Riprendiamo la nostra intervista al vulcanico Germano Lanzoni.
Prima di mettere a nudo il tuo curriculum artistico, raccontami cosa accadde quando a casa, con in mano la maturità scientifica ed iscritto a Scienze Politiche comunicasti che saresti andato a studiare all’Arsenale?
Quando dissi in casa che avrei voluto fare un corso di teatro rimasero tutti sorpresi. Il problema arrivò dopo, quando dissi che avrei voluto intraprendere la carriera dell’attore. Mio padre mi disse “fai quello che ritieni più opportuno”, ma io vidi nei suoi occhi il crollo del sogno di un operaio che avrebbe voluto vedere suo figlio laureato.
Tutto ciò che oggi sono lo devo alla scuola di teatro. Da ragazzo ho cominciato scaricando le valigie in un villaggio turistico; dopo due anni ero già capo villaggio grazie ad un certo talento naturale. Era giunto il momento di imparare davvero il mestiere. Avevo numerose persone che dipendevano dalle mie scelte e l’improvvisazione personale non poteva più bastare. Visitai diverse scuole di teatro, ma avevo già ventuno anni ed il giro dei vari Piccolo, Grassi eccetera era ormai chiuso per me.
Ma poi, ve lo vedete uno di Brusuglio di Cormano con un teschio in mano in calzamaglia a recitare Shakespeare?
A Milano, in via Cesare Correnti, c’è un teatro storico per noi milanesi, il Teatro Arsenale e lì venni accolto da Marina Spreafico. All’Arsenale si insegna il metodo “Lecoq”, un metodo straordinario basato sull’attivazione teatrale dell’atto creativo, ovvero osservare e poi trasporre con il proprio linguaggio. Un metodo che richiede almeno due anni di lavoro serio, con attivazioni fisiche, con l’immedesimazione negli elementi naturali eccetera.
I miei amici, quando tornavo a Brusuglio, mi dicevano: ma cosa fai adesso, il teatro? Dai, facci vedere!”. Io ho capito che avrei potuto fare l’attore quando una sera, davanti agli amici, ho fatto per dieci minuti l’albero, il vento, il fuoco… in tutta la vita non ho mai visto ridere la gente tanto come i miei amici quella sera, ribaltati sui divani. E mentre loro ridevano io ero il fuoco, il vento, l’albero.
Bisogna credere in quello che si fa. Io all’Arsenale sono entrato serio e sono uscito comico.
Non mi piace la comicità maoista, quella che si fa prendendone di mira ferocemente uno per farne ridere cento.
Il mio vero talento è l’empatia spontanea che attivo nelle persone. Ricordo come da ragazzo, mentre scaricavo le valigie in un villaggio turistico, facevo sorridere di gusto i nuovi arrivati rendendo l’operazione bagaglio un momento divertentissimo. Già da quei primi passi, io ridevo con le persone e non delle persone, caratteristica che nel tempo è diventata una mia vera e propria cifra stilistica.
Non mi piace la comicità maoista, quella che si fa prendendone di mira ferocemente unoper farne ridere cento. Non paga. Ti procura l’immediata reazione, la risata, ma poi determina anche una sorta di chiusura protettiva da parte di chi ti sta intorno. La mia empatia, il mio asset di gioco, è una precisa scelta di campo; il talento del ridere con le persone ti consente di irradiare uno stato d’animo positivo che (a seconda dei gradi di scambio) diventa simpatia o comicità. Questo paga.
Non pensare che sia facile, bisogna applicarsi con costanza e studiare. Io ho apprezzato moltissimo ad esempio (ed ho fatto mio) un testo di un filosofo francese di fine ottocento, Henri Bergson, che nel 1901 scrisse “Il riso. Saggio sul significato del comico”; in quel libro sono studiati gli elementi del ciclo base della comicità (la community, la vittima, l’astrazione della sensibilità) cercando di impacchettare filosoficamente una cosa istintiva come il riso. E’ proprio nell’astrazione dalla sensibilità che si misura la capacità di fare un certo tipo di comicità, sapendo ripercorre tutta la scala di percezione del sense of humor: dall’empatia, alla simpatia, al cinismo, al sarcasmo, all’essere una vera merda.
