Alessandro Nardin – Debussy l’esoterista – ed. Jouvence – 2016
Alessandro Nardin, è nato a Milano nel 1977. Diplomato in pianoforte a Novara, si è laureato con lode in Storia della Musica presso la facoltà di Lettere Moderne dell’Università Statale di Milano. Docente di musica presso importanti istituti paritari di Milano, è vincitore per concorso delle cattedre di Storia della Musica e Pianoforte al liceo musicale. Svolge attività concertistica come pianista e organista, sia come solista che in formazioni di insieme, accompagnando i programmi con relazioni e approfondimenti storico-musicali. Pianista accompagnatore e organizzatore di eventi, collabora con numerose associazione culturali e musicali. Studioso a livello amatoriale di dottrine esoteriche, dopo esordi nella narrativa, è alla sua prima pubblicazione saggistica.
Prof. Nardin giochiamo a carte scoperte. L’esoterismo è diventato negli ultimi anni un fenomeno molto di moda. In ogni epoca vi sono state schiere di persone pervicacemente appassionate a questo tema, e mai come oggi, queste schiere sono folte. Colpa o merito del cinema, della televisione, di film come il Codice da Vinci, di libri come quelli pubblicati da Dan Brown. E’ frequente intravedere tracce esoteriche in ogni dove. Debussy è uno dei tanti personaggi famosi ai quali fa gioco attaccare un’etichetta di mistero oppure era realmente un esoterista?
Innanzitutto occorre chiarire cosa si intenda per esoterista. Se il grande pubblico si aspetta un incrocio fra gli eroi da romanzo e personaggi come Aleister Crowley credo che le aspettative possano essere disattese. Se invece si intende qualcuno che, avendo praticato e vissuto interiormente un percorso di tipo iniziatico, ne ha tradotto i più intimi meccanismi in una visione del mondo ben precisa e, di conseguenza, in una creazione artistica coerente con questi, ecco, possiamo serenamente e senza tema di smentite affermare che Claude Debussy fu un autentico esoterista.
Debussy definisce la musica una misteriosa matematica, ma anche una somma di forze sparse. Due definizioni in apparente contrasto. La sua musica era un’ordinata e quadrata sequenza di note oppure un’anarchica composizione di energie e vibrazioni?
La “misteriosa matematica” va però inserita nel prosieguo della frase: una “misteriosa matematica i cui elementi partecipano dell’Infinito” ed è anche “responsabile del moto delle acque e delle curve delle brezze”. Numeri, energia, natura, suoni: tutto concorre verso un unico punto, un unico principio. Non c’è contraddizione, in realtà, in aspetti complementari: la contraddizione è la conferma della totalità. Mi scuso per la risposta un po’ “ermetica”, ma serve anche a capire in quale ambito di indagine ci stiamo muovendo. Ciò che alla luce di una visione razionalistica della conoscenza sembra contraddittorio, se filtrato attraverso una esperienza di tipo esoterico assume tutt’altra coerenza. Questo è ciò che emerge in Debussy: la volontà di superare gli schemi e le categorizzazioni in relazione a sé e alla sua musica. “Specializzarsi significa rimpicciolire il proprio universo”, sosteneva. E la musica è per lui un fluido vivo e vitale che esiste in relazione prima e oltre la realtà fisica sensibile. Una via privilegiata per giungere a ciò che lui ama definire “mistero”.
Io credo la lettura vada spostata a livello simbolico, con tutto quello che ne consegue. Debussy fu un simbolista.
Perché il compositore viene definito il musicista dell’acqua ?
Il rapporto fra Debussy e l’acqua supera in intensità e pregnanza qualunque altro possibile legame fra un compositore e un modello di qualsivoglia natura. Forse solo Scriabin e il fuoco possono avere analoga valenza (non per niente anche Scriabin fu un esoterista dichiarato, molto vicino alla teosofia). La stessa analisi psicologica ha rivelato nelle strutture e nel linguaggio musicale di Debussy una “fluidità” riconoscibile fin dall’ascolto. Un accostamento così consapevole va al di là dell’elenco sconfinato di titoli di composizioni dedicate all’acqua. Ma supera anche la limitativa idea biografica che si rifà alla lettera in cui Debussy ammette aver amato il mare tanto da aver dovuto intraprendere la bella carriera del marinaio. E supera soprattutto l’idea romantica del musicista “pittore di suoni”, che piega la musica inseguendo la velleità di “dipingere” o descrivere qualcosa.
Allora cosa lega Debussy all’acqua? Io credo la lettura vada spostata a livello simbolico, con tutto quello che ne consegue. Debussy fu un simbolista. E il simbolo dell’acqua, nel sapere ermetico ed esoterico, spalanca una dimensione che non può certo essere riassunta in questa risposta, né esaurita in un libro.
Lei è uno studioso della storia della musica e pertanto sa trarre emozioni anche dal solo leggere sulla carta le note. E’ anche un valente pianista ed ovviamente un ascoltatore. In quale di queste fasi (studio tecnico, interpretazione, ascolto) l’esoterismo di Claude Debussy appare più marcato?
