MARAN (PD) OGNI TANTO L’EUROPA SA STUPIRE

MARAN (PD) OGNI TANTO L’EUROPA SA STUPIRE

Pierfrancesco Maran (1980) nasce a Milano e cresce nel quartiere di Porta Venezia. Dopo il liceo Volta si laurea in Scienze Politiche alla Statale e inizia l’attività professionale di consulente aziendale. 

Eletto la prima volta nelle istituzioni giovanissimo, qualche mese prima della maturità liceale, è consigliere della Zona 3 di Milano per due mandati occupandosi principalmente delle tematiche legate alla sosta e ai parcheggi e della difesa e dello sviluppo del territorio. Nel 2006 diventa consigliere comunale di Milano. Durante il mandato è membro della Commissione mobilità e ambiente del Comune di Milano. Nelle elezioni comunali del 2011 è il secondo candidato più votato del Partito Democratico ed è l’Assessore più giovane della Giunta Pisapia con delega alla Mobilità, Ambiente, Acqua pubblica, Energia e Metropolitane. Nelle elezioni comunali di Milano del 2016 è di nuovo il secondo più votato ed è confermato in Giunta, con deleghe a Urbanistica, Verde e Agricoltura. Nel 2021 si ricandida a sostegno del Sindaco Beppe Sala come capolista del Partito Democratico e grazie a più di novemila preferenze risulta il più votato addirittura di tutta Italia. Il 12 ottobre 2021 Beppe Sala, rieletto sindaco, lo conferma nella nuova Giunta. 

Fonte wikimilano.it

Lei ha quasi 44 anni, in politica a questa età si è ancora “un giovane” se paragonato ai “grandi vecchi” che nei partiti scollinano quote anagrafiche ben più alte. Nel medesimo tempo può vantare un’esperienza sul campo ultra ventennale. Faccia finta che io sia sbarcato questa mattina da Marte e mi racconti cosa è questo Partito Democratico, patria di correnti, cacicchi e capibastone.

Esistono due modi di vedere il Partito Democratico. Uno è quello che esce soprattutto sui giornali e che viene raccontato così come lo ha decritto lei. Viene a volte anche spontaneo perdersi un pochino nella parte più gossippara della politica.

Poi però, secondo me, c’è anche una seconda anima del Partito Democratico. Il Partito Democratico che di fatto governa buona parte dei comuni italiani e lo fa nella stragrande maggioranza dei casi non con i cacicchi ma con persone che hanno lottato una vita per mantenere relazioni sociali, senso di comunità o per provare a innovare trovandosi in luoghi con condizioni economiche difficili. Ed è un partito che ogni tanto riesce ancora a intercettare i sogni delle persone, il problema è che ultimamente tutto ciò è accaduto di meno.

A me ha consentito di vivere alcune delle esperienze anche umanamente più belle di sempre. Io credo che un momento come la vittoria di Giuliano Pisapia nel 2011 difficilmente lo rivedremo, così come in alcuni momenti anche l’esperienza di governo è stata esaltante, sapevamo che stavamo provando a cambiare il Paese.

Poi ci sono altri momenti dove il vento non tira e dove hai l’impressione che la voglia di cambiare diventi un’occupazione del potere fine a se stessa. E lì la politica diventa tutta meno interessante e il PD diviene ancora meno interessante proprio perché, a differenza di buona parte degli altri partiti, il Partito Democratico prova a farti una promessa di cambiamento e quando la manca è un problema maggiore rispetto a chi nulla promette.

Nelle elezioni comunali milanesi del 2011 è il secondo candidato più votato del Partito Democratico, in quelle del 2016 è di nuovo il secondo più votato, nel 2021 si ricandida come capolista del PD e grazie a più di novemila preferenze risulta il più votato di tutta Italia. Ben sapendo che lei ha sempre praticato un gioco pulito, mi spiega in quale modo riesce a far confluire sul suo nome un numero così elevato di consensi?

Questa è una bella domanda e le dirò che io mi interrogo sempre sul perché sono riuscito a prendere tanti voti, quando magari persone che reputo valide non ci sono riuscite. Penso che come in tutte le attività ci siano anche degli elementi difficili da spiegare. Nel perché le persone fanno una scelta piuttosto che un’altra credo che influiscano comunque degli elementi importanti.

Intanto io ho applicato una politica che è sempre stata testimonianza. E’ un impegno che è partito dal liceo, proseguito nel consiglio di zona, in cui le persone mi hanno misurato strada facendo. Credo che il passaparola abbia contato nell’attribuzione della preferenza, preferenza che è un tema che riguarda anche la fiducia.

