Verso la fine dello scorso mese di marzo ho avuto il piacere di presentare su questa testata una delle più titolate e vincenti atlete italiane, Alessia Zecchini.
Pluridecorata a livello mondiale, Alessia ha stabilito una lunga serie di primati in una specialità sportiva tra le più impegnative, l’apnea.
Prima di proseguire nella lettura di questa pagina vi suggerisco di guardare la nostra chiacchierata di marzo, penso che possa risultare molto utile per conoscere un po’ meglio chi è Alessia oggi.
Il 19 di luglio (premiere il 22 gennaio al Sundance Film Festival) la piattaforma internazionale di entertainment NETFLIX ha messo a disposizione dei propri abbonati un film-documentario dal titolo “The deepest breath” (respiro profondo) che vede come protagonisti due grandi personalità del mondo dell’apnea, Stephen Keenan e proprio Alessia Zecchini.
Un’ora e quarantasei minuti, una fotografia incisiva e pulita (Tim Cragg), una regia e una sceneggiatura (Laura McGann) che non indugiano mai sui passaggi più emotivamente coinvolgenti alla mera ricerca del facile apprezzamento del pubblico, questa produzione è leggibile su diversi piani.
Un documentario? Si, forse si. Anche un documentario, ma non solo. E’ certo che chi si avvicina per la prima volta al mondo dell’apnea agonistica profonda riceve progressivamente, con lo svolgersi del racconto, una serie di nozioni tecniche che aiutano a muoversi in un ambiente sportivo poco conosciuto.
Un film? Si, certamente. Non mancano gli elementi caratteristici della narrazione, una storia, personaggi ben identificabili, luoghi e circostanze che creano una trama.
Eppure questo “The deepest breath”, pur avendo tratti da film e passaggi da documentario, è qualcosa di diverso. Ci sono elementi nella narrazione e nella costruzione della sceneggiatura che ne rendono difficile una catalogazione certa e definitiva. Penso che si tratti di una situazione voluta e non casuale.
Le storie di Stephen e Alessia viaggiano inizialmente separate. Esistono elementi comuni nella vita dei due protagonisti, ma le loro esistenze si sviluppano su canovacci totalmente autonomi. L’elemento acqua, il mare, sullo sfondo delle loro esperienze rumoreggia, come una melodia suonata leggendo l’indicazione “pianissimo” sullo spartito.
A un tratto entrambi giungono ad affacciarsi al mondo dell’apnea agonistica e i loro percorsi, sempre ben distinti, iniziano a disegnarsi in parallelo.
Un giorno si intersecano, si legano, si intrecciano. Si strappano. Chi ha fede potrà vedere in tutto ciò un disegno superiore, altri vi scorgeranno il rotolare dei dadi lanciati dal caso.
Stephen Keenan era un apneista di valore, un atleta che con il passare degli anni si è dedicato alla sicurezza in mare degli agonisti che partecipano alle più importanti manifestazioni di immersione profonda in apnea. Era un safety-diver, un irlandese coraggioso, un uomo caparbio e dotato di una generosità fuori dal normale. Apprezzato, stimato, amato.
Alessia Zecchini è, oggi, una campionessa che il mondo ci invidia. Guardandosi indietro si scorge alle sue spalle una fanciulla dai grandi occhi azzurri, tenace, caparbia, una sognatrice che ha saputo tenere il punto nei momenti più importanti della propria crescita, personale e sportiva. Sino a giungere al momento nel quale ha visto, con chiarezza, la via da percorrere nel “modo giusto”.
Riguardo la storia narrata in “The deepest breath” penso che sia inutile farne qui una stiracchiata sintesi. Questo lavoro ha ricevuto in tutto il mondo un consenso molto elevato, ha raccolto critiche, commenti, ha sollecitato domande. La cosa migliore è guardarlo, lanciandosi dal blocco di partenza che si preferisce.
Si può guardare alla storia personale dei protagonisti, si può approfondire la conoscenza di un mondo sportivo che ai più è semisconosciuto, si può godere della fotografia. Ci si può lasciare coinvolgere come si può tranquillamente rimanere distaccati, come spesso accade quando si volge lo sguardo ad ambienti che ci appaiono lontani anni luce.
Il fatto è che in questo prodotto editoriale ci sono tutti gli elementi che ciascuno di noi ha avuto modo di sperimentare nella propria vita; il sogno, la paura, la gioia, il dolore, l’ambizione, la delusione, la rabbia, il senso di smarrimento, il brivido che si prova quando si capisce di essere arrivati là dove il destino aveva deciso di condurti.
Una volta dato il play “The deepest breath” ti prende e non ti lascia più.
Rimane, inutile fare finta di nulla, il dibattito eterno sull’opportunità del praticare discipline sportive che hanno nel proprio dna una quota di rischio molto elevata. L’apnea è una di queste, il docufilm non nasconde nulla al riguardo. Ma analogo ragionamento si potrebbe abbinare all’alpinismo e ad altre innumerevoli specialità sportive.
Confesso che io stesso a volte, pur essendo affezionato ad Alessia, guardandola mentre si tuffa nel blù, mi chiedo dove abbia mai perduto qualche venerdì…
Ma nel vederla risalire capisco che ciascuno di noi ha un proprio limite, ciascuno di noi ha il diritto di provare ad alzare la propria asticella, preparandosi con coscienza ciascuno di noi può ambire a salire (in questo caso a scendere) verso la propria meta.
Ci sarebbe poi da approfondire il rapporto che intercorre tra la prestazione agonistica, la simbiosi con l’elemento acqua, l’amore per la natura che ti accoglie.
Guardando “The deepest breath” questo profumo di sabbia e di mare si percepisce; vi auguro una buona visione.