Eccolo l’atleta vincente. Alza le braccia al cielo. Vittoria. E’ solo. E’ il numero uno. Davanti a lui nessuno. E’ l’artefice del proprio successo. Forse….
Molte sono le persone che possono contribuire al raggiungimento di un traguardo sportivo di rilievo, persone che vivono nell’ombra mediatica del grande atleta e che non sono conosciute al grande pubblico come meriterebbero.
Matteo Artina è uno di loro.
Matteo Artina è nato e vive a Bergamo. Classe 1984, ha un diploma di perito aeronautico conseguito sempre a Bergamo ed ha due lauree; la prima in Scienze Motorie e Sport e la seconda in Fisioterapia. Ha inoltre diverse abilitazioni professionali rilasciate da Federazioni aderenti al CONI; è preparatore atletico per la Federazione Italiana Rugby, tecnico federale della Federazione Italiana Pesistica e tecnico della Federazione Italiana Ginnastica. Ha inoltre un Master in Terapia Manuale e Manipolazioni Periferiche.
Matteo esercita stabilmente la professione di preparatore fisico e di fisioterapista. E’ il preparatore atletico della fortissima sciatrice azzurra Sofia Goggia e di Michela Moioli, splendida vincitrice della Coppa del Mondo 2016 di SnowboardCross.
Inoltre è il preparatore atletico della squadra di serie A Rugby Parabiago, della Ginnastica Sampietrina di Seveso e collabora con una società bresciana di Karate che annovera tra le proprie fila un’atleta nazionale croata di levatura internazionale. Come se non bastasse, è anche titolare di un team di Pesistica Olimpica a Bergamo, progetto che sta dando buone soddisfazioni a livello di piazzamenti nazionali.
Il tuo curriculum accademico mi dice che la figura del preparatore di un tempo, il massaggiatore praticone dalle mani fatate che passa l’olio canforato sulle cosce di calciatori e ciclisti, appartiene al passato remoto. Che caratteristiche deve avere il preparatore atletico del terzo millennio?
Deve essere capace di avere una visione olistica dell’atleta e della sua prestazione. Una volta la prestazione veniva classificata con una serie di stereotipi; bisognava essere forti, bisognava essere veloci, bisognava sapere saltare in alto. Se hai il fiatone stai facendo fatica, se non l’hai non fatichi abbastanza; se sudi ti stai impegnando, se non sudi devi impegnarti di più. Era un modo un po’ approssimativo di giudicare la prestazione atletica. Tutto è cambiato quando si è iniziato a parlare non solo di sport ma di scienza dello sport. Ovvero quando si è iniziato a studiare la prestazione dell’atleta scientificamente, studiando in primis il funzionamento del corpo umano dell’agonista, in particolare quando si allena. Si è quindi scoperto che la prestazione, il gesto tecnico (dalla corsa del maratoneta alla discesa libera dello sciatore) è la fusione di una serie di attività muscolari e cardiache e di una serie di abilità cognitive che l’individuo sviluppa negli anni. Nel tempo il cervello, inteso come mente, sviluppa una particolare concezione della propria corporeità, dei propri movimenti, delle proprie velocità di movimento, del proprio equilibrio. Il preparatore moderno deve essere capace di riconoscere ogni singolo aspetto costitutivo della prestazione e deve sapere come svilupparlo al meglio. Tutti gli elementi messi in gioco dall’atleta devono poi dialogare tra di loro in modo armonico, altrimenti la prestazione non migliora.
Il mondo è pieno di talenti che non sono riusciti ad esprimersi, ma forse se non si sono espressi in realtà…non erano davvero dei talenti.
Ipotizziamo che alla tua porta bussi un famoso/a atleta. Un nome importante dello sport, un atleta che ha ottenuto grandi risultati mettendo a frutto il proprio smisurato talento naturale. Poco preparato fisicamente, si rende conto di dovere colmare questa lacuna, per continuare a vincere. Il talento puro a volte non basta. Questo grande nome, che è pronto a riconoscerti un compenso molto sostanzioso, ha però un difettuccio. E’ pigro e considera la fatica e l’allenamento una gran rottura di scatole, qualcosa di mal digeribile, da praticarsi con misura. Accetti lui ed il suo ricco compenso, sperando di cavare comunque qualche ragno dal buco, oppure lo ringrazi per l’interessamento e lo rispedisci al mittente?