E poi penso, negli anni da assessore, di avere raccontato un’idea di futuro della città. Credo che tutto ciò sia stato apprezzato. Quando sono arrivato a quasi 10.000 voti facevo un calcolo e mi dicevo  “chi saranno? Io sulla rubrica del telefono ho meno di 2.000 persone”. 

La politica è anche condivisione e sono convinto che questo modello vada difeso rispetto a tante altre esperienze che scalano e spariscono molto più rapidamente.

Leggo le sue deleghe in seno alla Giunta comunale di Milano: politiche per la casa, politiche per l’edilizia residenziale pubblica e l’housing sociale, piano triennale opere pubbliche, progettazione e realizzazione degli interventi di arredo urbano, piano quartieri, gestione dei grandi eventi. Ho davanti a me l’uomo che sta ridisegnando Milano. Cosa ha trovato assumendo questo incarico e cosa le piacerebbe lasciare a fine mandato?

Guardi, adesso sono due anni e mezzo che ho questa delega, nelle precedenti due amministrazioni avevo deleghe differenti. Prima ho avuto la delega alla Mobilità e all’Ambiente, successivamente all’Urbanistica e Verde e adesso alla Casa. Credo che sia l’evoluzione di un percorso. Soprattutto la prima volta, quando passai dalla Mobilità all’Urbanistica, all’inizio ero un po’ dubbioso.

Quando Sala mi disse “vorrei che tu facessi una cosa diversa”, io ci pensai bene. Pensavo “caspita, se fai per dieci anni l’assessore alla mobilità di Milano, potenzialmente diventi il più grande esperto di mobilità urbana europeo”. Mi chiedevo perchè cambiare. Mi sono fidato di lui e penso di avere fatto bene perché questi cambi mi hanno consentito di vedere la città da diverse prospettive.

Se mi consente la banalizzazione, perché ovviamente il pensiero è un po’ più complesso, alla Mobilità ci si applica affinché le persone si muovano meglio. Quando vai all’Urbanistica ti domandi “perché si spostano?”.

Attraverso la delega alla Casa in questi due anni e mezzo ho potuto osservare un pezzo di città che se non la vai a cercare, rischi di non vedere. Chi abita nelle case popolari non ha vissuto il cambiamento di Milano dell’ultimo decennio e questo fatto li ha posti in condizione di avere sogni e problemi diversi da quelli degli altri cittadini.

Quello della casa pubblica è un sistema che o si rivoluziona o rischia di morire. E sarebbe un peccato dal punto di vista sociale soprattutto perché per la città di domani la casa pubblica è davvero essenziale.

Salone di questo, esposizione di quest’altro, fiera X, manifestazione Y, settimana della moda e così via. Milano attrae investitori, espositori, visitatori, Milano è un crocevia di interessi economici di primo livello.  Durante i grandi eventi trovare un alloggio richiede un certo impegno, la città è spesso sold out. Per contro se una giovane coppia cerca una casa in affitto o prova ad acquistare un bilocale in città deve entrare nell’ottica di vendersi un rene. Se sei un single o uno studente la cosa si complica ulteriormente. Non pensa che sia giunto il momento di toccare un po’ il freno e riequilibrare le cose?

La realtà è ancora più complessa. Di fianco a questa sua lettura di una città respingente, che non è solo la sua, Milano sta diventando una città in cui la popolazione cresce e in cui i giovani aumentano. Evidentemente alcuni tipi di giovani, non tutti. 

Le letture semplificate sulle città rischiano sempre di essere fuorvianti. Oggi le città con le caratteristiche di Milano, perché il fenomeno è globale, stanno continuando ad attrarre una marea di persone, molte più di quelle che se ne vanno. Si sta creando un modello di sviluppo che se non viene aggiustato rischia di diventare poco sostenibile e respingente per alcune fasi della vita.

In particolare noi attraiamo giovani e successivamente li espelliamo nel momento in cui vogliono diventare “famiglie”.

Non credo che questo debba passare da una critica del decennio passato, anche perché in Italia abbiamo tutto il resto del Paese che ti dimostra cosa significa “non crescere”. Milano nell’ultimo decennio ha avuto una crescita straordinaria che le ha consentito di ottenere dei risultati importanti e per questo è diventata il sogno di molti.