L’azione comica è dissacrante, la vittima è la presunzione della perfezione, l’errore è l’esaltazione della nostra umanità. La perfezione corrisponde all’ideale, la nostra condizione è il reale. La distanza tra questi due poli si può narrare in tanti modi: ansioso, stereotipato e (se hai un buon sense of humor) surreale. Quella che all’apparenza è solo una battuta comica, in realtà è la misurazione del tuo grado di sensibilità.
Un solo asset non può mantenerti per sempre, dentro di noi ci sono tantissime competenze da sfruttare e la vita ti offre tantissime opportunità.
E’ arrivato il momento di raccontare la tua storia artistica di attore, docente, direttore artistico, cabarettista, anchorman, musicista, autore… mi metto comodo!
Si capisce dal tuo lungo elenco che sono un disoccupato cronico che cerca sempre nuovi rimedi per rimettersi in gioco. In realtà tutto il mio percorso è stato segnato dalla curiosità e dall’opportunità. Un insegnamento che mi sono portato via dalla facoltà di Scienze Politiche è stato: diversifica la tua attività, sempre e comunque.
Un solo asset non può mantenerti per sempre, dentro di noi ci sono tantissime competenze da sfruttare e la vita ti offre tantissime opportunità.
In tutte le cose che ho fatto non ho mai cercato la fama, ho solo cercato di diventare bravo e di fare bene il mio lavoro. Io non sono famoso, i miei numeri sono relativi, però anche quel pochino di notorietà che ho è figlia del mio desiderio di migliorami sempre. Quando tu nasci a Milano e vedi che a fare quello che piace a te ci sono in teatro Dario Fo, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci… ma quale fama vuoi inseguire??! Devi solo lavorare, lavorare, lavorare e cercare di diventare sempre più bravo.
Quando io ho iniziato a fare cabaret c’era anche el Tognella (*), un uomo di oltre settant’anni che andava nei locali frequentati dai ventenni a fare i suoi spettacoli. Quando lo incrociavi fuori dal locale pensavi che fosse il parcheggiatore e poi te lo trovavi sul palco a recitare con la sua tuta da operaio e con i suoi testi fuori dal tempo (parlava negli anni ’90 di una lotta operaia che era stata attuale negli anni ’70). Fuori dal tempo forse, ma aveva una forza dentro che travolgeva tutti. Capisci che quando hai certi mostri davanti tu non puoi lavorare in quel settore se non sei più che preparato.
(*) Tognella, nome d’arte di Armando Russo (1938-1995) cabarettista ed attore conosciuto dal pubblico appassionato di cabaret semplicemente con il nomignolo di el Tognella; ha impersonato la macchietta antesignana del più noto Cipputi di Altan, ovvero quella dell’operaio metallurgico con brache abbottonate in alto quasi fino alle ascelle, il cappello a visiera posto di traverso e la faccia sporca di grasso. – NDR -.
“ Senti – mi disse – io domenica ho un evento qui a Milano in piazza del Cannone, si chiama Gatorade Day, mi si sono ammalati due animatori, tu verresti?
Dopo l’avventura nel villaggio turistico arrivai alla radio, per puro caso. Ero andato ad una festa e parlando con un organizzatore di eventi mi scappò che ero un animatore, che facevo gli spettacoli nei villaggi e che facevo un po’ di cabaret. “ Senti – mi disse – io domenica ho un evento qui a Milano in piazza del Cannone, si chiama Gatorade Day, mi si sono ammalati due animatori, tu verresti?
Non avrei dovuto andare a quella festa, la mia fidanzata non voleva, perché le amiche che mi avevano invitato erano straordinariamente belle… ed invece …taac! Vado a fare questo Gatorade Day e subito viene fuori la mia capacità di sapermi adattare al pubblico (frutto della pratica estiva, della scuola di teatro e del cabaret), davanti ad un pubblico composto da adulti, ragazzi, famiglie, bambini, trovando per ogni categoria di presenti la giusta chiave di contatto.
Fu proprio il cliente, la Gatorade, ad andare dai responsabili dell’agenzia ed a dire “ quello lì nuovo viene a fare il tour, vero??!!” Un tour di quaranta giorni; cosa avrebbe dovuto dire uno che aveva già fissato le vacanze con la fidanzata? “Ma certo! Figuriamoci se non vengo… proprio io.. ovvio…numero uno…vengo!”
Torno a casa ed affronto la fidanza furiosa… “ma dai, solo una settimana così il cliente vede che gli abbiamo dato retta e poi mi invento un malore o un casino in famiglia, torno a Milano e partiamo per le vacanze”.