Il mondo è pieno di talenti che non sono riusciti ad esprimersi, ma forse se non si sono espressi in realtà…non erano davvero dei talenti.
Questa affermazione può sembrare banale ma in realtà contiene un significato profondo. Nella ricerca del talento (potremmo parlarne davvero a lungo) si è sempre ad andati alla ricerca del talento prestativo. Saltare in alto, correre veloce, avere una qualità di contrazione muscolare particolare, sollevare una determinata quantità di pesi. Ma questo rappresenta solo il 50% in una prestazione sportiva; l’altro 50% è composto da elementi attitudinali e caratteriali. Non stiamo parlando di elementi onirici, anzi. Un atleta che non riesce a concentrarsi è come una potente macchina di Formula 1; spenta. Un atleta che non riesce ad armonizzare le capacità fisiche con quelle mentali rimane un campione del mondo potenziale, solo potenziale.
Il vero talento deve avere ottime capacità nella prestazione fisica ed avere un’attitudine spiccata all’attività agonistica. Per rispondere alla tua domanda, cercherei di far capire all’atleta che il problema non risiede nella sua limitata preparazione fisica, ma nel suo approccio all’allenamento. Gli farei capire che quanto va fatto non può farlo nessuno per suo conto; deve proprio applicarsi lui. L’unica cosa su cui potrei agire io è il rendere più piacevole possibile l’attività di allenamento, rendendogli comunque palese che qualsiasi atleta deve confrontarsi con il concetto di fatica, di esaurimento fisico, con il decidere se fare o meno un minuto in più di allenamento. Metterei nella mani dell’atleta la responsabilità diretta del suo miglioramento. Conoscendomi non direi comunque di no, magari ci penserei su almeno una notte, ma non direi mai di no senza provarci.
Come abbiamo detto collabori alla preparazione fisica e sportiva di grandi atlete dello sport internazionale. E per quanto io sappia, queste atlete sono molto soddisfatte della tua collaborazione professionale. Un giorno queste ragazze termineranno di fare sport agonistico di altissimo livello. A quel punto la forza, l’esplosività, la resilienza fisica, potrebbero contare meno. Non rischiano di ritrovarsi a vivere una vita normale con un fisico che ha perduto un pizzico di femminilità, sacrificata in palestra sull’altare del successo?
Se volessi salvarmi in corner con una risposta politically correct potrei dirti “quali saranno i canoni fisici di una bella ragazza tra vent’anni?” Il prototipo della donna in forma cambia con il cambiare dei tempi. Il prototipo della donna in forma degli anni ’70 è molto diverso da quello di oggi.
Comunque non sfuggo alla domanda.
L’estetica di una donna che fa sport agonistico ad alto livello prevede la possibilità di avere delle spalle un po’ più pronunciate, delle cosce un pochino più voluminose. Però il corpo non decade alla fine della carriera e tende a riportarsi gradualmente al volume ed alla forma che avrebbe avuto naturalmente se la persona non avesse vissuto una vita da atleta. Il fisico che hanno le ragazze che seguo non è assolutamente un fisico antiestetico. E’ un fisico che testimonia un importante lavoro di sviluppo muscolare; saranno un giorno semplicemente delle donne che hanno fatto una vita da sportiva. Ti porto due esempi, due donne che in tutta la loro carriera hanno sviluppato un volume di allenamenti enorme, un numero di ore di allenamento da calcolare con un computer. Josefa Idem e Federica Pellegrini. Il loro fisico non passa inosservato ma mantiene intatta tutta la propria femminilità. Le atlete che alleno sanno bene che io tengo molto presente il fatto che l’armonia del loro corpo e la femminilità del loro corpo devono rimanere intatte, pur sviluppando la forza muscolare necessaria alle loro attività sportive.
