9 Aprile 2016
Luisa Innocenti è nata a Milano. A Milano ha conseguito la maturità scientifica e successivamente si è laureata in Fisica presso l’Università Statale discutendo una tesi sul comportamento dei materiali in presenza di microgravità. Appena laureata, a soli 24 anni, è entrata nello staff di ESA (European Space Agency) tramite il programma Young Graduate, trasferendosi poi nei Paesi Bassi. In ESA ha ricoperto diversi incarichi e dal 2012 dirige il programma Clean Space. Luisa Innocenti è sposata, ha due figlie e vive a Parigi.
L’abbiamo intervistata durante un suo soggiorno di lavoro in Olanda.
L’Agenzia Spaziale Europea o ESA (acronimo inglese di European Space Agency) è un’agenzia internazionale fondata nel 1975 incaricata di coordinare i progetti spaziali di 22 paesi europei. Il suo quartier generale si trova a Parigi, in Francia, con uffici dislocati in diverse nazioni europee.
Dott.ssa Innocenti, in estrema sintesi, cos’è l’ESA?
L’Agenzia Spaziale Europea – ESA – è un’organizzazione internazionale a cui fanno capo ventidue Paesi europei, aperta anche agli Stati che non partecipano all’Unione Europea. Ad esempio aderiscono anche la Svizzera e la Norvegia che non sono stati membri della UE. In sintesi, ci occupiamo di ricerca, progettiamo e testiamo satelliti
spaziali e lanciatori. Gli Stati membri finanziano la nostra attività e noi lavoriamo con le industrie e le università dei singoli Paesi per sviluppare la tecnologia necessaria allo sviluppo di progetti spaziali. Ogni Stato stanzia un contributo economico (i contributi non sono standard) e riceve da ESA la tecnologia che può essere sfruttata in funzione della propria capacità industriale nello spazio.
Ovviamente i risultati delle nostre ricerche sono comunque condivisi tra tutti gli Stati membri, anche perché ESA sviluppa solo progetti di grande importanza.
Progetti che nessuno Stato nazionale potrebbe portare avanti solo con le proprie forze. Se una Nazione vuole sviluppare in proprio progetti di portata limitata non si rivolge ad ESA; noi creiamo programmi di sviluppo che possono essere realizzati solo con il coinvolgimento sinergico delle capacità industriali di diversi Paesi.
Qual’è la nazione europea che ha maggiormente creduto in questi anni nello sviluppo spaziale?
Direi la Francia. Senza dubbio la Francia. A seguire metterei la Germania, l’Italia (che ha una grande capacità industriale nel settore aerospaziale), il Regno Unito ed ultimamente la Spagna. E’ comunque difficile fare una classifica in modo categorico. Influiscono molto gli andamenti delle economie nazionali; dobbiamo tenere presente che i nostri progetti hanno una durata pluriennale e quindi attraversano spesso un’alternanza di cicli economici.
Dottoressa, cosa intende per durata pluriennale?
Significa che per lanciare un satellite nello spazio passano almeno dieci anni dal momento del via al progetto. Dieci anni di lavoro, di raccolta fondi, di progettazione, di test, di revisione e controllo del progetto. Circa dieci anni.
Come vengono utilizzati i satelliti messi in orbita da ESA? Sono solo ad uso civile o ci sono anche usi militari?
L’ESA non fa nulla di collegato all’ambito militare. I suoi satelliti sono pensati, progettati e costruiti dagli Stati membri ad esclusivo uso commerciale ed in generale civile. Noi sviluppiamo i progetti per le industrie nazionali a scopo civile; se poi una Nazione decide di usare le tecnologie ad uso militare va al di là del nostro perimetro . Noi non abbiamo alcun contatto con le Forze Armate.
Ogni anno vengono venduti circa venti satelliti per telecomunicazioni nel mondo. Noi con il nostro lavoro supportiamo le aziende nazionali che sostengono ESA, affinché possano essere competitive e vincenti in queste vendite.
Quali sono i principali competitors di ESA?
Sono le agenzie delle nazioni che tradizionalmente si sono sempre occupate di ricerca spaziale. Quindi sicuramente gli americani. Fino alla caduta dell’Urss la competizione era solo tra europei e statunitensi. Dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica sono entrati nel mercato anche i russi, che prima guardavano allo spazio solo per interessi di strategia e non cercavano di competere commercialmente. E sono arrivati con offerte a basso costo. In particolar modo nel campo dei razzi lanciatori, cioè i vettori che portano in orbita i satelliti. Ad un certo punto gli Stati Uniti si sono allontanati dal mercato commerciale dei razzi lanciatori, lasciando l’iniziativa agli europei con il vettore Arianne ed ai russi. Oggi si stanno affacciando al mercato anche i cinesi.
Le diverse Agenzie Spaziali sono in competizione commerciale tra di loro. Ma sono pur sempre formate da scienziati. Tra di voi prevale la riservatezza sul lavoro svolto o la condivisione dei risultati raggiunti?
Convivono entrambe le cose. Manteniamo la necessaria riservatezza sul nostro lavoro ma ci scambiamo comunque pareri e conoscenze. Non dimentichiamo che abbiamo in comune progetti di straordinaria importanza planetaria, come la Stazione Spaziale Internazionale. Ad esempio, gli astronauti europei sono tutti dell’ESA. Su tantissime cose abbiamo progetti di cooperazione. Tenga presente che ESA ha anche uffici negli USA, in Giappone, in Russia. E che spesso i nostri scienziati ed i nostri tecnici lavorano ad esempio presso la NASA o presso l’Ente Spaziale Russo.
