Stefano Apuzzo è uno storico esponente politico da sempre impegnato in prima linea sul fronte della tutela ambientale.
Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Eco Guerrieri. Storie di battaglie ecologiste”, pubblicato per i tipi di Mursia.
Vorrei che lei si presentasse da solo.
Sono Stefano Apuzzo e sono nato a Napoli nel 1966. Sino da piccolo, seguendo la carriera di papà e anche a causa di problemini di salute della mia sorellina, ho vissuto in varie città italiane, Palermo, Napoli, Mantova, Verona, Milano. E successivamente anche a Roma, per due anni e mezzo.
Ho frequentato diverse scuole, ricordo che era un periodo in cui si studiava poco perché si occupava molto, c’era molto fermento politico e sociale nell’aria. Ho studiato agraria, quindi sono passato all’artistico per poi arrivare all’Accademia di Belle Arti di Brera dove mi sono laureato.
Adesso insegno storia, italiano e storia dell’arte all’Accademia Formativa Martesana di Gorgonzola, in provincia di Milano.
Sono un giornalista e uno scrittore. Ho scritto diversi testi sul mondo animale, sull’ambiente, sui diritti dei consumatori, sulla cooperazione internazionale e su alcune questioni africane. Mi sono occupato di cooperazione internazionale con Pro Africa e Vento di Terra seguendo diversi progetti in Palestina, in Africa e in America Latina.
Ho fatto anche il parlamentare, per due anni e mezzo nella Prima Repubblica. Sono entrato in Parlamento con l’ultimo governo Andreotti e ne sono uscito con il primo governo Berlusconi nel 1992.
Era un parlamentare dei Verdi.
Si, esatto, ero un Verde. Venni eletto con il proporzionale nella circoscrizione Milano-Pavia. Da giovane ho fatto il consigliere comunale a Opera (Mi) facendone vedere di tutti i colori a quelle giunte che noi chiamavamo “rosso mattone”. Erano giunte guidate dal PCI-PSI, costruivano molto e a noi questo non andava bene.
Poi ho fatto l’assessore per quindici anni a Rozzano (Mi). Quando ero Assessore all’Ambiente abbiamo costruito numerosi nuovi parchi e cambiato un po’ il volto della città, rendendola più Rozzano e meno “Rozzangeles”.
Per me in quegli anni il nome Apuzzo era sinonimo di Verdi. Perchè li ha lasciati?
A Rozzano ho iniziato a fare l’assessore nel 2004. Nel 2010 ho dovuto fare una “constatazione di morte”, cioè ho dovuto prendere atto che i Verdi non esistevano più. Era diventata una ritirata di pochi amici, era rimasto Bonelli che aveva tenuto per sé il logo, quel bel simbolo che ci fu donato dagli Amici della Terra, da Friends of the Heart. Era un simbolo che solo a presentarlo assicurava il suo 2%, 3%. Era iniziata una deriva e anche una mutazione genetica. Personalmente ho sempre militato a sinistra, prima nei Giovani Comunisti e poi nel PCI. Ma un bel giorno dal PCI sono uscito strappando la tessera perché erano bresneviani e di ambiente non gliene fregava un cacchio, erano tutti filosovietici. Quindi ho fondato i Verdi a Opera, dopo non molti anni da quando i Verdi erano nati.
Ero sicuramente di sinistra (frequentai nella prima gioventù il centro sociale Leoncavallo) ed ero anche un purista del Sole che Ride. Quando ci fu l’assalto alla “carovana verde” degli ex demo proletari radicali, gente sgamata con un pelo così sullo stomaco e politici di un certo rilievo, ci fu l’unificazione fra il Sole che Ride e i Verdi Arcobaleno. Quindi io a quel tempo fui iscritto d’ufficio ai verdi di destra, in realtà noi eravamo verdi ambientalisti. E non pensavamo che chi aveva perso una battaglia sul fronte politico, quella dell’anticapitalismo, dovesse necessariamente sfruttare l’ambiente come una sorta di alibi per attaccare, cambiandosi il mantello. Questa unificazione ha in qualche modo snaturato un po’ la natura dei Verdi originali, che era quella di occuparsi di ambiente, di animali, di salute e quant’altro.
