Siamo Arjola e Emanuele. Due ragazzi che amano correre e saltare. Facciamo parte della Nazionale Italiana Paralimpica di Atletica Leggera ed abbiamo vissuto un sogno: vestire i colori azzurri ai Giochi Paralimpici di Rio de Janeiro.
Ora puntiamo a traguardi sempre più grandi: ora vogliamo una medaglia alle Paralimpiadi di Tokyo2020! Noi non smettiamo mai di sognare perchè noi siamo la Coppia dei Sogni.
manuele Di Marino
Emanuele nasce a Salerno nel 1989 con una malformazione congenita che prende il nome di piede torto di III grado con malformazione ossea.
Disciplina: atletica paralimpica 100, 200 e 400 metri. Categoria: T44 – atleti con deficit al di sotto del ginocchio.
Esordisce nel 2014 con la maglia della nazionale ai Campionati Europei Paralimpici di Atletica Leggera a Swansea dove arriva terzo nei 400 mt. Ai Mondiali 2017 di Londra vince un Bronzo nei 400m e un argento nella staffetta 4X100m. Vanta il record italiano indoor nei 60mt.
Arjola Dedaj
Arjola nasce in Albania nel 1981. A soli tre anni le viene diagnosticata una retinite pigmentosa che peggiora gradualmente fino a costringerla alla cecità. Dopo essere giunta in Italia negli anni ’90 a bordo di un gommone, ha raggiunto Milano dove ha iniziato subito a praticare sport: danza e baseball prima, atletica poi.
Disicplina: atletica paralimpica 100, 200 metri e salto in lungo. Categoria: T11 – atleti non vedenti.
Esordisce con la maglia della nazionale nel 2014 a Swansea ai Campionati Europei Paralimpici di Atletica Leggera vincendo subito tre medaglie, due d’argento nel salto in lungo e nei 200 mt, e una di bronzo nei 100 mt. Ai Mondiali 2017 di Londra vince un oro nel Salto in Lungo.
Vanta il record italiano indoor nei 60 mt. Nel 2016 riceve l’Ambrogino d’oro dal Comune di Milano e nel 2017 ritira il Collare d’oro al merito sportivo dal CONI.
Con l’arrivo del loro primogenito da “Coppia” sono recentemente diventati la “Famiglia dei sogni”.
Li incontro, grazie all’ospitalità di Enrica Sinesio, presso la sede milanese di EIS, la società che si occupa del loro team management.
Emanuele, se vuoi fare una protesta ufficiale sono pronto a raccogliere le tue parole. Siete entrambi detentori del record italiano indoor sulla distanza dei 60 metri, ma ad Arjola hanno dato l’Ambrogio d’oro ed il Collare d’oro del CONI ed a te no! A nome degli uomini tutti, ci dichiariamo discriminati. Sarà forse perché lei ha vinto anche un oro ai Mondiali??
Il Collare d’oro viene dato solo ai vincitori di medaglie d’oro mondiali ed olimpiche. Lei se lo è conquistato sul campo. La stessa cosa per l’Ambrogino, che viene assegnato solo ai residenti a Milano ed io a Milano ho solo il domicilio. La mia residenza è ancora al sud.
So che la tua domanda voleva portarmi sul tema della discriminazione, e non sfuggo al tema. Parlo per il momento solo di una certa discriminazione che esiste all’interno dello sport paralimpico. Da quest’anno chi ha una disabilità come la mia vive un momento di disagio. Chi ha una disabilità funzionale al di sotto del ginocchio, e non ha subito un’amputazione, è stato dichiarato dalla Federazione internazionale “svantaggiato”. Non possiamo gareggiare con i cosiddetti normodotati e dobbiamo correre con i portatori di protesi, come ad esempio il famoso Pistorius, che grazie all’uso delle protesi sono molto più performanti di noi.
Saremo inoltre l’unica categoria a non avere una gara dedicata alle Olimpiadi di Tokyo e non certo per l’esiguità del numero dei concorrenti. Ci sono ben diciassette gare inserite nel programma olimpico che hanno meno atleti nel ranking mondiale di noi. Io ed i ragazzi che utilizzano le protesi siamo grandi amici, non si tratta certo di una crociata contro di loro, però questa decisione federale mi sembra abbastanza assurda.
Il lavoro che porta ad un’Olimpiade parte tanti anni prima dell’accensione del tripode; dovremmo avere anche noi la nostra opportunità. Noi cerchiamo di superare la nostra disabilità con il lavoro, il sacrificio e l’entusiasmo e meritiamo di avere la nostra possibilità di conquistare il titolo olimpico. Il nostro sogno.
