalla facilità che hanno i giovani di farsi omologare dagli stereotipi della musica popolare.
Le solite cose, una chitarra acustica, un cajon, la cantante possibilmente con i capelli lunghi da fare svolazzare ed i piedi scalzi. Potrei anche far finta di nulla se almeno dimostrassero di avere un’idea di quello che stanno facendo, quello che mi scandalizza è vederli all’opera così attrezzati senza però avere l’essenza. Quando sento un/una cantante che non ha la più pallida idea della vocalità, del suono, di quello che sta cantando… questo mi disturba tremendamente.
Quando parlo di fastidio crescente non parlo solo dell’ambito musicale ma della vita in generale. Non riesco ad esempio a capacitarmi di quanto sta accadendo con la guerra, non riesco a capire come sia potuto succedere e come non si trovi un politico che abbia un minimo di cervello in questo frangente così drammatico. Possibile che solo papa Francesco abbia la statura morale per dire le cose che vanno dette? In tutto il mondo, non è problema solo italiano. Fosse un problema italiano potrei dire ”faccio le valigie e vado”, ma è così in tutto li mondo. Queste cose mi angosciano molto.
L’unico obiettivo che mi è rimasto è far si che tutto ciò che abbiamo fatto, Andrea, Maria, io ed altri sia considerato il tracciato di una via da percorrere con passione anche in futuro. Vorrei girami e vedere dietro di me non una o due persone che seguono questa via, ma un bel gruppo di giovani di talento.
Bene, allora voltati e dimmi chi vedi.
Ci sono in Italia giovani che amo molto, prima tra tutti Alessia Tondo che conosco da quando era bambina, penso che sia la migliore giovane cantante popolare in attività, lei ha tutta la cultura necessaria per fare grandi cose. In lei trovi il sapere antico e la conoscenza moderna della professione.
Un altro che apprezzo molto è Davide Ambrogio, uno dei più dotati in assoluto, poi le due componenti del Duo D’AltroCanto (Giulia Prete – Elida Bellon), straordinarie.
Avrai notato che non ti ho dato nomi sardi; abbiamo tantissima gente che canta in sardo, anche interpreti di talento, ma non usano le proprie potenzialità nel modo che io ritengo giusto per fare carriera. Hanno magari un successo notevole in Sardegna, nelle sagre e nelle piazze, ma poi non li vedi mai in un concerto che sia degno di essere chiamato concerto.
Grazie Elena, buon lavoro e buona vita.
La musica popolare è la musica del mondo