I Verdi accusarono una certa crisi già nel ’92-’93, dopo poco che io fui eletto in Parlamento, e si appellarono quindi a un personaggio storico, sicuramente ambientalista ma che non apparteneva ai Verdi stessi.
Era stato Commissario europeo alla Cultura, Commissario europeo all’Ambiente e per una settimana fu anche ministro dell’Ambiente italiano, parlamentare europeo in quota Craxi.
Questo signore si chiamava Carlo Ripa di Meana, un uomo con il quale poi diventammo amici (sia con lui sia con Marina) e ne facemmo anche lì di tutti i colori. Fondammo ad esempio insieme le Pantere Verdi.
I Verdi chiesero a Carlo Ripa di Meana, che aveva un profilo di altissimo livello, di diventare il portavoce della Federazione. Lui era sempre stato un uomo libero. Fu l’inviato della Federazione Giovanile Comunista (di cui aveva la tessera autografa firmata da Enrico Berlinguer) nei paesi dell’est e a Praga, ma si rese conto che quel regime “sovietico” non funzionava dal punto di vista della libertà di espressione e della verità delle informazioni che circolavano. Con il passare degli anni Carlo diventò socialista e anche anticomunista, contrario a quel tipo di comunismo sovietico di matrice stalinista.
Entrò quindi in politica in quota Craxi, che non mancò comunque di criticare quando necessario. Quando Rutelli, che era sindaco verde di Roma e che era il mio capogruppo alla Camera, propose da sindaco le Olimpiadi a Roma, Carlo (come presidente nazionale di Italia Nostra) gliele fece saltare. Carlo era un pitbull quando mordeva una preda non la mollava finché non esalava l’ultimo respiro. E così ha fatto con Rutelli, così ha fatto con le Olimpiadi e con altri scempi in Italia. Fu lui, tra l’altro, che riuscì a vietare da Commissario europeo l’importazione di pelli di cuccioli di foca in Europa per ricavarne pellicce.
Un grande personaggio con una grande storia, col quale diventammo amici. Negli anni in cui fu portavoce i Verdi balzarono molte volte agli onori delle cronache e nella simpatia elettorale delle italiane e degli italiani. Carlo Ripa di Meana era però attorniato da un covo di di vipere. Questo lo scrisse anche in un libro (Sorci Verdi – edizioni Kaos); non aveva peli sulla lingua e non doveva rendere conto a nessuno, tranne che alla propria coscienza, di ciò che diceva e di ciò che faceva.
Dopo l’epopea verde di Carlo (con le nostre avventure, i nostri blitz, i nostri assalti alle ambasciate, alle linee aeree di paesi imbarazzanti) i Verdi si spostarono su una linea più di establishment e si misero in mano a Luigi Manconi. Luigi Manconi, uomo che era noto per stare dietro la porta di D’Alema col cappello in mano per chiedere un posto sicuro alla Camera o al Senato. Un uomo che aveva più a cuore le sorti di se stesso e della propria rielezione perpetua che non quelle dei Verdi. Difatti i Verdi si affievolirono molto e il colore verde divenne sempre più pallido.
Successivamente fu la volta di Grazia Francescato, che era la Presidente del WWF. Una signora borghese, ricca, benestante, che poco aveva a che fare comunque col movimentismo e con un certo popolo. E quindi, da donna ricca e benestante, acchiappò più di una papera, non solo in politica ma anche nelle uscite pubbliche.
Poi ci mettemmo in mano all’alleanza con Bertinotti. E poi Pecoraro Scanio, ministro dell’Ambiente. Napoli, la sua città che lo aveva anche eletto, soccombeva sotto quintali di rifiuti e noi Verdi continuavamo a dire: “no alla discarica, no all’inceneritore, no a questo, no a quello”. Andò a finire che le eco-balle dovettero essere trasportate in Germania o in Francia per essere incenerite. Un no agli inceneritori si può anche dire quando sul territorio i termovalorizzatori ci sono e magari sono già tanti, come in Lombardia. Ma in Campania, dove allora non ne esisteva nessuno, almeno uno per lavorare una parte dei rifiuti derivanti dalla raccolta differenziata lo dovevi fare.