Quindi parto e durante il tour conosco i DJ del partner tecnico, ovvero Radio DeeJay. Noi animatori sul palco dovevamo, alternandoci, presentare il disk jockey di turno della radio; devo dire che le presentazioni dei miei colleghi non erano granché, mentre io andavo bene, anche grazie ad un dono di natura, ovvero la voce. Apro una parentesi; la voce l’ho presa da mio nonno, cantante lirico, baritono, Mario Galli, fantastico cantante ed antifascista, per la nostra famiglia personaggio leggendario.
E fu così che Radio DeeJay decise di tenere solo me per presentare sul palco le voci della radio: teniamo solo Gegio! (avevo già questo nickname d’arte). Io alzai la cornetta del telefono e chiamai la fidanzata per dirle che ero bloccato per quaranta giorni. Ovviamente divenne la mia ex fidanzata; mi lasciò sul ponte della strada per Lecco (ma ci vogliamo ancora un sacco di bene).
Per me fu il primo salto quantico della carriera, un salto che mi permise di sperimentare la mia capacità di ridere con la gente, diventando il front man di un network e di un brand cliente, tenendo conto della loro linea editoriale e commerciale. Non puoi mica metterti a dire le solite cose da spiaggia “su le mani, giu’ le mani, chi non salta muore domani….”. Devi avere altre corde da far vibrare.
Dopo cinque anni di Radio DeeJay passai poi a RDS. A Radio DeeJay stavo da dio, ma non andavo in onda perché non ero pronto. Facevo un sacco di eventi per loro (anche importanti come il MotorShow), ma non andavo in onda. Mi sentivo parte della famiglia, avevo una buona tranquillità economica ed avevo il tempo per fare teatro sperimentale, senza pretendere che il teatro mi riempisse il frigorifero. Due volte chiesi a Linus di poter trasmettere e per due volte lui mi disse di no; non aveva tutti i torti, io non ero pronto, aveva ragione lui. In quel momento RDS mi fece una proposta e mi garantì di poter andare in onda, inizialmente con una serie di esterne. Dovetti aspettare tre anni prima di far sentire la mia voce nell’etere, ma alla fine ci riuscii. Grazie anche ai maestri Bruno Beat ed Umberto Ferraro che mi insegnarono tutti i trucchi del mestiere.
Ripartivo a quarant’anni (con in tasca vent’anni di mestiere) dai club con undici spettatori in sala e dalla radio.
Poi venne Radio Popolare; scelta artistica o politica?
Scelta di opportunità. Radio Popolare arriva nel 2005 Il Giovedì di Radio Popolare con il Collettivo Scaldasole. collettivo straordinario e di grande levatura artistica. A RDS non mi divertivo più, era stata imposta una nuova linea editoriale e la nuova dirigenza voleva ripuntare sulla radio di flusso, tagliando gli eventi, sui quali avevamo lavorato tanto in quegli anni. Nel 2004 a RDS io ero il direttore artistico ed il conduttore degli eventi; con gli sponsor li costruivo, li progettavo e poi li realizzavo. Ero il braccio armato degli eventi targati RDS.
Cambia la radio ed io vado dal mio direttore e mi licenzio. Guarda che nel 2005 io prendevo 2500 euro netti al mese più un gettone che andava dai 500 euro in su per ogni evento. Erano bei soldi per uno che lavorava dicendo cazzate, mica un cardiologo medico chirurgo! Non mi sono messo a discutere la sua linea editoriale (non ero mica scemo) però gli ho detto che non mi divertivo più e che quindi non potevo a mia volta divertire gli altri.
Avevo quaranta anni ed ero senza radio e senza contratto, ma avevo buone capacità e sapevo fare il mio mestiere. In quel momento Scaldasole ha rappresentato la mia ancora di salvezza. Erano un gruppo di artisti (coetanei e più giovani) che stimavo, raccontavamo il mondo e la città in modo strafigo, libero ed irriverente.
A RDS annuncio e disannuncio duravano un minuto e mezzo, a Radio Popolare parlavo senza sosta per tre quarti d’ora. Il Giovedì di Scaldasole era articolato con un’ora di diretta ed un’ora di laboratorio. Alla fine della prima trasmissione mi dissero: qui è casa tua, vieni quando vuoi. Io ci misi le tende.