Oggi, secondo me, in questo decennio post pandemia, Milano deve porsi degli obiettivi diversi. Chiedersi “come li tratteniamo, come costruiamo il futuro, come aumentiamo la solidità delle basi relazionali?”. Ogni decennio ha una sua storia e degli obiettivi specifici. Quando abbiamo iniziato a lavorare con Pisapia lo slogan era “Milano come Berlino”.

Avevamo l’impressione di vivere in una città asfittica e provinciale, in effetti la Milano del primi anni duemila era così, e in quella direzione abbiamo operato. Oggi sarebbe uno sbaglio proseguire con gli stessi obiettivi, ne vanno individuati di nuovi, anche se attualmente è molto difficile costruire un’alleanza sociale che punti alla realizzazione di questi nuovi traguardi.

Il decennio passato è stato un decennio di successo perché esisteva un’alleanza sociale che chiedeva proprio quell’idea di città.

Vorrei tornare per un momento al Partito Democratico. Pierfrancesco Maran, Lia Quartapelle e Pietro Bussolati sono tre giovani ragazzi che, in un negozio fronte strada, nel 2008 avviano un nuovo circolo. Il circolo 02PD in breve tempo diventa il più grande di Milano e soprattutto diventa un luogo di sperimentazione politica che fa tendenza. Cosa vi eravate inventati?

Avevamo voglia di cambiare il mondo. Eravamo partiti dentro i DS con una sezione itinerante che si chiamava “La sezione che verrà” e aspettavamo l’arrivo del Partito Democratico.

E quindi quando il PD è arrivato noi non abbiamo avuto dubbi, volevamo essere lì e volevamo una sede su strada perché questo rappresentava perfettamente il nostro modo di fare politica. La nostra sede, meno di 15 metri quadri, ha il più alto tasso di iscritti per metro quadro dell’intero Far West.

Quando abbiamo cominciato eravamo all’opposizione a Milano e  ci sembrava impossibile potere vincere. Ci sentivamo all’opposizione anche dentro il Partito Democratico perché immaginavamo un partito più dinamico di quello che stava nascendo. Eravamo quelli che si potrebbero definire nativi democratici, anche se alcuni di noi venivano dai DS.

Per alcuni anni siamo riusciti a creare uno stile unico di fare politica. Anche il volere chiamare il circolo 02, che è il prefisso di Milano, nasceva dall’ambizione, poi magari non del tutto realizzata, di essere un centro di aggregazione per tutta l’area metropolitana, non solamente per la città. Al netto delle carriere mia, di Pietro e di Lia, per alcuni anni siamo riusciti a incidere significativamente sull’anima del Partito Democratico milanese e forse anche sulla vittoria del 2011 e sulla seguente stagione di governo.

Mi pare di avere visto in giro per la città qualche manifesto elettorale relativo alle imminenti elezioni europee, il candidato ritratto le somigliava molto. Quindi si getta nuovamente nella mischia elettorale, mi dia allora tre motivi per votarla. Le chiedo solo la gentilezza di evitarmi le solite banalità tipo “per il bene della comunità”, “per la famiglia” etc etc. Sia concreto, tre obiettivi da raggiungere se eletto a costo di mangiare un gatto vivo.

Il gatto lo lasciamo vivo… Allora, perché votarmi?

Partiamo da Milano, perché un elettore  di Milano dovrebbe votarmi? Stiamo dicendo che è cambiato il decennio e che Milano deve cambiare strategia. Significa non pensarsi più come un’isola che dialoga con altre isole del mondo, Parigi, Londra, New York, ma come il centro di una realtà che deve interagire con gli altri. Abbiamo bisogno dell’Europa e abbiamo bisogno che in Europa ci sia qualcuno che conosce bene come funziona Milano e la sua amministrazione. Onestamente su questo penso di essere la persona più adatta.

Secondo, abbiamo bisogno di creare delle reti di connessione nella pianura padana. Non è più accettabile per il PD un modello nel quale vinci a Milano, vinci nei capoluoghi e perdi appena sei fuori dai capoluoghi.

Io ho dedicato gli ultimi due anni a girare la Lombardia, prima per la realizzazione del libro “Le città visibili” e poi seguendo l’ipotesi di una candidatura alle regionali e devo dire che questo giro per me è stato estremamente formativo. Mi ha fatto vedere il territorio e anche Milano da un punto di vista diverso. Penso quindi di poter dare un contributo che non si limita al comune di Milano, ma a ricreare tessuto in un territorio più ampio nella pianura padana. La mia idea è che alcune politiche, dalla qualità dell’aria alle infrastrutture, alle ferrovie, o le gestisci su una scala di dialogo con l’Europa, oppure non le riesci più a trattare compiutamente.