La musica fa bene, la musica serve, la musica suggerisce il ritmo e se va al ritmo del cuore fornisce una bella spinta.
Metti la musica di sottofondo in palestra durante gli allenamenti oppure pensi che possa distrarre e ridurre la concentrazione?
La metto quasi sempre, ma purtroppo spesso e volentieri la faccio scegliere dagli atleti. E questo comporta che di frequente gli allenamenti sono accompagnati da sottofondi musicali veramente orribili !!! D’altronde è il loro allenamento e quindi è giusto così, io sono uno strumento e quindi scelgono loro. Questa scelta ha anche un fondamento scientifico. Ho una carissima amica psicologa che mi ha confermato che una fonte di potenziale distrazione è importante per attivare nella mente i meccanismi che ottimizzano la concentrazione. Basta pensare al fatto che molto spesso i ragazzi in età scolare studiano con la tv accesa o con lo stereo acceso in sottofondo. Il cervello reagisce allo stimolo sonoro e si difende potenziando la capacità di concentrazione. Oltre a questo aspetto psicologico io sono poi convinto che un allenamento intenso eseguito nel silenzio sia davvero alienante. La musica fa bene, la musica serve, la musica suggerisce il ritmo e se va al ritmo del cuore fornisce una bella spinta.
Anche Fedez?
Ah si… lo ascolto almeno a giorni alterni insieme all’altro rapper milanese!!!!
La colpa è di Sofia Goggia !!!
Yes… per fortuna ho anche un atleta che fa sollevamento pesi che adora allenarsi con la musica classica, con la lirica importante, quella spinta. Purtroppo piace solo a lui e quindi la riusciamo a mettere solo quando arriva in palestra prima degli altri oppure se non c’è quasi nessuno.
So che comunque anche a Sofia piace Tchaikovsky…
Si ed anche Puccini, ma in questo momento ci sono solo i due rapper di Milano.
Il doping è da condannare, perché vìola l’etica dello sport.
Da che mondo è mondo il genere umano ha sempre cercato di conquistare il massimo risultato riducendo lo sforzo indispensabile per ottenerlo. Ci siamo capiti perfettamente… stiamo parlando di scorciatoie, di doping, di aiutini border line. Dimmi la verità, tanto ci stanno leggendo quattro gatti, la “bomba” stile Coppa Cobram di fantozziana memoria esiste ancora?
Se esistesse una bomba stile Coppa Cobram io la proverei! Sono cresciuto negli anni in cui andavano per la maggiore i film di Fantozzi e la scena della Coppa Cobram è una scena cult!
Parliamo seriamente di doping. Per prima cosa smentiamo la leggenda che vuole che l’atleta dopato sia un atleta che lavora meno. In realtà lavora come tutti gli altri ma raggiunge dei risultati migliori. Proprio la definizione di scorciatoia aiuta a far credere alla gente la favola dell’atleta che dorme tutto il giorno sul divano e poi la domenica si alza e piomba tutti.
Non è così. Sia ben chiaro che non sto assolutamente spezzando alcuna lancia a favore del doping, assolutamente no. Desidero solo chiarire un aspetto di questo fenomeno e farlo senza qualunquismo.
Il doping è da condannare, perché vìola l’etica dello sport. Non rende il confronto equo tra gli atleti.
Lancio una provocazione: se tutti gli atleti si dopassero, magari osservando regole comuni a tutti, si alzerebbero di molto i livelli delle prestazioni in ogni sport. Alcuni magari sarebbero contenti, ma di fatto le prestazioni diventerebbero ancora di più DISUMANE. Per fortuna le regole condivise vietano il doping e quindi lo rendono de facto assolutamente contrario all’etica sportiva e quindi non praticabile.
Aggiungo una riflessione, una mia personalissima riflessione. Lo spettatore, per rimanere attaccato al televisore, sempre più ha bisogno di vedere una prestazione che è in grado di capire nella sua difficoltà, rendendosi conto allo stesso tempo che quella prestazione è lontana anni luce da quella che lui potrebbe ottenere. La prestazione sovrumana al pubblico piace!
