Lo dico prima, così ci togliamo ogni pensiero ed evitiamo dietrologie. Non mi piace la caccia. Non ritengo che spetti ai cacciatori della domenica trasformarsi in agenti forestali facenti funzione impegnati nel controllo demografico delle diverse specie. Non me ne frega nulla del fatto che dietro a questo sport (per me non è uno sport) giri un business importante e redditizio. Ed aggiungo che la classica frase “ma poi mangiamo ciò che uccidiamo” è per me solo un banale tentativo di mascherare la necessità di sfogare contro il genere animale qualcosa di latente da sempre nell’uomo. Sono stato in gioventù un pescatore. Oggi mi pento di esserlo stato. Sbaglierò..ma io la penso così.
Detto questo, aggiungo che la mia opinione personale non conta nulla. Ho espresso il mio pensiero sulla caccia perché l’unica cosa che conta è cercare di ragionare sul messaggio che l’ISPRA ha recentemente diramato, senza perdere tempo a cercare di capire se l’estensore dell’articolo è un pro caccia oppure un contro la caccia. Non si guardi quindi al pensiero di chi scrive, si guardi solo ed esclusivamente a questo messaggio ISPRA. Guardiamo la luna e non il dito che la indica.
Cos’è l’ISPRA? E’ l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale. E’ un ente pubblico di ricerca, dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia tecnica, scientifica, organizzativa, finanziaria, gestionale, amministrativa, patrimoniale e contabile. L’ISPRA è sottoposto alla vigilanza del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Pertanto stiamo per analizzare un testo proposto non da un’associazione animalista, tantomeno dalla pagina Facebook degli Amici della Caccia. Stiamo ascoltando le determinazioni di chi è preposto e pagato per studiare come salvaguardare il patrimonio ambientale italiano, patrimonio di tutti.
Partiamo da nota tecnica.
La caccia in Italia è regolata dalla legge-quadro dell’11 febbraio 1992, n. 157 e s.m.i., in materia di Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. La legge 157/92 sancisce nell’articolo 1, comma 1, la condizione della fauna selvatica entro lo Stato italiano come segue:« La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale. »
Il messaggio ISPRA è rivolto alle Regioni, che sono incaricate di stabilire il piano faunistico-venatorio. L’intero messaggio è leggibile attivando questo link.http://www.isprambiente.gov.it/it/news/limitazioni-all2019attivita-venatoria-a- causa-della-siccita-e-degli-incendi-che-hanno-colpito-il-paese
Ne traggo alcuni passi, senza fare agli stessi alcun commento personale.
I dati meteoclimatici indicano che il 2017 è stato caratterizzato, già a partire dagli inizi dell’anno, da una situazione meteorologica decisamente critica, caratterizzata da temperature massime assai elevate e prolungati periodi di siccità, che ha determinato in tutta Italia una situazione accentuata di stress in molti ecosistemi. Tale situazione, anche aggravata da una drammatica espansione sia del numero degli incendi sia della superficie percorsa dal fuoco (+260% rispetto alla media del decennio precedente; dati European Forest Fire Information System – EFFIS) in diversi contesti del Paese, comporta una condizione di rischio per la conservazione della fauna in ampi settori del territorio nazionale e rischia di avere, nel breve e nel medio periodo, effetti negativi sulla dinamica di popolazione di molte specie.
Per quanto concerne gli ecosistemi acquatici, le temperature elevate e la siccità possono favorire l’insorgenza di estesi fenomeni di anossia, con conseguente alterazione delle reti trofiche esistenti e parziale o totale collasso delle biocenosi. Allo stesso tempo, con il perdurare della crisi idrica molti ambienti palustri nel corso dell’estate tendono a seccare, riducendo il successo riproduttivo delle specie che nidificano più tardivamente e costringendo gli uccelli a concentrarsi nelle poche aree che rimangono allagate. In un tale contesto, inoltre, l’impatto antropico sugli ecosistemi acquatici risulta ancora più incisivo: le già ridotte risorse idriche naturali vengono infatti sfruttate con maggiore intensità, per far fronte alle crescenti richieste per usi civili, agricoli e industriali. Al tempo stesso, le sostanze inquinanti derivanti dalle attività agricole, industriali e civili tendono a risultare più concentrate, con maggiori impatti sugli ecosistemi acquatici.
Per le specie legate ad ecosistemi terrestri, perdite di ambienti si possono verificare anche a causa degli incendi, come quelli che hanno recentemente interessato vaste aree dell’Italia, che possono limitare fortemente la disponibilità delle risorse trofiche essenziali per la fauna e ridurre in maniera significativa le possibilità di rifugio. Come già evidenziato in passato da questo Istituto, in presenza di eventi climatici particolarmente avversi per la fauna, si ritiene che, seguendo il principio di precauzione, in occasione della prossima apertura della stagione venatoria vadano assunti provvedimenti cautelativi atti a evitare che popolazioni in condizioni di particolare vulnerabilità possano subire danni, in particolare nei territori interessati da incendi e condizioni climatiche estreme nel corso dall’attuale stagione estiva.
L’esercizio dell’attività venatoria a carico di talune specie può rappresentare un ulteriore motivo di aggravamento delle condizioni demografiche delle popolazioni interessate, non solo nelle aree percorse dagli incendi, ma anche nei settori limitrofi e interclusi, allorquando l’azione del fuoco abbia interessato percentuali importanti di un’area (es. oltre il 30%) e quando gli incendi si siano succeduti nell’arco degli ultimi anni negli stessi comprensori. Lo scrivente Istituto è dunque del parere che le Amministrazioni competenti dovrebbero attivare specifiche iniziative di monitoraggio soprattutto a carico delle popolazioni di fauna selvatica stanziale o nidificante, potenzialmente oggetto di prelievo venatorio, assumendo di conseguenza eventuali misure di limitazione del prelievo stesso. In particolare dovrebbero essere emanati adeguati provvedimenti affinché il divieto di caccia nelle aree forestali incendiate (come già previsto dalla Legge 353/2000, art. 10, comma 1 per le sole aree boscate) sia esteso almeno per due anni a tutte le aree percorse dal fuoco (cespuglieti, praterie naturali e seminaturali, ecc.), nonché ad una fascia contigua alle aree medesime, le cui dimensioni debbono essere stabilite caso per caso in funzione delle superfici incendiate, della loro distribuzione e delle caratteristiche ambientali delle aree circostanti.
In parole povere ed in sintesi estrema, fermiamo la caccia. Si attendono notizie dalle Regioni. Salvaguardia del bene comune e limitazione/sospensione della caccia oppure …??? Ai posteri l’ardua sentenza.