Il terzo motivo è che  spero di rappresentare un modo di fare politica, credo di essere stato l’unico a scrivere su un volantino come slogan “impegno, non promesse”, l’ho fatto alle comunali con Pisapia.

Credo che quello slogan mi rappresenti molto, ho sempre cercato di abbinare il lavoro allo studio, all’approfondimento, anche all’ascolto delle posizioni divergenti ed è un modo di fare politica che secondo me serve molto in Europa, forse servirebbe anche un pochino di più in un’Italia dove la politica è fatta a bolle di comunicazione.

Mi piacerebbe conoscere la sua posizione personale riguardo alcuni temi di politica internazionale che inevitabilmente dovranno essere oggetto di lavoro per il nuovo Parlamento europeo. Difesa comune e creazione di un esercito comunitario che possa prescindere dalla collaborazione degli USA per il tramite della Nato. Politica dell’immigrazione. Revisione del meccanismo di voto che consente a una singola nazione, con un singolo voto negativo, di bloccare l’assunzione di provvedimenti condivisi dalla maggioranza degli Stati. Sostegno militare all’Ucraina.

Possiamo partire dai documenti di Draghi e di Letta annunciati in questi giorni. Mi sembra che l’unica strada di evoluzione possibile per l’Unione Europea stia nel superamento dell’unanimismo e nella creazione di modalità che consentano una libertà di azione maggiore di quella che abbiamo oggi. Non le so dire se nei prossimi cinque anni ce la faremo a realizzare questi propositi, però se torniamo indietro di cinque anni con il pensiero… chi avrebbe pensato a un’Europa capace di finanziare i vaccini reagendo a una terribile pandemia oppure al Next Generation EU o alla reazione coesa rappresentata da quel famoso treno che portava i leader a Kiev. Ogni tanto l’Europa sa stupire.

Penso che arrivare alla costituzione di un esercito unico sia meglio che aumentare del 2% gli stanziamenti militari del PIL di ogni singola nazione, perché oggi la sfida vera consiste nell’avviare gli investimenti sull’innovazione, non foraggiare la spesa corrente di un sistema che speriamo tutti di non dover utilizzare. Non riesco a immaginarmi oggi un’Europa con una linea di difesa alternativa o totalmente autonoma dalla NATO o dagli Stati Uniti, penso che si dovrà sempre cercare un’alleanza strutturale. In ogni caso credo che se non si lavorerà in quest’ottica, piano piano le politiche dei singoli stati perderanno totalmente efficacia.

Siamo partiti con Enrico Letta e chiudiamo con Enrico Letta. Lui dice che l’Europa è fatta da piccoli stati e da stati che non sanno ancora di essere piccoli. L’Europa è l’unica strategia per avere ancora la possibilità di incidere su alcuni scenari, come ad esempio quello dei nostri vicini ucraini.

Davanti ad alcuni politici, come Putin, che purtroppo capiscono quasi solo il linguaggio della forza, non puoi mollare il colpo e dimostrarti stanco. Oggi c’è l’Ucraina, ma domani potrebbe esserci la Moldova e magari poi i paesi baltici. Purtroppo questo tipo di intervento militare è necessario, credo però che sia importante immaginare che non è solo l’Ucraina a essere Europa, anche la Russia stessa è Europa.

Io l’ho frequentata tanto Mosca nell’ultimo decennio e ho trovato una classe dirigente russa che si sente profondamente legata all’Europa. Credo che sia una via che va mantenuta aperta perché l’orizzonte deve essere quello di trovare un equilibrio con la Russia, sia che ci sia Putin sia per il dopo Putin, in uno scenario di pace e di coesione.

Per farlo bisogna anche avere la forza di non cedere alle difficoltà e quindi è necessario che l’Ucraina resista e si cerchi la pace, una pace che poggia su termini che l’Ucraina reputa accettabili, una pace non basata sulla stanchezza della parte offesa.

Riguardo l’immigrazione?

L’Europa si deve ripensare in uno scacchiere internazionale. E’ chiaro che noi siamo più ricchi dell’Africa ad esempio, ma è anche chiaro che siamo molti di meno e saremo sempre di meno in particolare sui giovani.

L’idea della revisione del Trattato di Dublino, dove ci immaginiamo che l’immigrazione sia esclusivamente un problema da spostare in alcune piattaforme di accoglienze esterne, mi inorridisce.

Questa idea non crea un rapporto equo con altri continenti e con persone con cui noi oggi dobbiamo provare a dialogare alla pari.