Ma questo non è più sport. Questo è show business.
Esatto! Questo è un tema molto delicato e spinoso. Perché ribalta in un certo modo la prospettiva che vede l’atleta dopato come unico colpevole. E’ vero, il doping è praticato da quell’atleta che desidera battere i propri avversari costi quel che costi. Questo è il doping, non una scorciatoia ma il mezzo per vincere ad ogni costo. E dietro c’è una visione non alternativa, ma collaterale, che richiama a viva voce per motivi di business la prestazione disumana, sovrumana, irraggiungibile, irripetibile. Questo alla gente piace. E questo fenomeno viene letto sempre più come il giustificativo della costante ricerca dell’aumento della prestazione da parte degli atleti, prestazione che poi viene strumentalizzata e sfruttata per aumentare l’audience. Questo meccanismo proprio non lo condivido. Il doping è da condannare in prima battuta perché è una procedura non etica, ed in seconda battuta perché se poi viene anche fatto in modo maldestro può provocare danni molto gravi.
Senza ipocrisie però, perché se vedo fare una salita (che io farei a fatica in motorino) da un ciclista a 35 km/h e dico WOW! e poi ne vedo un altro che lo supera a 37 km/h e dico DOPPIO WOW!! …
Se vedo un tennista sparare un servizio a 120 km/h e dico WOW! e poi ne vedo uno come Kafelnikov che batte a 220 km/h e dico SUPER WOW!! … io spettatore sono complice, perché spero sempre di vedere la prestazione DISUMANA, e le prestazioni disumane si ottengono spesso ad ogni costo.
Non dovrei dirlo perché il cronista non dovrebbe esprimere giudizi di merito, comunque condivido le tue parole al 100%.
Lo sportivo deve sostenere il carico di lavoro che fa e deve sostenerlo con gli alimenti.
L’atleta può comunque aiutarsi anche con metodi leciti, ad esempio ottimizzando la propria alimentazione.
Una corretta alimentazione per gli atleti è indispensabile. Un mio vecchissimo allenatore (che non aveva conoscenze accademiche relative alla scienza dello sport) un giorno mi disse: “noi siamo quello che mangiamo”.
L’atleta deve calibrare la propria alimentazione in rapporto alla struttura fisica che deve avere durante la competizione. Lo sportivo deve sostenere il carico di lavoro che fa e deve sostenerlo con gli alimenti. Spesso e volentieri si ricorre all’integrazione alimentare, assumendo magari proteine in aggiunta ai pasti, oppure integrando i carboidrati o gli zuccheri, proprio perché avendo bisogno di grandi quantità di questi nutrienti è necessario assumerli in una forma molto semplificata. Questo perché l’assunzione fatta esclusivamente tramite il cibo obbligherebbe l’atleta a mangiarne quantità esagerate, ed insieme ai nutrienti necessari assumerebbe anche quelli per lui inutili.
Vero, nella carne rossa ci sono tantissime proteine; però c’è anche il colesterolo e così via e non tutto fa bene in grandi quantità. E’ chiaro che un atleta non può mangiarsi due chili e mezzo di carne rossa per aver la quantità di proteine che gli servono; ne mangia quindi una quantità inferiore e poi implementa con proteine prodotte in maniera isolata.
Preparazione atletica e tecnologia. Quando si entra in una palestra sembra di entrare all’interno di uno space lab. Attrezzature modernissime, luci e lucine, display multi funzione ovunque. Ma il caro e vecchio esercizio a corpo libero che mi facevano fare da ragazzo è estinto?
No, non solo non si è estinto, ma sta tornado di moda, anche commercialmente parlando. E’ un classico, in fondo mai passato di moda. Esiste, si pratica, ed ultimamente si è compreso che è il tipo di allenamento che meglio attiva determinate caratteristiche dell’atleta. La tecnologia è servita e serve, per aumentare i dati che ci consentono di capire come l’atleta sta lavorando; la metodica di allenamento è però sempre la stessa.