Ripartivo a quarant’anni (con in tasca vent’anni di mestiere) dai club con undici spettatori in sala e dalla radio. Non è stato facile, io ero arrivato a scandire da piazza Duomo con RDS il countdown del millennio, la notte del 31 dicembre del 1999. Il “benvenuti nel 2000”l’ho annunciato io a piazza Duomo con centomila persone davanti. Ero al top. Ripartivo lasciando tutto questo. Ma è stato favoloso.
Germano Lanzoni, papà allegro e spiritoso oppure serio ed inflessibile?
A questa domanda dovrebbe rispondere la voce della verità, ovvero la mia compagna. Io sono un papà fortunato perché ho due figlie favolose; la loro mamma è di origini austriache e di segno zodiacale ariete e mi ha sempre permesso di fare il poliziotto buono e non quello cattivo.
La nostra storia di genitori è stata molto speciale. Le bambine quando sono nate hanno avuto un problema uditivo, sono nate sorde. Sono nate un bel giorno, l’otto di marzo, in Mangiagalli (l’ospedale pediatrico più vicino al centro di Milano – ndr). Io sono l’unico a non essere nato nella mia famiglia a Milano, perché il giorno della mia venuta al mondo l’ostetrica di mia madre era di turno a Paderno Dugnano; io sono proprio l’unica pecora nera della famiglia, unico nato in terra sconsacrata!
Come ti dicevo le bambine nascono con un problema uditivo. Nel loro primo anno di vita delle bimbe siamo diventati padre e madre responsabili in tempo zero. Appena nate erano state sottoposte ad uno screening molto semplice per vedere se la loro carenza uditiva fosse dovuta magari alla presenza di liquido amniotico nei canali; dopo due settimane invece un più accurato esame audiometrico riscontrò un deficit prima medio, poi grave ed infine profondo. Esisteva la possibilità di sottoporle ad un intervento ma la decisione andava presa velocemente, perché l’intervento andava fatto subito. Per fortuna l’udito è uno dei sensi sui quali si può intervenire con la chirurgia moderna.
La mia compagna in quel frangente fece un lavoro incredibile con le gemelle, un lavoro di preparazione al suono meraviglioso, che solo lei avrebbe potuto fare
Ai tempi, undici anni fa, non sapevo cosa fosse un impianto cocleare, gli impianti erano in continuo sviluppo ma si era ancora in fase di sperimentazione e gli unici due centri dove avremmo potuto fare l’intervento erano Friburgo e Varese. Addirittura chiesi aiuto al Milan per riuscire a mettermi in contatto con Friburgo. A Varese incontrai un vero genio, il prof. Sandro Burdo, un uomo che ha dedicato la sua intera vita non solo alla chirurgia ma anche alla costruzione di un metodo propedeutico all’operazione, un metodo da marines.
Lui ha sempre sostenuto che la cecità porta le persone lontano dalle cose, mentre la sordità allontana dalle persone; il suono deve per forza arrivare entro un periodo limitato di tempo al cervello, altrimenti il cervello inizia a chiudersi. L’impianto andava eseguito entro il sesto mese di vita delle bambine e tutto avrebbe dovuto essere a regime entro e non oltre il loro terzo anno di vita. La struttura varesina di audiovestibologia ci fece sentire subito a casa in loro compagnia; con loro trovammo l’eccellenza professionale e l’eccellenza umana.
La mia compagna in quel frangente fece un lavoro incredibile con le gemelle, un lavoro di preparazione al suono meraviglioso, che solo lei avrebbe potuto fare in quanto il legame materno è molto più potente di quello paterno. Si sparavano round da quaranta minuti di esercizi di preparazione al suono sul seggiolone, anche con l’aiuto di Elisa, una nostra carissima amica. Oggi le bambine parlano e ridono; l’altro giorno mi prendevano in giro perché la piazza sulla mia capoccia si sta allargando. Per me è stato come il primo selfie del figlio della Ferragni, come il primo goal in rovesciata di CR7 junior! Hanno la loro ironia, la sanno usare, parlano, cantano, per me è una cosa stupenda.
La responsabilità genitoriale abbiamo dovuto inventarcela subito ed in modo molto impattante ed il problema legato alla sordità lo abbiamo risolto. Ora arriva la nostra fase due da genitori, le bambine stanno entrando nell’adolescenza ed io (adolescente nato) spero di cavarmela bene; è una fase davvero curiosa.