Per approfondire :https://www.osservatoriodiritti.it/2018/11/12/sport-per-disabili-discriminazione-paralimpiadi/?fbclid=IwAR3OvVw3PVv0wrc8VgC1QCUb6hslwn6UwpMUKuTQ5p4yvla6-KFy–82_PY
Arjola, raccontami cosa sente dentro un atleta quando capisce di essere alle Olimpiadi. Io avrei una fifa terribile, la paura di fare un flop in gara davanti a mezzo mondo. Tu come la vivi questa avventura riservata solo agli atleti migliori?
Tutti gli atleti che partecipano ad una Olimpiade hanno il terrore di andare male proprio durante l’appuntamento più importante. La paura è giusto che ci sia , ma nella preparazione pre olimpica bisogna allenare anche la testa, per imparare a gestire il momento cruciale. L’allenamento non è solo fisico ma anche mentale. Le paure sono tante, mille cose ti girano nella testa ma poi per fortuna al momento della gara, dimentichi tutto. Almeno per me è stato così; se non riesci a controllare l’emozione rischi davvero il flop.
Come si praticano le vostre specialità?
Arjola: gli atleti sono divisi in diverse categorie, in base alle diverse disabilità. Ogni atleta utilizza un proprio strumento, sempre in base alla propria disabilità.
Emanuele: ad esempio io utilizzo un tutore; ne ho uno per camminare ed uno per correre. Si tratta di un tutore che mi consente esclusivamente di sentire un po’ meno il dolore. Tecnicamente potrei anche non usarlo, ma il dolore sarebbe tale da far seguire ad un giorno di allenamento almeno tre giorni di riposo assoluto.
Arjola: per quanto riguarda invece la disabilità visiva, abbiamo tre categorie. La meno grave, la medio grave e la più grave. Ipovedente lieve, grave e non vedente. Gli ipovendeti gravi ed i non vedenti utilizzano una guida nelle gare di corsa, mentre nelle gare in pedana, come ad esempio il salto in lungo oppure nei lanci, si utilizza un assistente.
Nel salto in lungo l’assistente ti dirige attraverso una serie di segnali acustici per consentirti di correre dritto, di staccare e di saltare. Nella corsa invece al tuo fianco c’è un atleta normovedente che corre insieme a te; si corre tenendo entrambi un cordino nella mano ed i movimenti sono analoghi, li possiamo definire “ a specchio”. Negli ipovedenti gravi l’utilizzo della guida è volontario e non obbligatorio. Ogni atleta sceglie se beneficiarne o meno liberamente.
Prima di continuare a parlare di sport dobbiamo fare un’incursione nella vostra vita privata. In un’intervista si mette sempre dentro una bella domandina zuccherosa, serve ad acchiappare i like… A parte gli scherzi, vi va di raccontarmi come vi siete conosciuti, di come avete organizzato la vostra vita e poi di Leonardo?
Emanuele: ci siamo conosciuti durante un Campionato italiano indoor federale ad Ancona. Lei viveva a Milano ed io a Salerno, ma facevamo parte della stessa società sportiva perché a Salerno società paralimpiche non ne esistono. Dopo avere entrambi gareggiato ci siamo incrociati a bordo pista e sugli spalti, mentre si disputavano le altre gare in programma. Le ho offerto un cioccolatino galeotto ed abbiamo iniziato parlare. Ci siamo rivisti un mese e mezzo dopo ad un’altra gara interazionale che si disputava sempre in Italia ed abbiamo passato un po’ più di tempo insieme. Poi ci siamo rivisti a Milano e… è scappato il primo bacio.
Arjola: Dopo quel bacio i mille chilometri che ci separavano iniziavano a farsi sentire e dopo poco tempo abbiamo deciso di provare a vivere insieme. Il primo anno non è stato facile, per certi aspetti siamo un po’ due opposti. Lui è tremendamente disordinato e su questo punto combattiamo ancora.
Emanuele: disordine… diciamo che io ho il mio ordine e nel mio ordine io trovo tutto!
Arjola: i disordinati dicono tutti così. Comunque passiamo oltre; siamo sempre stati molto uniti, facciamo tutto sempre insieme ed anche da questo modo di stare insieme è nato il nostro progetto “la coppia dei sogni”. E’ un progetto che aveva l’obiettivo di partecipare insieme alla scorsa Paralimpiade. Raggiunto questo primo target, ora lavoriamo per far conoscere la disabilità, sensibilizzare le persone e far capire che il disabile non è un malato, perché la disabilità non è una malattia di cui vergognarsi.