Questo dire NO a ogni soluzione fu la tomba dei Verdi e lo fu anche a causa della sua gestione politica, che era pò guascona e cercava spesso la grande visibilità mediatica. Io ricordo un episodio accaduto quando ci fu il problema della cosiddetta “mucca pazza”. Lui era ministro dell’Agricoltura e andò in piazza a mangiare pezzi di carne abbrustolita sul posto; queste sono le sceneggiate che fa Salvini, poverino.
Salvini che oggi dice una cosa, domani ne dice un’altra. Che dice che Putin è il più grande statista del mondo, poi il giorno dopo dice che è uno stronzo. Sono le pagliacciate che fanno i dittatori sudamericani quando c’è una crisi in qualche settore.
E quindi ha trovato casa nel Partito Democratico.
Erano morti i Verdi. Il Partito Democratico aveva un popolo. Entrai nel Partito Democratico e lo abbandonai quando Renzi divenne segretario, per fare una capatina in Articolo Uno di Bersani e Speranza. Ma anche quella era un’avventura. Era già deciso che sarebbero andati in braccio a Fratoianni, non era la mia strada.
Ho abbandonato anche il PD, nel senso che non rinnoverò la tessera nel 2024. Perché non c’è coraggio. La segretaria Schlein è “ottime parole-pochissimi fatti”. Chiacchiere e distintivo, come diceva quel famoso film con De Niro. E in più hanno una posizione sull’aggressione e sul massacro in corso a Gaza che è abominevole. Non c’è il coraggio e la capacità di dire una parola chiara. Questo partito, il PD, ormai ha subito una mutazione genetica da Renzi in poi, è un partito di centro, vagamente progressista, nel quale non mi riconosco.
E’ appena uscito il suo ultimo libro. E’ intitolato “Eco Guerrieri. Storie di battaglie ecologiste”, pubblicato per i tipi di Mursia. E’ un testamento politico o un testo che guarda al domani?
Lo spirito del racconto è riassunto dalla copertina, dove si vede una mano che spruzza del colore, in particolare due colori, non a caso il verde e il fucsia. Quindi identità di lotte ambientaliste per la stabilità del clima e lotte femministe. Spruzza questo colore che vuole essere anche un insetticida, un insetticida naturale da spargere sull’industria inquinante, sul tipico padrone con il sacco di soldi ai piedi, su un carro armato e sui soldati, quindi un esercito.
Ecco, è quello che abbiamo fatto noi dai primi anni ’80 fino agli anni 2000. E che stiamo continuando ancora a fare, magari con meno veemenza di allora, perché non abbiamo più diciotto o vent’anni. Utilizzando magari anche altri strumenti, però con la stessa identica passione di quando siamo partiti con questo piccolo gruppo di sognatori e di guerrieri che non guardavano al proprio rendiconto personale o alla paura, al terrore di sporcare la propria fedina penale. Donne e uomini che guardavano alla causa e all’’interesse comune, all’interesse collettivo.
Oggi ci sono dei giovani che si muovono con metodi ruvidi e sono poco accettati dalla società civile. Vengono chiamati eco-terroristi perchè vanno in giro a imbrattare i muri, le facciate, le opere d’arte, bloccano le strade. Sciagurati o benemeriti che si battono per il bene comune?
Mi riallaccio a quanto detto prima. La copertina, che è un po’ l’emblema del libro, l’ha fatta una street artist, un’artivista. Cioè un’artista che è anche un’attivista, si chiama Cristina Donati Meyer. La prefazione del libro è di Edgar Meyer, che è stato mio sodale avendo frequentato le stesse associazioni e gli stessi gruppi. Anche lui è stato molto attivo e ha fatto una bella prefazione, conoscendo dall’interno le nostre battaglie.
Anche noi eravamo chiamati eco-terroristi, più di una volta siamo finiti sui giornali. Ogni volta che si verificava un incendio in un’azienda farmaceutica dove si faceva sperimentazione animale, piuttosto che all’interno di industrie legate ai settori fossili, ecco che spesso e volentieri la Digos o i Carabinieri piombavano nelle nostre case alle sei del mattino. E puntualmente il giorno dopo c’erano articoli sui giornali che ci definivano eco-terroristi e via dicendo. Ogni periodo ha i suoi terroristi e i suoi eco-terroristi, i partigiani venivano chiamati dai nazisti e dai fascisti terroristi. La parola terrorista non mi piace, faccio fatica ad affibbiarla persino a quelli della jihad islamica di Gaza, che pure lo sono. La parola terrorista è un marchio che serve al potere per mettere all’angolo, per bollare una categoria con la quale nessuno può parlare, discutere o prendere un caffè.