Nel mio studio ho cercato di tenermi lontano dalle facili suggestioni: la musica di Debussy, evocativa e ineffabile, si presterebbe troppo facilmente ad ogni possibile interpretazione. Chiunque è libero di lasciarsi trasportare sulle sue note in un viaggio oltreumano: le fluttuazioni del Prélude à l’après-midi d’un faune, le opalescenze del Clair de lune, le grandiosità de La Mer… tutto potrebbe rivelare mondi sconosciuti, e tutto d’altra parte potrebbe essere piegato per suffragare le tesi di chi scrive. Il mio lavoro vuole evitare questi rischi, per cui mi sono rivolto a tre fronti di indagine. Prima di tutto quello delle frequentazioni “occultiste” del compositore, quelle reali, non quelle da best seller, estremamente rivelatrici soprattutto del periodo della sua formazione. Il secondo è quello delle lettere e degli scritti critici, la cui lettura attenta può rivelare gli squarci di una vita autenticamente esoterica: quanto rivelatore in tal senso è stato il confronto fra i pensieri del compositore e i testi fondamentali della rinascita alchemica parigina di fine Ottocento! Infine, la musica, che è stata indagata più dal punto di vista dei soggetti scelti da Debussy che da quello dell’analisi musicale, vuoi perché tanti e tanto meglio prima di me hanno scritto di tutto sui suoi capolavori, vuoi perché avrei rischiato di far dire alla musica quello che volevo dicesse. Viceversa, riflettendo sul valore simbolico di lavori dai titoli quali La Damoiselle Elue, Printemps, La Cathédrale engloutie e tanti altri, ecco che appare un quadro di gran lunga più coerente. E molto più difficile da smentire.
Per certi versi il suo libro è rivoluzionario. Si percepiscono ragionamenti e deduzioni che non si leggono frequentemente nei testi classici di approfondimento scritti nel passato su Debussy. Lei parla nelle sue pagine di un codice numerico… Speculazione o scoperta storiografica?
La scoperta relativa alla Cathédrale engloutie, argomento già di per sé pervaso di innumerevoli implicazioni simboliche ed ermetiche, riguarda l’impiego delle proporzioni auree. Che Debussy componesse le sue musiche tenendo presente una proporzionalità fra le sezioni nel senso del “numero magico” fu argomento di uno dei primi libri che si occuparono espressamente della sezione aurea in musica, ovvero Debussy in Proportion dello studioso e pianista Roy Howay. La proporzionalità nel preludio che ho preso in considerazione è un po’ complessa da spiegare in questo contesto, ma assicuro essere assolutamente incontrovertibile. Quello che può essere il mio contributo, e di cui se si trovasse una prova inconfutabile si potrebbe sì parlare di rivoluzione, è aver scoperto che, oltre ai numeri di Fibonacci, vi sono numeri non di Fibonacci messi in evidenza che funzionano come delle coordinate: a mio parere, e i capitoli finali del mio libro ne sono la approfondita spiegazione, Debussy ci ha voluto indirizzare in un punto preciso di un importante trattato di alchimia del 1617, uno dei testi fondamentali del movimento Rosacroce e l’unico trattato ad includere espressamente la musica in funzione esoterica.
Questo libro è la sua prima opera saggistica. Un’opera che ha ricevuto apprezzamenti importanti, recensioni appassionate e giudizi molto positivi. Anche da critici letterari e musicali solitamente molto prudenti. Quale è stata la mossa vincente nella composizione del testo e nell’elaborazione dei suoi studi?
Credo quella di essere rimasto umile dalla prima all’ultima pagina, e di essermi posto spesso nei panni del più scettico dei lettori. Ho volutamente evitato i toni spocchiosi di chi scrive i libri annunciando rivoluzioni, e ho cercato di accompagnare il testo con una certa dose di ironia. Non credo che questo atteggiamento abbia indebolito la mia tesi, anzi: sono convinto che abbia reso ancora più chiara la mia consapevolezza del terreno in cui ci muoviamo, dove certezze ed arbitrarietà convivono in rapporti sempre mutevoli. Mettere in evidenza di volta in volta cosa sia riconducibile all’una o all’altra sfera sono convinto abbia reso il mio testo ancora più credibile.
La musica, poi, è una porta sull’assoluto: la apri, ti affacci e non ci capisci niente.
Debussy l’esoterista è pubblicato da Jouvence, gruppo Mim Edizioni. Sono editori molto attenti, pignoli, molto rigorosi. Se ha convinto loro mi viene il sospetto che il suo lavoro abbia le carte in regola per rimanere un testo destinato ad essere letto e consultato anche in futuro. Si ferma qui oppure ha in mente qualche altro progetto editoriale?
Difficile fermarmi qui, soprattutto per il campo di ricerca in cui mi muovo. Le domande inevase ci lasciano l’amaro in bocca, il guaio è che ogni risposta che troviamo, o presunta tale, porta con sé ulteriori domande nuove. La musica, poi, è una porta sull’assoluto: la apri, ti affacci e non ci capisci niente. Ma come mai potresti semplicemente chiudertela alle spalle?