Quanto tempo dedicate agli allenamenti?
Emanuele: ci alleniamo sei giorni alla settimana, mediamente da tre a cinque ore al giorno. Questo periodo corrisponde ad una fase iniziale di allenamento, poi progressivamente l’impegno aumenta. Intorno a febbraio saremo già ad un format di allenamento di cinque ore al giorno. Nell’imminenza di una gara la durata dell’allenamento si riduce ma aumenta fortemente l’intensità. Il nostro allenamento di sviluppa su tre diversi versanti: pista, palestra e piscina.
Non vorrei passare per cinico, ma ricordo di avere visto una vostra foto scattata poco tempo prima della nascita di Leonardo. Eravate abbracciati, Arjola teneva amorevolmente una mano sul pancione e vi appoggiavate ad una macchina. Tanto bellini certo… ma io vorrei qualche info proprio su quella meravigliosa Alfa Romeo Stelvio, perché (pur essendo un motociclista) ogni volta che ne vedo passare una ci lascio un pezzetto di cuore. Vi piace la velocità?
Emanuele: a me tantissimo. Le moto sono state la mia prima passione e lo sono tuttora. Ho anche fatto qualche gara in pista; e tutto senza sapere che avrei potuto guidare una moto con il cambio comandato elettronicamente con le mani. Non riuscendo ad usare il piede (io riesco a muovere solo le dita dei piedi) ho dovuto fare tutta una serie di adattamenti alla meccanica del pedale del cambio, abbassando la pedaliera e mettendo un rialzo allo stivale. Ah, se l’avessi saputo subito che esiste un cambio sequenziale diverso; colpa mia che non ho chiesto, ma sai c’è stato un tempo in cui tendevo a nascondere la mia disabilità ed evitavo mi mettere in evidenza il mio limite fisico. E sbagliavo.
Si la velocità mi piace tantissimo. In macchina, in moto e nell’atletica. La Stelvio è bellissima, ci abbiamo lasciato anche noi un pezzo di cuore! L’abbiamo avuta in prova per dieci giorni e posso dirti che è una bomba.
Arjola: la velocità piace anche a me, ma adesso dobbiamo andare un po’ più pianino, decisamente più pianino, visto che siamo in tre. Sono sempre stata una passeggera e la velocità l’ho sempre vissuta da trasportata, comunque mi piace. Anche a me piace molto la moto, ed anche qui sono sempre una passeggera.
Quali sono i comitati olimpici meglio attrezzati nel mondo per sostenere gli sport paralimpici e come siamo messi in tal senso in Italia?
Emanuele: rispetto a tanti anni fa in Italia è stato fatto tantissimo per la disabilità nello sport. Ma abbiamo ancora tanto da fare. Davvero tanto. Ci sono altri paesi (Germania, Francia, Spagna, Inghilterra) che sono organizzati mille volte meglio. In Inghilterra siamo al top. In Italia è ancora troppo presente l’idea che lo sport dei disabili sia da supportare con opere di volontariato. L’opinione pubblica fatica a vederci come atleti professionisti, anche se ci alleniamo tanto quanto i normodotati. Siamo sempre considerati atleti di serie B. E’ compito delle singole Federazioni lavorare su questi temi.
Arjola: ci vorrebbero tanti Luca Pancalli distribuiti in ogni angolo dello sport nazionale.
(Luca Pancalli – Presidente del Comitato Italiano Paralimpico CONI ed ex atleta disabile- ndr)
Emanuele: si, sono d’accordo. In ogni singola Federazione dovrebbe esserci una presenza come quella di Luca Pancalli; un ex atleta che quando esponiamo i nostri problemi ci capisce al volo e che quando illustriamo i nostri suggerimenti ascolta ed è immediatamente in sintonia con noi.
Dimentichiamoci per un secondo del fatto che siete due atleti, da questo momento vi vedo solo come due cittadini comuni. Cittadini con una disabilità. Se aveste a disposizione la possibilità di migliorare due soli aspetti della città (non abbiamo limiti di spesa, tanto stiamo solo sognando) su cosa iniziereste a lavorare? Prendiamo ad esempio in esame la città dove noi tutti abitiamo, ovvero Milano.
Arjola: ci sarebbe da lavorare sull’abbattimento delle barriere architettoniche che si incontrano ovunque. E poi anche sulle barriere mentali delle persone.