Questi ragazzi di oggi, di Ultima Generazione, di tutte le sigle dell’attivismo giovanile per la stabilità climatica e la difesa del clima, hanno dei metodi che possono essere discutibili ma se non avessero adottato quella tipologia estrema di metodi e di azioni, oggi non sapremmo neanche che esistono.
Perché? Perché siamo in una società che macina, metabolizza, digerisce ed espelle velocissimamente qualsiasi tipo di notizia o informazione. Quindi loro hanno capito che dovevano alzare il tiro della comunicazione perché si parlasse del problema climatico.Dei sussidi ai fossili e del fatto che l’Italia nell’ultimo anno ha aumentato del 4% la propria produzione energetica da fonti fossili. Del fatto che il Museo del Novecento è finanziato dall’industria di armi più letale al mondo, fra le più potenti, che è Leonardo, del fatto che ci sono strutture museali che sono finanziate da banche che investono nelle fonti fossili o addirittura direttamente dai petrolieri.
Non mi spaventa un po di salsa di pomodoro, un po’ di minestrone buttato su un vetro che protegge un’opera.
Così facendo ottengono visibilità ma non consenso.
Questo libro vuole essere un libro di memorie di battaglie ecologiste, avventate, forti, a tinte forti, molto sopra le righe (molte volte siamo stati arrestati o portati in caserma o in questura), ma non vuole essere un passaggio di consegne ai giovani attivisti per il clima o per l’ambiente. Anche perché poi chi lo ha scritto e chi ha partecipato a queste azioni, se non è passato a miglior vita per cause varie, oggi è ancora attivo. Non ci siamo imborghesiti, non siamo entrati in banca come dice un’altra canzone famosa.
Tuttavia io posso recriminare a Extinction Rebellion e a Ultima Generazione a volte di non adottare la tecnica comunicativa più adeguata, nel senso che sdraiarsi in mezzo a una strada e fare incazzare il cittadino comune che deve andare a lavorare, che ha sempre fretta eccetera eccetera, probabilmente non è la strada migliore per attrarre nessun tipo di simpatia. C’è anche da dire che era stato fatto un sondaggio fra i giovani nel 2023 (dall’Osservatorio sui media e la comunicazione di Telpress Italia) e le azioni di Ultima Generazione e di altri attivisti per il clima in poche settimane avevano avuto 19.000 citazioni sulla stampa, raggiungendo 53 milioni di persone con un milione di interazioni. Se vuoi far passare un messaggio o possiedi i mezzi di comunicazione o sei una firma del giornalismo di fama nazionale o internazionale, oppure sei costretto a queste scorciatoie. Scorciatoie di visibilità.
Bloccare il traffico. Quante volte gli operai hanno bloccato il traffico in autostrada o in tangenziale da nord a sud del nostro paese per segnalare crisi aziendali, crisi occupazionali o fabbriche che chiudevano? La nostra è l’ultima generazione che ha la possibilità di fare qualcosa, o facciamo qualcosa o soccombiamo tutti. Quel sondaggio che citavo prima riporta che il 56% della popolazione non condivide tali azioni, ma questo vuol dire che l’altra metà le condivide. Anche fra i giovani non c’era molta condivisione sui metodi, però vuol dire che circa un 30% ha recepito il messaggio e lo condivide e magari lo propaga anche.
Quindi secondo me vanno messi sulla bilancia sia il fastidio arrecato al cittadino comune, che ogni giorno si deve alzare per guadagnarsi il pane quotidiano, sia una crisi climatica che rischia di essere alle sue battute finali. Dopodiché ci sarà una serie di effetti a catena che non potremo più controllare né contenere. Messa sul piatto della bilancia la visibilità ottenuta da queste tematiche e il fastidio arrecato al cittadino comune, io credo che la bilancia penda ancora positivamente a favore del fatto che finalmente se ne parla, si discute e magari certa politica qualcosa di piccolo inizia a farlo.