Matteo Artina e le Federazioni nazionali. Quali sono le regole d’ingaggio che consentono ad entrambe le parti di parlare una lingua comune per il bene dell’atleta seguito?
La vera fortuna delle Federazioni è rappresentata dalle persone che ci lavorano dentro. Ed è con queste persone che gli esterni (tra i quali figuro anch’io) si relazionano. Io mi riferisco in particolare al mio rapporto con la FISI (Federazione Italiana Sport Invernali) e con tutti loro mi trovo a dialogare benissimo. E’ molto importante che i preparatori federali sappiano che tipo di lavoro hanno fatto i loro atleti a casa, così quando gli atleti stessi saranno lontani in trasferta, non lavoreranno in controtendenza. Con loro io mi confronto minimo due-tre volte alla settimana; ci si chiama, ci si sente, con una telefonata, con una mail, l’aggiornamento reciproco è continuo. Devo dire che non ho mai sentito nel lavoro che faccio l’influenza dei preparatori federali, il lavoro che gli atleti fanno con me lo decido io e non viene mai messo in discussione.
Soffro per tutti e non ho un atleta preferito, sono tutti fantastici!
Domenica prossima ci sarà la discesa libera e correrà Sofia. A pochi chilometri salterà e sfreccerà Micky Moioli. Le tue due squadre di rugby del cuore si sfideranno a Milano. E per chiudere il cerchio ci sarà il più importante meeting europeo annuale di pesistica a Bergamo. Dove vai? (Se posso darti un consiglio… vieni a vedere il Milan con me…)
Allora allora… premetto che io vivo male le giornate di gara. Perché vedo tutti i giorni la fatica che gli atleti fanno in palestra e quando finiscono la loro gara guardo al risultato con un’ansia notevole, in quanto so che dietro a quel risultato (qualunque esso sia) ci sono sacrifici e sudore. Non voglio fare del romanticismo da due lire, ma soffro proprio le gare. Le gare di Sofia le faccio guardare a mio padre che poi mi manda un messaggio e successivamente mi guardo la registrazione video. Le gare di Michela le seguo attraverso i commenti di una serie di blog che le raccontano in tempo reale, quelle di pesistica me le devo vedere live, in quanto devo accompagnare gli atleti e così perdo sempre qualche chilo per la tensione. Nel rugby invece mi metto vicino all’allenatore e gli faccio mille domande a ripetizione durante la partita. Magari lo frastorno un po’ ma io mi tranquillizzo e scarico la tensione.
Soffro per tutti e non ho un atleta preferito, sono tutti fantastici!
Immagino che lavorare con atleti dotati di forte personalità richieda da parte tua grande autorevolezza ed ampia disponibilità. Non è scontato che ogni parte del tuo programma di allenamento risulti congeniale al 100% all’atleta. A chi spetta l’ultima parola in palestra?
L’ultima parola spetta sempre all’atleta. Casualmente l’ultima parola dell’atleta corrisponde sempre alla penultima, quella del preparatore. E’ molto difficile far fare qualcosa che non piace, in particolare modo quando di mezzo c’è la fatica. Però conoscendosi si riesce sempre a trovare un punto di equilibrio tra ciò che gli atleti prediligono e ciò che non amano ma che va comunque fatto. L’atleta non evita mai ciò che gli da fatica. L’atleta tende ad evitare l’esercizio in cui si sente un pochino incapace. Quando si sente in difficoltà a volte anche il campione si ferma, perché vede affiorare una parte di se stesso che non vorrebbe mai vedere palesato; nessuno ama vedersi in difficoltà o in imbarazzo.
La difficoltà che nasce invece dall’aumento del carico esecutivo si può affrontare e superare con una attenta programmazione. Inutile chiedere di lavorare trenta minuti sapendo che almeno ventisette vengono fatti con il broncio. Si possono programmare cinque minuti fatti bene per sei volte alla settimana e magari al preparatore gli accidentinon arrivano. Poi il preparatore quando entra in sintonia con il suo atleta sa giocarsi anche qualche carta psicologica. Come fare per primo l’esercizio fastidioso, dicendo al campione “so farlo io meglio di te…” per stimolare la sua competitività. Oppure rendendo l’ambiente circostante più leggero, più disteso, più sereno.