Non abbiamo barriere scientifiche ne tantomeno ideologiche. Comunque a monte abbiamo dei boards che ci danno precise indicazioni, seguendo le politiche estere degli Stati membri.
La cooperazione più bella è quella che vede protagonisti gli astronauti. Sulla stazione orbitante ci sono europei, giapponesi, russi, americani e si sta valutando anche un interscambio con i cinesi. Questo è un importante simbolo di cooperazione planetaria.
Lei dirige un Dipartimento molto particolare. Clean Space. Di cosa si tratta?
Nello spazio tutto sommato si lancia poco. Ogni anno lanciamo sei razzi Arianne, due
Vega, un numero tutto sommato molto limitato di satelliti. L’impatto ambientale è sempre stato considerato contenuto.
Ma alcuni anni fa alcuni di noi hanno iniziato a guardare con più attenzione all’impatto del nostro lavoro e ci siamo accorti che, così come abbiamo fatto sulla Terra, abbiamo iniziato ad inquinare anche lo Spazio con l’abbandono dei satelliti giunti a fine vita.
Normalmente un satellite sopravvive una decina di anni, poi per motivi diversi smette di funzionare e si trasforma in un relitto alla deriva.
E’ vero che lo spazio è infinito, però i satelliti gravitano quasi tutti in orbite comuni; è un po’ come se viaggiassimo tutti sulla medesima autostrada e poi lasciassimo li parcheggiata la nostra macchina quando questa si guasta o viene a finire il carburante. In queste orbite specifiche si concentrano diversi relitti e bisogna prevenire i problemi che si potrebbero venire a creare.
Stiamo parlando di collisioni tra relitti alla deriva?
Gli urti sono molto rari. Ce ne è stato uno famosissimo che si è verificato quando un satellite russo ormai non operativo ha urtato un satellite americano ancora operativo. Dato per scontato che un satellite ormai spento non è controllabile, bisogna evitare questi problemi lavorando tramite il satellite ancora operazionale, utilizzando le corrette manovre anti collisione.
Un satellite è un mix di carburante (l’idrazina) e di parti elettroniche. Quando il propellente termina o le parti elettroniche si deteriorano il satellite arriva a fine vita. Fino ad oggi i satelliti morti si lasciavano lassù. O interi oppure in piccoli pezzi, perché a volte esplodono e si frammentano.
Dobbiamo intervenire per evitare questi problemi. Siamo in una fase di alert, ovvero conosciamo il problema e non possiamo ignorarlo altrimenti in futuro ci potremmo trovare in difficoltà.
Uno scienziato americano, Kessler, ha ipotizzato uno scenario nel quale un satellite esplodendo genera una nuvola di detriti che a loro volta possono colpire e far scoppiare altri satelliti e così via. Una specie domino.
Abbiamo preso coscienza del problema ed i nuovi satelliti li stiamo costruendo in modo da poterli togliere dalle orbite a fine vita, evitando che possano esplodere.
Ma i satelliti vecchi per ora rimangono lassù incontrollati. In Clean Space stiamo progettando la missione che cercherà di togliere dalle orbite i satelliti non più operativi di maggiori dimensioni, per evitare che creino nuvole di detriti post collisione. L’ESA è l’unica agenzia spaziale civile al mondo che sta sviluppando questo progetto.
In senso assoluto il maggiore sforzo economico lo stanno facendo gli americani con la propria agenzia spaziale militare. E’ logico che avere la capacità di togliere da un orbita un satellite nemico ha una valenza militare di rilevanza assoluta.
Vedremo se la capacità tecnica di ripulire lo spazio arriverà dai tentativi dell’agenzia militare americana o da quelli dell’agenzia civile spaziale europea. Prima ci si arriva meglio è.
Anche i cinesi si stanno muovendo e si pensa che abbiano già fatto una piccola missione di prova. Ma non ne hanno parlato molto.
Chi lavora nel Dipartimento ESA Clean Space che Lei dirige?
Il gruppo è piccolo e coeso. Siamo meno di dieci. I miei collaboratori sono tutti giovani e molto motivati. Ovviamente lavoriamo in sinergia assoluta con tutto il personale dell’Agenzia Spaziale Europea e ci avvaliamo della professionalità specifica di ogni nostro collega.
Quanto costa ai Paesi membri il vostro progetto?
Entro la fine dell’anno verrà stabilita l’entità del contributo economico al progetto. Noi abbiamo stimato una somma che va dai quaranta ai cinquanta milioni di euro per realizzare una prima fase del lavoro in quattro anni. L’intero progetto potrebbe costare circa quattrocento milioni, prevedendo un lancio operativo in orbita nel 2024. Sono momenti difficili per le economie e la cifra è importante, ma non è possibile procrastinare le scelte. Il problema esiste e va affrontato.
Secondo Lei il valore del rispetto ambientale, e quindi anche dello spazio, è sentito nel mondo?
Nel mondo in generale forse no. Ma in Europa assolutamente si. In particolare modo dai giovani. E’ un valore che ci accomuna molto di più di quanto noi possiamo pensare. In Europa siamo avanti. E’ bellissimo vedere come il progetto Clean Space sia supportato dall’entusiasmo dei giovani. Il rispetto dell’ambiente, inteso in senso lato, inizia a far parte in modo prepotente della nostra identità europea.
Abbiamo tenuto delle conferenze in Germania. Sono intervenuti anche i rappresentanti dell’agenzia spaziale russa. I nostri interlocutori più anziani ci guardavano un pochino perplessi. I giovani russi ci hanno fatto mille domande, hanno chiesto i documenti della nostra presentazione, dicendo espressamente: noi ci crediamo.