Emanuele: e poi bisognerebbe rimuovere quante più auto possibili tra quelle parcheggiate abusivamente nei posti riservati ai disabili ed in prossimità degli scivoli dei marciapiedi. Non basta multarle, andrebbero fisicamente rimosse.
Arjola: e successivamente cambiare la norma che consente l’ottenimento del pass disabili solo a coloro che usano per muoversi la carrozzina. Non è giusto. Di disabilità ce ne sono tante, non solo quelle motorie. Io sono non vedente e non ho diritto al posto riservato; provate voi a spostarvi con la spesa, il bambino eccetera eccetera senza poter vedere, dovendo parcheggiare magari ad isolati di distanza da casa. Non è giusto. Se porto la spesa non posso usare il bastone bianco. Se lo uso, Emanuele si deve caricare la spesa, il bambino e tutto quanto. Non ci siamo.
Tokyo 2020, Paralympic Games. Ho letto che puntate a riportare in Italia una medaglia. Chi sono gli avversari che temete maggiormente?
Emanuele: nella mia categoria il ragazzo più forte (mio grandissimo amico) è un sudafricano. Si chiama Mpumelelo Mhlongo ed è decisamente più forte di me, lo dico senza remore. Mi piace molto gareggiare con lui, anche se perdo: è uno sprone ed uno stimolo averlo fianco a fianco in pista. Nella mia categoria lui è il campione da raggiungere.
Arjola: la mia avversaria più forte è una brasiliana. Ma ci sono anche una coreana ed una cinese molto agguerrite. Poi bisogna valutare in quale stato di forma arriveranno loro alle competizioni ed in quale stato di forma arriverò io. Il nostro sogno è di fare una seconda Paralimpiade insieme, e se poi arriva una medaglia tanto meglio. Noi corriamo per andare sempre al nostro massimo; anche se all’avvio dei Giochi risultassimo ultimi nel ranking, gareggeremmo sempre per il traguardo massimo con convinzione.
Emanuele: torno un momento a Mpumelelo Mhlongo. C’è stato un momento in cui non riuscivo proprio a correre per il dolore e lui mi ha regalato uno dei suoi tutori, un tutore molto particolare che mi ha permesso di riprendere l’attività. Lui oltre ad essere un grandissimo atleta è un vero amico.
In Italia purtroppo non esiste nessuno che sappia fare (facendo anche una manutenzione periodica) un tutore del genere su misura. Peccato, perché gli atleti che ne hanno bisogno nel mondo sono tanti e potrebbe diventare anche un buon business. Sono andato in Olanda e laggiù in una settimana hanno fatto tutto.
Come dite? Mi volete invitare un giorno a pranzo? Bene, accetto! Con cosa mi avvelenate? Dimmi cosa cucini e ti dirò chi sei…
Arjola: ti diro’ che a me piace cucinare tutto.
Emanuele: io non cucino il pesce; sono un meridionale atipico, il pesce non lo cucino. Il primo lo preparo io, un piatto del sud; pasta, patate e provola.
Arjola: per secondo… fammi pensare, dunque aspetta, quando sai fare diversi piatti poi è difficile sceglierne uno… fammi pensare.
Pensa che ti ripensa, passa il tempo… Arjola se non ti decidi dovrò portarlo io il secondo!!
Arjola: uff quanta fretta…ho deciso: un bel roast beef con la scarola. Il dolce lo prepariamo insieme, direi una cheesecake.
OK Andata!
Capita a volte di sentire sperticate lodi e valanghe di complimenti a favore di atleti disabili, che magari non hanno poi realizzato chissà quale impresa sportiva. Per certi “tifosi” è come se l’utilizzo di un’enfasi esagerata servisse a compensare un proprio disagio. Poi magari, nella vita di tutti i giorni, le stesse persone cambiano marciapiede alla vista di un disabile, infastidite. Come vi difendete da questo genere di ipocrisia?
Emanuele: si, hai perfettamente ragione. Succede. Se un atleta normo non ha giocato bene, non ha fatto il risultato, ha fatto una brutta prestazione normalmente il tifoso lo sottolinea senza tanti scrupoli.
Invece all’atleta disabile, per una sorta di pietà, si dice sempre “bravo”. Non va bene. L’atleta disabile deve ricevere gli applausi quando li merita e non riceverli quando non li ha meritati. Come uno sportivo qualunque. Anche da parte degli allenatori deve esserci il medesimo atteggiamento. Il nostro allenatore a noi piace perché non fa sconti e perché per lui siamo atleti, non atleti disabili.
