A questo serve il corpo

A questo serve il corpo

Abbiamo partecipato, con grande piacere, alla presentazione ufficiale del nuovo libro di Roberta Scorranese “A questo serve il corpo. Viaggio nell’arte attraverso i corpi delle donne” che si è tenuta il 7 settembre presso la sede di Palazzo Belgiojoso a Milano.

Per parlarne partiamo proprio dal luogo (il termine tanto in voga di location trattandosi di un punto iconico di Milano per questa volta lo lasciamo perdere), dalla sua storia e dai suoi meravigliosi ambienti.

Villa Belgiojoso viene edificata,  lungo l’attuale via Palestro, su progetto di Leopoldo Pollack tra il 1790 e il 1796 come residenza del conte Lodovico Barbiano di Belgiojoso, di ritorno a Milano dopo un’importante carriera nella diplomazia europea al servizio della casa d’Austria. Poco dopo essere stata ultimata, la Villa passa nelle mani dei Francesi divenendo anche residenza del governatore militare di Milano, Gioacchino Murat, e sontuoso scenario di pranzi e feste da ballo.

Nel 1804 è il vicepresidente della Repubblica Italiana Melzi d’Eril ad acquistare la Villa dagli eredi Belgiojoso per farne dono a Napoleone, nella cui occasione prende il nome di “Villa Bonaparte”. Nel 1806, dopo aver accolto ospiti illustri quali Camillo e Paolina Borghese e Letizia Ramolino, madre dell’Imperatore, la Villa diventa residenza della coppia vicereale formata da Eugenio di Beauharnais, figlio adottivo di Napoleone, e dalla principessa Amalia di Baviera, i quali, preferendola alla reggia, promuovono un grande intervento decorativo che interessa il piano superiore.

La vicenda della Villa, conclusa sul piano artistico, prosegue su quello storico parallelamente alla storia di Milano: residenza del maresciallo Enrico di Bellegarde all’alba della Restaurazione; luogo in cui si firma la cosiddetta “Pace di Milano” (documento con cui il 6 agosto 1849 è decretata la resa della città all’Austria nella persona del maresciallo Radetzky, poi governatore generale del regno Lombardo Veneto e a sua volta abitante della Villa, tra il 1857 e il 1858); dimora di Napoleone III. Accoglie infine il maresciallo Vaillant, comandante dell’esercito francese in Italia all’alba dell’Unità. Dopo l’Unità la Villa viene assegnata alla Corona d’Italia ed entra in un lungo periodo di relativo abbandono. È solo grazie al passaggio al Demanio comunale, nel 1920, che si dà avvio all’importante trasformazione dell’edificio storico in sede della Galleria d’Arte Moderna di Milano, inaugurata nel 1921.

L’edificio presenta un’imponente facciata neoclassica, caratterizzata da colonne ioniche, cornici decorate e un grande portale d’ingresso. L’interno del palazzo è altrettanto affascinante, con stanze elegantemente arredate e decorazioni d’epoca. Uno dei punti salienti dell’edificio è la scala principale, un capolavoro di design neoclassico.

Salita la scalinata che porta alla sala scelta per la presentazione (la “sala da pranzo” sovrastata dal celebre dipinto Il Parnaso di Andrea Appiani realizzato nel 1811) il passo rallenta per lasciarci il tempo di ammirare lo spazio espositivo dedicato al pittore Francesco Hayez.

Qui troviamo il ritratto di Alessandro Manzoni, il più celebre, il più amato da don Lisander. 

«Ieri il ritratto è andato sulla cornice ed è un portento di somiglianza. Tutti, donne e servitori, Pietro, Enrico, Sogni dicono che l’Hayez ha stampato la faccia di Alessandro sul quadro! L’è, dicono tutti, un portento dell’arte» furono le parole pronunciate nel vederlo da Teresa Borri Stampa, la seconda moglie di Manzoni.

Venti passi ancora alla ricerca di Roberta Scorranese e alla nostra sinistra appare, con tutta la sua potenza espressiva, “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo, esposto al GAM dal luglio del 2022. Verrebbe da dire, qui termina l’Ottocento, benvenuti nel nuovo secolo.

Anche se questi ambienti meriterebbero una sosta ben più lunga, è il caso di non indugiare oltre. La sala dove Roberta attende i propri ospiti è piena, molti assistono in piedi, alcuni si accontenteranno di ascoltare pur senza vedere i relatori, tendendo l’orecchio dalle sale adiacenti.

A questo serve il corpo. Viaggio nell’arte attraverso i corpi delle donne è un volume pubblicato nella collana Overlook per i tipi di Bompiani. 

Roberta Scorranese è una delle firme più brillanti del Corriere della Sera, dove si occupa di temi culturali e di attualità. Abruzzese doc di Valle San Giovanni, abita da diversi anni a Milano, in una casa di ringhiera piena di luce, di libri e felicemente priva di televisore.

È direttrice scientifica del Master Arte e Beni Culturali presso Rcs Academy Business School.