Se fossi convinto di potere dare una chance con la tua collaborazione ad un atleta potenzialmente vincente, ma povero di mezzi economici, lavoreresti gratuitamente?
Assolutamente si e probabilmente valuterei anche la possibilità di aiutarlo economicamente. Quando inizio un lavoro con un atleta io faccio una scommessa e punto tutto su di lui. Io so di potere dare qualcosa e so che la mia religione è lo sport. Se uno sportivo ha abbastanza coraggio e fiducia in me, tanto da pensare che io possa aiutarlo a fare la differenza, nulla in questo mondo potrà convincermi a dirgli di no. Ci sono cose che travalicano la dimensione professionale, ci sono anche i rapporti umani oltre a quelli lavorativi. Cercare di dare a chi non può chiedere è anche una mia missione personale, uno stile di vita.
Le Michela e Sofia che vedo io sono due persone normalissime.
I top player di tutti gli sport più in vista girano preceduti e seguiti da agenti, procuratori, addetti stampa, fotografi, specialisti dell’immagine, sponsor, psicologi e chi più ne ha più ne metta. L’atleta che sorride alla telecamera è il prodotto di un equilibrato mix di competenze di terzi, applicate alla sua persona ed alla sua personalità. Tu hai la possibilità di vedere queste stars in un frangente molto particolare. Niente cerone mediatico, niente di costruito ad uso commerciale, solo calzoncini, maglietta, sudore e fatica. Quasi nude e crude. Due parole su Michela e Sofia, quelle vere, quelle che sudano e sbuffano e che non mollano mai.
Le Michela e Sofia che vedo io sono due persone normalissime. Probabilmente anche se non avessero dietro di loro tutto quello che il successo sportivo ha portato loro, sarebbero esattamente uguali a come appaiono oggi, almeno io la penso così.
Sono due ragazze accomunate da una voglia pazzesca di arrivare, che poi in realtà è nulla più del desiderio di dimostrare che il successo che hanno se lo sono meritato.
Questa cosa è difficile che possa venire fuori in altri frangenti, perché in altre situazioni deve risaltare il prototipo ufficiale dell’atleta professionista, ovvero l’atleta sicuro, che ha sempre un sorriso per i fotografi, che ha sempre la risposta pronta quando gli mettono davanti un microfono. Io sono fortunato perché vedo la loro parte più bella, quella che sogna, quella che desidera. Io posso vederle quando mancano trenta secondi alla fine di un esercizio duro e basta dire “dai l’ultimo sforzo e tocchi la tua medaglia”. Stringono i denti e ripartono. Quando le vedo così io so di essere fortunato e di avere nella mia vita qualcosa in più degli altri; mi sento davvero onorato e cerco di rendere loro onore con il mio lavoro ed il mio impegno.
Se non avesse fatto il preparatore atletico ed il professionista del fitness cosa avrebbe fatto Matteo nella vita?
Appena diplomato avrei voluto fare il controllore di volo, l’uomo radar. Ho un ex compagno di studi che fa quel lavoro e lavora a Bergamo; ogni tanto vado a trovarlo quando è in pausa… il mondo del volo mi piace sempre. Se non avessi fatto il preparatore fisico avrei provato a fare il musicista, ed in particolare il batterista. Per un certo tempo l’ho anche fatto ed ho creduto di poterlo fare in modo professionale. La musica rimane una delle mie grandi ( ed a dire il vero…poche) passioni estranee al mondo dello sport.
Dai fammi una chiusura col botto. Una bella frase, un bel pensiero.
Ti dico quello che dico a tutti i miei ragazzi e le mie ragazze: “il fatto che sia divertente non vuole dire che sia un gioco. Però non dobbiamo mai smettere di renderlo divertente”.
Thanks Matteo, buon lavoro e buona vita.