Rimanendo in tema di tutela ambientale, cosa ne pensa della rivolta degli agricoltori e dei trattori in strada?
Tutto il peggio possibile. C’è un certo Salvini che è salito sul trattore di questa sorta di Cobas dell’agricoltura per fare un dispetto a Lollobrigida e alla Meloni che invece hanno le truppe, l’esercito di Coldiretti , schierate con loro. Gli agricoltori hanno rivendicazioni corporative.
La PAC, la politica agricola europea, destina all’agricoltura qualcosa cosa come 365 miliardi di euro l’anno. Che non è poca cosa. L’agricoltura vive grazie ai sussidi. Quale agricoltura? Quella dei, chiamiamoli latifondi alla vecchia maniera, cioè l’agricoltura industriale, quella dei grandi appezzamenti, quella che fa male alla terra, alla qualità del cibo, alla nostra salute.
Penso alle vigne, alle colline del prosecco, le colline di Verona inondate di fitofarmaci. Non c’è più biodiversità perché ogni collina, ogni metro di collina del veronese, dove si produce un ottimo vino, deve essere destinata alla vigna, a produrre il vino. Non può mantenere una sua biodiversità o la sua naturalità. Non sia mai. Di questo non se ne può discutere, è tabù. Mentre quando ci sono le lobby e i potentati economici che hanno delle rivendicazioni la politica tende sempre a calare le braghe, ad acconsentire.
Ripenso a Salvini, uno che tiene molto all’ordine pubblico e che con veemenza aizza sempre le forze dell’ordine contro i giovani che combattono per il clima o contro i ragazzi che occupano le scuole (le scuole si sono sempre occupate per chiedere delle migliorie nella didattica e alle strutture). Chiunque protesta in Italia deve avere manganellate e codice penale da questo governo, il più nero dalla caduta del nazifascismo in Italia, il più nero, reazionario e maggiormente legato alle corporazioni. Quando sono le corporazioni a chiedere soldi, a fare delle rivendicazioni fuori dal mondo, allora sì, la politica risponde subito, acconsente subito.
Mi ripeto, ogni anno in Europa i signori agricoltori si beccano 365 miliardi di euro dalla PAC. La von der Leyen aveva già ricevuto una bocciatura dal Parlamento europeo per queste norme di politica ambientale che tendevano alla riduzione di una certa percentuale dei pesticidi entro il 2030 e successivamente entro il 2050. Il Parlamento europeo ha bocciato quella norma, che poi è stata venduta come un cedimento agli agricoltori, che fra l’altro hanno messo a ferro e fuoco Bruxelles devastando il centro cittadino e le statue. In quel caso Salvini e i securitari littori non hanno avuto nulla da dire o da oppugnare.
In questo caso la politica europea e la politica italiana hanno immediatamente aderito alle istanze di queste corporazioni, che sono già ricche e sovra sovvenzionate, in Europa e in Italia. Quando invece c’è un gruppo di cittadini, di operai, di studenti, studentesse, di giovani che chiedono di avere un pianeta abitabile con un clima ancora decente, in quel caso invece ricevono inasprimenti del codice penale, norme fatte apposta, decreti legge, carcere e manganellate dalla polizia.
Che impressione le fa vedere la forza pubblica che identifica chi grida “viva l’Italia antifascista” o chi depone un fiore in memoria di Navalny sul suolo pubblico?
Che è patetico. Essendo io ormai sempre più libertario e anarchico la dico come la vedo. Chi lavora per il potere, chi è al servizio alla servitù del potere, anche senza un ordine preciso, vuole essere più realista del re di Prussia.
Qualcuno, forse strumentalmente, ventila che si tratti di prove tecniche di regime.
No, nessun regime. Questo è un eccesso di zelo, un semplice eccesso di zelo, un eccesso di servilismo. Un avere annusato l’aria che tira. Io lo vedo perché abbiamo fatto in passato diverse manifestazioni, ad esempio contro il massacro e il genocidio in Palestina e a Gaza, alle quali partecipavano pochissime persone. Adesso che sono un po’ più nutrite (vivaddio la gente si è accorta di cosa sta succedendo) da settembre/ottobre si è visto subito nell’atteggiamento della Polizia e della Digos che il clima era cambiato. Hanno annusato che c’è un clima “littorio”nell’aria, un clima repressivo, molto più fascista.