Arjola: io ho sempre odiato queste forme di pietismo e di compassione. Detesto coloro che ti fanno sempre la faccia buona, senza poi sapere gestire la disabilità altrui o peggio ignorandola. Quando mi dicono “poverina ma come fai?” io rispondo sempre abbastanza a tono. Così come sono sempre diffidente nei confronti di chi continua a dirmi… brava , bravissima, grande!!! Ma io non sono grande, faccio solo quello che farebbe ogni donna che ha una passione ed insegue il proprio sogno. Non trovo che ci sia nulla di speciale nell’intraprendere una carriera, non sono una persona speciale, sono un’atleta che ha altri mezzi a disposizione rispetto alla maggioranza degli sportivi, ma non sono speciale.
Emanuele: c’è molta ipocrisia. Quando gareggiamo ci coprono di complimenti al miele; quando non ci riconoscono e camminiamo per la città (poi con la carrozzina è ancora peggio) davanti a noi si aprono le acque, come davanti a Mosè nella fuga dall’Egitto. Nella vita di tutti i giorni il disabile molta gente lo scantona appena può.
Alcune persone parlano con gli animali. Poche persone però li ascoltano. Questo è il problema. Lo ha scritto Milne, ma io l’ho tratto da un vostro post Instagram. Da orgoglioso maggiordomo di due gatti ed un cane quale sono, vi chiedo di parlarmi del vostro feeling con i nostri amici pelosi.
Emanuele: io li amo, li adoro. Per noi sono parte della famiglia; abbiamo due gatte, Shelley e Dafne (che sono i nomi di due velociste). Da piccolino non ho potuto tenere animali perché mio papà non voleva…
Arjola: poi è arrivata la morosa ed ha scombussolato tutto. Spinti da me la prima micia gliela hanno regalata mio fratello e mia cognata.
Emanuele: la seconda invece l’abbiamo trovata a Palinuro. C’erano una mamma con i piccolini. Abbiamo comprato un mega trasportino e ci siamo fatti un viaggio di dieci ore sino a Milano con tutta la famigliola. Una l’abbiamo tenuta noi e gli altri sono stati tutti adottati. Troppo belli. Intelligenti e perfettamente a proprio agio con Leonardo.
Arjola ma il softball che sport è? Non siamo mica a Miami o a Cuba…
Ma è bellissimo! Poi noi non giochiamo a softball (la variante femminile) ma a baseball. La nostra squadra non vedenti è mista, donne e uomini, e quindi giochiamo a baseball. E’ stata una delle mie prime passioni, iniziata nel 2005. Attraverso questa specialità mi sono innamorata dello sport in generale. Bellissimo il rapporto che c’è con i compagni e con gli allenatori; ancora oggi dopo tredici anni siamo legatissimi tra tutti noi.
Sport e disabilità. Per eccellere a livello internazionale serve maggiormente il talento innato oppure una pervicace programmazione degli allenamenti?
Arjola: entrambi, il solo talento senza l’allenamento non ti porta da nessuna parte.
Emanuele: il livello atletico ed agonistico in tutte le categorie si è alzato tantissimo e quindi, come ha detto Arjola, puoi anche nascere fenomeno, ma se non ti alleni nel modo giusto non puoi arrivare a traguardi importanti. In particolare all’estero, gli atleti para si allenano esattamente come i normo; fanno raduni e programmano nel medesimo modo.
Arjola: ciascuno di noi ha il proprio stile, che dobbiamo allenare per farlo rendere al massimo, rendendolo sinergico con la disabilità che abbiamo. Senza stravolgerlo però, perché comunque lo sport è anche istinto. Nella corsa in particolare, la corsa è un gesto assolutamente naturale dell’uomo. Pensa a Mennea, non era bellissimo da vedere, ma andava come un treno…
Ora che ci penso, non vi ho fatto una domanda importantissima. Per quale squadra fate il tifo? Se mi dite Juventus vado via…
Emanuele: INTER! Non seguo molto il calcio, comunque Inter.
Arjola: io di calcio non so quasi niente, comunque MILAN! Simpatizzo fortemente per il Milan, da sempre, sino da quando ero piccolina ed abitavo in Albania.
Mi raccomando il piccolino…
Emanuele: la maglietta di Icardi è già pronta!
Arjola: no, ma quale Icardi; c’è lo zio, mio fratello, che lo guiderà a diventare un bravo milanista.
Emanuele: allora ripiegherò su un altro sport e gli comprerò il pigiamino di Valentino Rossi 46.
Buona vita ed a presto ragazzi… ci vediamo a pranzo!