Il che non significa in alcun modo edulcorare il fatto che l’immigrazione e l’integrazione sono anche dei problemi, problemi difficili che richiedono uno sforzo costante.

Vanno trovate delle linee vere e semplici per entrare regolarmente nel nostro continente perchè abbiamo delle frontiere che sono troppo larghe da difendere.

Bisognerebbe passare da un ragionamento ideologico all’idea che in questo nuovo mondo abbiamo bisogno di trovare un dialogo per cui non esiste solamente il migrante illegale, ma esistono varie modalità legali che consentono di modulare l’immigrazione. A quel punto, reso funzionante il sistema, si potrà anche essere più rigidi riguardo il tema della clandestinità.

Il suo cuore batte per il Milan o per l’Inter? Cosa ne facciamo di san Siro?

No guardi io sono juventino…

Lei vive nel peccato però questo le consente di darmi una valutazione un pochino più distaccata sul tema “stadio”.

Io ho seguito la vicenda del Meazza dall’inizio perché ero assessore all’urbanistica e con Sala ci siamo trovati il problema che le nuove proprietà delle due squadre, che poi sono variate nel corso del tempo, non avevano nessuna intenzione di ristrutturare san Siro. E tu con questa scelta devi fare i conti, perché il Meazza senza il calcio non serve a molto.

Abbiamo cercato soluzioni alternative, ad esempio un nuovo impianto a fianco allo stadio attuale, eccetera. Oggi è tornata fortunatamente in auge la possibilità di ristrutturare il Meazza. E io credo che sia la scelta migliore, perché chiunque ama il calcio sa che ci sono pochi stadi iconici nel mondo e san Siro è uno di questi. Le due squadre lo riempiono già oggi al meglio, lo riempiono con 70-80mila spettatori, il problema è che questi spettatori pagano delle cifre diverse da quelle che vorrebbero guadagnare le squadre domani.

Penso che si possa trovare con questa nuova ipotesi di ristrutturazione un compromesso giusto, creando sulla spianata anche qualcosa che possa avere altre funzioni. Io spero davvero che si riesca a chiudere, stiamo aspettando per giugno questo studio di fattibilità fatto da WeBuild e questa mi sembra la via maestra.

I progetti per i due impianti – san Donato Milanese e Assago – non mi sembrano usciti dai radar delle società milanesi di calcio.

Io vorrei sempre vedere bene tutte le cose sotto ogni aspetto. Ho seguito l’approvazione dell’Arena di Santa Giulia che dista solo 500 metri da San Donato e ricordo tutte le obiezioni tecniche che ci hanno fatto riguardo la viabilità d’accesso all’Arena, un impianto che ha una capienza di 12-13 mila spettatori.

Ora, pensare che passi via tutto liscio per la costruzione di una struttura con una capienza cinque volte superiore, a soli 300 metri, mi sembra irragionevole. Come si è visto, ogni volta che si parte con un “progetto nuovo stadio” tutti pensano che sia una cosa di facile realizzazione, poi in definitiva nessuno ha ancora approvato la costruzione di un nuovo impianto in Italia con la legge Stadi.

Lo scopriremo alla fine dei ricorsi al Consiglio di Stato da parte dei “comitati contro”, che ci sono in qualunque situazione, qual è la procedura che funziona al meglio. Anche lo stadio del Tottenham, che è uno stadio molto bello, ha avuto una gestione di otto anni per essere approvato.

Togliamoci dalla mente i luoghi comuni e capiamo che immaginare e realizzare le modalità di accesso e di costruzione di uno stadio da più di 50.000 posti in una città occidentale è complicato dappertutto. La ristrutturazione o la demolizione e ricostruzione nella medesima posizione è la via principale che hanno scelto buona parte delle città.

San Siro è collegato da due metropolitane e da più linee tramviarie e di bus di superficie. Tutti gli altri luoghi sono a vocazione autostradale o possono avere al massimo una fermata della metro nelle vicinanze, ma quello dello stadio è un sistema più complesso da sostenere, difficile farlo con una sola linea metropolitana. Probabilmente se oggi volessimo costruire un nuovo stadio dove è ora il Meazza, non avendolo, con la rete infrastrutturale che abbiamo forse si direbbe che addirittura quell’area è insufficiente. Però è il miglior posto che abbiamo, figuriamoci gli altri.

Io spero proprio che si chiuda così e che il Meazza possa compiere un altro secolo nella nostra città, ovviamente ripensato, riaggiornato ma mantenendone la sua identità unica, che secondo me è comprensiva anche del terzo anello.

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