Allora ci può essere il questore che vuole fare bella figura per avere la promozione, oppure ci può essere semplicemente l’ agente che ha capito che l’aria è cambiata e che morde non il freno, ma il manganello. Insomma gli friccicano le mani per menare. Ai miei tempi, quando noi facevamo le azioni di protesta, generalmente comunque con la Digos c’era un rapporto reciproco di conoscenza, in alcuni casi anche di stima e di rispetto. E a Milano (a differenza di Roma e Napoli dove sono sempre andati col manganello pesante) c’era una gestione più politica dell’ordine pubblico. Questa gestione politica in parte c’è ancora, in parte però sta saltando in virtù degli input che arrivano dal nuovo governo. Perché se tutto è reato, se una scritta spray diventa terrorismo, se bloccare la strada cinque minuti diventa interruzione di pubblico servizio, se si minaccia la galera per ogni atto di dissenso… E beh, insomma, il paese non va in una buona direzione.
I dati di Arpa e le analisi dei dati elaborate ad esempio da Dataroom di Milena Gabanelli ci dicono che la nostra Milano è una delle città più inquinate d’Europa. Cosa ne pensa?
È inquietante, è inquietante. Se fossimo in una regione del Nord Europa e non del Sud Europa le tecnologie, il senso civico dei cittadini, i governi avrebbero già risolto il problema.
Siccome viviamo in Italia, facciamo le cose all’italiana. E’ vero che la pianura padana è circondata da montagne, è vero che ci sono delle ragioni climatiche, ci sono ragioni morfologiche del territorio che agevolano la stagnazione degli inquinanti. Ma è anche vero che Milano non si può fermare, Milano deve correre, Torino non si può fermare, deve correre. Corriamo, corriamo, ma se non ci orientiamo verso nuove tecnologie amiche dell’ambiente, verso nuove tecnologie innovative, prima o poi non correremo più.
Bisogna incentivare le auto elettriche per le città, vero è che costano ancora tanto, però sono in arrivo degli incentivi per cui il prezzo dovrebbe abbassarsi. Se non infrastrutturiamo il paese per le ricariche, per le comunità energetiche locali, se non approfittiamo dell’innovazione tecnologica, del senso civico dei cittadini ma soprattutto di una politica che è capace di prendere delle decisioni anche che diano fastidio… non c’è speranza. Ma Milano ha rinunciato ai 30 all’ora perché non è Bologna, Bologna ha avuto il coraggio di farlo e Milano invece no. Ci sono una serie di scelte che non vengono fatte.
Addebita a Sala qualche errore strategico nella gestione ambientale della città?
Non lo so, io non condivido quasi nulla di ciò che Sala sta facendo a Milano, sta muovendosi con poco coraggio, più o meno al laccio dei costruttori, che poi gli girano le spalle, si candideranno da soli o come la De Albertis comunque col centrodestra. Il primo mandato di Sala è stato, nelle cose che ha realizzato, più a sinistra di Giuliano Pisapia, uno che ci ha liberato dal ventennio inguardabile di Moratti, dei leghisti, di Albertini, eccetera eccetera.
Poi nel nel secondo mandato… è sotto gli occhi di tutti. Basta passare vicino a uno scalo ferroviario per vedere gli eco mostri che stanno sorgendo, anche se poi saranno spruzzati di verde. Sala non è il mio sindaco. Prima di tutto perchè non abito a Milano, secondo perché non mi riconosco in quello che fa. Mi riconosco invece nelle battaglie che sta facendo adesso Carlo Monguzzi in consiglio comunale, dove l’unico reale esponente dell’opposizione, pur essendo in maggioranza, è lui. Perché le opposizioni della Lega e della destra fanno ridere i polli e comunque tendono a trovare accordi sugli interessi di casta o di particolari aggregati economici.
A sinistra non c’è nulla, quindi Carlo in consiglio comunale sta facendo giustamente vedere i sorci verdi a Sala.