Dopo “Io non sono pazzo. Splendori e miserie di Salvador Dalì” del 2004 e “Topografie interiori” del 2020 (scritti in tandem con altri autori) Roberta Scorranese ha firmato in solitaria nel 2019 “Portami dove sei nata. Un ritorno in Abruzzo, terra di crolli e miracoli” (Bompiani), riscuotendo un ottimo giudizio della critica e un apprezzabile successo nelle vendite.

Questo ultimo lavoro di Roberta Scorranese non è semplice da vincolare con una sola definizione in quanto unisce diversi registri di narrazione. E’ in parte un saggio e nel medesimo tempo un romanzo, un insieme di singoli quadri che avvicinati tra di loro restituisce al lettore un’immagine d’insieme appagante.

Il rischio di scivolare nel cliché dell’opera didattica è stato evitato con successo, troppo forte sono l’istinto e la formazione giornalistica della Scorranese per cadere nel giochino del “io ti insegno e tu lettore impari”. 

“A questo serve il corpo. Viaggio nell’arte attraverso i corpi delle donne” è un reportage di viaggio, un viaggio nel quale una guida preparata accompagna il proprio lettore nel cogliere sensazioni, emozioni, riflessioni, turbamenti, tracciando la propria road map attraverso l’osservazione dei corpi nell’arte.

Non è solo il titolo dell’opera a riportarci all’idea del viaggio, sono anche le parole dell’editor (madre putativa di questo libro) a testimoniarlo. Scrive a tal proposito Giulia Ichino: “Avere un corpo o essere quel corpo? Guardare un’opera d’arte o ascoltarla, e lasciarsene interpellare? Roberta Scorranese ha scritto un libro coltissimo ma al tempo stesso profondamente anti intellettuale, un viaggio nel quale l’arte e la vita sono parte di una continua ricerca di senso, e la bellezza nasce da un’emozione che trova nel corpo la forma della sua libertà”.

La presentazione, ben moderata dalla giornalista del Corsera Katia D’Addona, è stata introdotta da Paola Zatti (Conservatore Responsabile GAM) e si è avvalsa degli interventi dell’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Tommaso Sacchi e del Direttore del Polo Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Milano Gianfranco Maranello.

Katia D’Attona e Roberta Scorranese

Potremmo perderci per ore nell’analisi di questo libro, osservando in controluce ogni opera che viene trattata; non ci lascerebbe però probabilmente mai quel rammarico che nasce dall’avere voluto ad ogni costo suggerire un metodo per assorbirne le parole. 

Meglio trascrivere la presentazione proposta dalla casa editrice.

“Il 10 marzo 1914, a Londra, la suffragetta Mary Richardson impugna un coltello e lo affonda nella schiena di una donna di divina bellezza, nuda e intenta a guardarsi allo specchio: è la Venere Rokeby di Diego Velázquez, conservata alla National Gallery. Quel gesto di una donna contro un’altra donna, sia pure dipinta, mira a colpire il simbolo della femminilità vista dai maschi, della bellezza tenuta lontana dalla storia. Anche a questo serve il corpo: a rispecchiarsi, a ribellarsi. Roberta Scorranese mette al centro della sua riflessione il corpo femminile e le rappresentazioni che ne hanno fatto i massimi artisti di tutti i tempi (tra le altre, la regalità popolana ritratta nella Madonna del Parto di Piero della Francesca, l’antimichelangiolesca pienezza della Woman Eating di Duane Hanson o il dolore monumentale di Diego e io di Frida Kahlo) ma anche la fisicità di donne a noi più vicine, ciascuna con il suo segreto e la sua unicità. Insieme a quella del corpo, emerge con chiarezza in queste pagine la centralità dello sguardo, che fruga le superfici in cerca di una verità più profonda. Fondamentale è saper guardare, saperci accostare all’arte con la stessa sete con cui ci avviciniamo a un corpo amato: con turbamento ed emozione, disponibili a essere trasformati da ciò che vediamo e a lasciar scaturire da ogni incontro nuove storie. Perché a che cosa serve, questo nostro corpo, se non a essere la forma di una intima felicità? Le donne dipinte, le donne reali, le donne come visioni in questo libro ci dicono che felice è il corpo capace di cambiare, di non rimanere immobile, di essere guardato senza perdere il proprio mistero, di amarsi prima di essere amato, di farsi luce dentro una tela o voce dentro un racconto. 

Il volume contiene un inserto a colori con riprodotte le opere raccontate”. 

Quanto tempo si passa mediamente davanti a un’opera d’arte quando si visita un museo? Roberta Scorranese si è documentata e ci dice “un minuto”. Una nota pubblicità di un’autovettura, che passa di continuo in televisione, ci ricorda che “bastano soli sette secondi per scatenare un’emozione”.

Con “A questo serve il corpo. Viaggio nell’arte attraverso i corpi delle donne” ci si può permettere il gran lusso di dilatare voluttuosamente questi tempi. Mettetevi comodi. Prendetevi il vostro tempo. Leggetelo con calma, accettate la sfida, fatevi provocare dall’arte e dalle sensazioni che l’Autrice cerca di stimolare in voi.

Fatelo vostro questo libro. Tutti i grandi filosofi si son spesi alla ricerca dell’anima. Recuperare il senso del corpo, in particolare nei tempi che stiamo vivendo, è un suggerimento molto suggestivo.

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