Dal 2002 sei la voce ufficiale del Milan. Se non ti sento lanciare le formazioni e dare il benvenuto nella casa del Milan io, abbonato rossonero dal 40 anni, mi alzo e me ne vado a casa senza guardare la partita. Come è iniziato questo connubio con la società più titolata al mondo?
Tutto nacque nel favoloso anno 2000, l’anno del lancio della notte di san Silvestro. RDS stringe con la società rossonera una partnership ed io (frontman degli eventi RDS e cittadino milanese) mi ritrovo a collaborare con il Milan. Il primo evento lo organizzammo nel piazzale davanti allo stadio di san Siro, un torneo 3 contro 3 di calcetto under 16, con le finali da disputarsi sul prato verde del Meazza. Mi vide lavorare sul campo l’allora direttrice marketing della società milanista, Laura Masi, e mi invitò a collaborare direttamente con loro. Due anni dopo la voce ufficiale dello stadio (over 70) andò a godersi il meritato riposo dopo una vita di annunci domenicali ed il Milan mi chiese di fare lo speaker a san Siro, con il mio stile, non troppo formale e non troppo commerciale. Fu un regalo favoloso.
Puoi dirlo che sino a quel momento tifavi Juve…
Non scherziamo! In realtà io ed il calcio non avevamo un gran feeling. Ero il tipico bambino che gli amici fanno giocare perché porta il pallone e poi lo mettono in porta perché fuori è troppo scarso. Non seguivo il calcio, il mio periodo ultras l’ho vissuto con il basket sugli spalti del palazzetto dello sport che ai tempi sorgeva avanti allo stadio tifando per Milano, allora si chiamava Billy. Pensa che genio, rischiavo le botte per un succo di frutta.
Al Milan chiesi di poter leggere le formazioni non dalla torre speaker, ma dal centro del campo. Mentre lo chiedevo già mi cagavo addosso dalla fifa, ma poi pensai “ma una cosa del genere quando mai mi ricapita? In mezzo a san Siro con ottantamila tifosi ruggenti intorno”. Questa è una cosa che vale una vità! E’ stata un’esperienza sciamanica e tuttora, dopo anni che questa cosa si ripete, se devo annunciare anche una semplice amichevole Milan contro San Pancrazio di Sotto, mi trema la mano.
Dopo avere ricordato che un vero milanista “non ha cugini”, leggo nella tua biografia: “amato da una parte di Milano, quella Rossonera”. Ci rimani tanto male sapendo che in realtà sei apprezzato anche dai biscioni?
No, anzi. Mio padre era interista, così come lo sono un sacco di miei amici. Per me il calcio è una bellissima esperienza di gioco, come il teatro, la radio, l’imbruttito; sono tutti mondi switch. Io esco da san Siro ed il calcio finisce, la partita termina e per me è game over. Tutto il resto è una bellissima opportunità di cazzeggio, una parte del mio gioco quotidiano. E poi… gli interisti sono anche loro abitanti della mia città e non esiste alcun muro che ci divide. Comunque una cosa è chiara: a san Siro c’è solo la Curva Sud!!
Il Terzo Segreto di Satira ci svela che moriremo tutti democristiani. In fondo lo abbiamo sempre saputo; da giovani siamo tutti rivoluzionari ed incendiari e poi da uomini maturi ci arruoliamo nei pompieri.
Si muore tutti democristiani è un film scritto per rappresentare un determinato momento storico. Il Terzo Segreto di Satira sono cinque ragazzi di Milano, e come tutti i ragazzi di Milano hanno dentro quella sottile malinconia che provano i disincantati. Nell’osservazione comica l’amarezza ti aiuta a cogliere l’ironia più sottile, basta pensare ai grandi capolavori di Jannacci. E’ un film che evidenzia come nessuno di noi voglia abbandonare la propria comfort zone, proprio come raccontava Gaber nella sua canzone I Borghesi. Non me ne voglia Mastella (ne cito uno a caso) ma poi non è vero che si debba proprio tutti morire democristiani, non si può misurare la vita solo in base all’ampiezza della comfort zone personale.
Io vivo in una città, Milano, che mi ha educato al bello, al design, al valore ed io mi sono lasciato educare a questi valori che si ricercano e si ottengono attraverso il proprio impegno ed attraverso il proprio accrescimento professionale. Ci sono aspetti materiali che è anche lecito ricercare. Ma nel medesimo tempo non possiamo dimenticare quello che diceva Epicuro, non ha senso trascorrere la nostra vita inseguendo solo beni e denari. Viviamo in una società fortemente individualista. Quando io e te eravamo ragazzi una mostra sul Che Guevara avrebbe attirato mezza città, perché il Che rappresentava l’ideale del bene collettivo. Oggi una mostra come quella, se anche rimanesse aperta sei mesi, incasserebbe molto meno della prima di un film di Harry Potter.
Abbiamo comunque, in una società fortemente individualista come la nostra, un’opportunità. O forse sarebbe meglio dire una responsabilità. Noi siamo animali sociali e dobbiamo tornare a capire che ogni nostro atto non ha una ricaduta esclusivamente personale ed individuale, ma comporta inevitabilmente delle ricadute più ampie, effetti che influenzano il mondo e la società di tutti. Open sourcing: la condivisione delle tue capacità e delle tue conoscenze non ti impoverisce; arricchisci gli altri. Alcuni pensano: “la mia opportunità personale è qui, quindi di te che sei laggiù in fondo me ne strafrego”.
No, non funziona così, l’eroe non vince, l’uomo solo al comando è semplicemente un uomo solo. Se pensiamo solo a noi stessi moriamo democristiani, se pensiamo che siamo elementi di un ecosistema integrato, allora non moriremo democristiani; mi dispiace Mastella!
Relazionarsi con i ragazzi e capire ciò che ti stanno raccontando è un ottimo esercizio.
In fondo al tuo sito internet, giù giù in basso a destra, proprio dove tramonta il web, hai attivato un campo denominato “Proponi i tuoi progetti – Settore scolastico”. Cerchi nuovi autori tra i più giovani?
Oh si! Nel senso più alto del termine, cerco autori di emozioni ed esperti di capacità critica. Relazionarsi con i ragazzi e capire ciò che ti stanno raccontando è un ottimo esercizio. I loro racconti sono una cartina di tornasole, loro raccontano come ci vedono, sono straordinari specchi senza filtri. Sino ad una certa età non ti classificano nemmeno, poi diventando più grandicelli iniziano a vederti come un attore, un docente, un maestro. Ma prima di questa fase di crescita, ti scannerizzano senza farsi condizionare da quanto tu pretenderesti di essere.
I ragazzi (direi sino alla seconda-terza media) sono splendidi esperti di marketing. Poi iniziano a diventare consumer e la magia inizia a spegnersi. Da anni lavoro con le scuole, porto il mio gioco teatrale ai giovani delle medie, anche in collaborazione con la mia compagna che è un’insegnante di danza contemporanea. In prima media sono bambini, in seconda media sono esseri in evoluzione rapida ed in terza sono consumer. Ragazzi già vestiti ed omologati come da regolamento: abiti, smartphone ed atteggiamenti. I maschietti in prima media vengono sul palcoscenico a ballare sciolti, in terza ti iniziano a dire: “no dai, io non ballo, io gioco a calcio…”. I condizionamenti della società li hanno catturati.
Da diciotto anni vado a giocare nelle scuole medie, porto con me la mia drammaturgia comica e propongo in casa loro la mia bottega artigiana di teatrante. Non vado nelle scuole per sentirmi dire che ho talento, vado a dire ai ragazzi: VOI AVETE TALENTO!
Ed ora, senza rete, senza domanda, il prof Lanzoni ci lascia la sua ultima considerazione e chiude l’intervista.
Tutto ciò che sono e tutto quello che faccio è possibile perché intorno a me ci sono persone che mi consentono di vivere come voglio. Io e la mia compagna (anche lei è un’artista ed ha le mie medesime esigenze) viviamo insieme da diciotto anni; lei compensa le mie assenze e non me lo fa pesare. Pur avendo i suoi progetti, i suoi impegni e la sua carriera. Come moglie magari a volte me lo fa notare, ma come artista – che a volte deve fare un passo indietro – non l’ha mai fatto pesare nella vita familiare.
Lei è il mio specchio della verità, posso fingere con chiunque ma non con lei. Lei vive nella mia vita ed è l’unica che sa veramente chi sono.Tutti gli altri vedono la mia maschera, lei vede oltre la maschera.
Quando camminiamo, tutti noi lasciamo tre impronte: la persona, il mestiere, il personaggio (gli attori, gli altri il ruolo). Solo con l’aiuto di chi ti ama davvero queste tre impronte possono diventare un’impronta sola.
Un abbraccio Germano, buon lavoro e buona vita!